ingiustizie migrazione sanitariaEcco una riflessione interessante del Dott. Fabio Ascenzi sulle ingiustizie prodotte dalla migrazione sanitaria durante questi anni e le diseguaglianze presenti tra le regioni. 


L’autonomia differenziata ancora non esiste, ma il meccanismo utilizzato dallo Stato nel finanziamento della spesa storica ha fatto sì che alcune Regioni siano state palesemente favorite, potendo così fornire maggiori e migliori servizi pubblici per i propri residenti.

Negli anni, poi, lo stesso Stato, invece di preoccuparsi di aiutare innanzitutto chi fosse rimasto indietro, ha continuato ad assegnare a quelle stesse Regioni ancora più risorse, ritenendole necessarie per mantenere gli standard quantitativi e qualitativi raggiunti, e consentendo così a quei sistemi di crescere ulteriormente a scapito di altri.

Ho riportato alcuni dati in un mio precedente articolo dedicato alle Diseguaglianze territoriali e ripartizione delle risorse statali alle Regioni.

Le diseguaglianze nel settore sanità

Una situazione nel suo complesso inaccettabile per tutto il comparto della spesa pubblica, ma che nella sanità risulta essere ancora più esecrabile, poiché dovrebbe essere uno degli ambiti dove far vivere senza indugi quel principio di uguaglianza sostanziale posto alla base della nostra Costituzione.

E invece, proprio qui, i tagli operati negli ultimi decenni durante la cosiddetta legislazione della crisi, l’iniqua ripartizione delle risorse, i piani di rientro dal deficit finanziario che hanno di fatto commissariato la gestione della sanità in gran parte delle Regioni meridionali, hanno già creato una differenziazione de facto tra i diversi servizi sanitari regionali, ampliando il divario nel Paese e nelle prestazioni fornite ai cittadini.

Un’occasione senza precedenti avrebbero potuto essere gli investimenti straordinari effettuati nel periodo emergenziale Covid-19; eppoi i fondi messi a disposizione dal PNRR che, è bene ricordarlo, proprio al fine di raggiungere il riequilibrio territoriale e il rilancio del Sud quale priorità trasversale a tutte le missioni, aveva previsto che il 40% delle risorse territorializzabili dovesse essere attribuito alle otto Regioni del Mezzogiorno (circa 82 miliardi di euro).

Ma, come le cronache quotidiane continuano a raccontarci, neppure ciò sembra si stia verificando.

In ambito sanitario, la pandemia ha portato ancora di più allo scoperto le questioni della disparità sociale e dei divari già esistenti. Infatti, essa si è innescata su un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) caratterizzato da 21 differenti sistemi che hanno generato, si ricorderà, un clima di forte contrapposizione tra il Governo e i Presidenti delle Regioni, tutt’altro che improntato su quella leale collaborazione che la Costituzione avrebbe richiesto e la circostanza di straordinaria emergenza obbligato.

Tant’è che a fare chiarezza dovette intervenire da subito la Corte costituzionale con diverse pronunce. Su tutte, la sentenza n. 37/2021 che ricondusse alla materia della profilassi internazionale «ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero a prevenirla», facendola così ricadere nella competenza legislativa statale esclusiva di cui all’art. 117 Cost., secondo comma, lett. q); con la diretta conseguenza che poteva essere esercitata senza alcun necessario coinvolgimento regionale. Quindi, non vennero lasciati spazi riconducibili a una problematicità del riparto di competenze.

La gestione della pandemia spettava allo Stato e il coinvolgimento delle Regioni, innanzitutto attraverso l’interlocuzione all’interno della Conferenza, fu una libera scelta del Governo, a fronte di uno stato eccezionale che richiedeva una forte assunzione di responsabilità politica collettiva. La drammatica situazione, a cui si è dovuto fare fronte, poteva essere un’opportunità per ritrovare una visione unitaria della materia, utile a riequilibrare quelle disparità territoriali evidenziate nella distribuzione delle risorse, nelle infrastrutture e nella carenza del personale. Una possibilità per consentire alle Regioni più in difficoltà di recuperare terreno, offrendo ai propri cittadini servizi quantitativamente e qualitativamente adeguati a garantire quanto dettato dalla Costituzione all’art. 32, dove si enuncia a chiare lettere che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».

Ma, invece, proprio in questi ultimi anni, sono continuati a emergere molti dati che testimoniano un ulteriore ampliamento del divario nei servizi sanitari tra le diverse parti del nostro Paese; e tra questi spicca quanto riferito all’odioso fenomeno della cosiddetta migrazione sanitaria, ossia della necessità per milioni di cittadini di andarsi a curare in Regioni diverse da quella di residenza.

Una circostanza che, alla luce di quanto evidenziato, non può essere certo considerata accidentale, ma piuttosto come la sua più diretta conseguenza. Sembrerebbe quasi che lo stesso Stato incapace di assicurare prestazioni uniformi su tutto il territorio nazionale, come preteso dalla Costituzione, si voglia mettere la coscienza in pace garantendo quel diritto alle cure all’interno del territorio nazionale.

La differenza è enorme, poiché non è questione di parole, ma di sostanza; è proprio così, infatti, che si va a creare un circolo vizioso per cui l’iniqua distribuzione dei fondi statali non solo produce un divario nei servizi offerti, ma anche il paradosso che per colmare tali mancanze lo Stato, in questo caso subito memore dell’universalità del nostro SSN, induce i malcapitati pazienti ad andarsi a curare nelle Regioni maggiormente efficienti, spostando così ancora più risorse verso quei sistemi già in precedenza privilegiati.

Tali fatti svelano un meccanismo (nella sua diabolicità) funzionale, che non è difficile comprendere perché le Regioni più ricche abbiano tutto l’interesse a mantenere, o addirittura a incrementare attraverso la rivendicazione del presunto residuo fiscale che si vorrebbe sotteso alle richieste di autonomia differenziata. Basti leggere la montagna di soldi che gira intorno a questo sistema.

Ingiustizie mobilità sanitaria: tutti i dati

Secondo la fondazione Gimbe, nel 2021, la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto un valore di 4.25 miliardi di euro, cifra nettamente superiore a quella del 2020 (3.33 miliardi), con saldi estremamente variabili tra le Regioni del Nord e quelle del Sud (per saldo s’intende la differenza tra mobilità attiva, ovvero l’attrazione di pazienti provenienti da altre Regioni, e quella passiva, cioè la migrazione dei pazienti dalla Regione di residenza).

Nel Report 2023, riferito all’annualità 2020, si legge che «la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto un valore di € 3.33 miliardi, con saldi estremamente variabili tra le Regioni del Nord e quelle del Sud. […] Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto – le Regioni capofila dell’autonomia differenziata – raccolgono il 94.1% del saldo attivo, mentre l’83.4% del saldo passivo si concentra in Campania, Lazio, Sicilia, Puglia, Abruzzo e Basilicata».

La Corte dei conti, nel Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei Servizi Sanitari Regionali. Esercizi 2020- 2021, evidenzia come ai primi quattro posti per saldo positivo nella mobilità interregionale (2010-2019) si trovano proprio le tre Regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie: Lombardia (6.18 miliardi di euro), Emilia-Romagna (3.35 miliardi), Toscana (1.34 miliardi), Veneto (1.14 miliardi). Al contrario, le cinque Regioni con saldi negativi superiori a 1 miliardo di euro sono tutte nel Centro-Sud: Campania (-2.94 miliardi di euro), Calabria (-2.71 miliardi), Lazio (-2.19 miliardi), Sicilia (-2 miliardi) e Puglia (-1.84 miliardi).

In un recente report curato da SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), Un Paese due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla Salute, pubblicato a febbraio 2024, si legge che «Il monitoraggio LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che offre un quadro delle differenze nell’efficacia e qualità delle prestazioni fornite dai diversi SSR, fa emergere i deludenti risultati del Sud. Nell’ambito della prevenzione oncologica, il ritardo è particolarmente evidente nei tassi di adesione ai programmi di screening, che riflettono anche le carenze di offerta dei SSR meridionali».

Queste spiegano anche la “fuga” dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per le patologie più gravi. Nel 2022, dei 629 mila migranti sanitari (volume di ricoveri), il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, è la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%)».

A fronte di questi dati, rimane da chiedersi cosa resti di quei diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti dall’art. 32 della Costituzione, tra l’altro l’unico in tutta la nostra Carta, e certamente non può essere un caso, in cui l’interesse della collettività viene preceduto e declinato insieme a quello dell’individuo.


Fonte: articolo del Dott. Fabio Ascenzi