A prescindere dalla inutilità, ed eventualmente dal colpevole ritardo, in caso fosse tutto vero, la decisione da parte del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, di nominare una commissione d’accesso per verificare una ipotesi di scioglimento del Comune di Bari a seguito dell’inchiesta della DDA, puzza da lontano per diversi motivi logici.

Sicuramente è già illogico che ci possano essere 130 indagati per voto di scambio, perché significherebbe che la mafia barese dovrebbe avere almeno 130 nuclei indipendenti capaci di sostenere un candidato a testa. Logica mafiosa vorrebbe che si puntasse magari su qualche candidato per avere la certezza di poterli avere in consiglio comunale. A meno che, non si ipotizza che il voto mafioso a Bari sia tanto diffuso e gestito, da poter sostenere la tesi e quindi dire indirettamente ai baresi che sono collusi con la mafia, almeno per il 50% della popolazione. A questo punto non ci potrebbe essere elezione che tenga, perché le stesse persone, voteranno anche la prossima volta.

Ma come la logica di molte inchieste della DDA, che sembrano essere condotte da principianti allo sbaraglio, anche questa sembra fare acqua da tutte le parti. Sarebbe stata più credibile un’inchiesta che fosse circoscritta a qualche consigliere e non a 130.

Con questa operazione condotta dal Gip Alfredo Ferraro su richiesta dei pm della Direzione distrettuale antimafia, che ha portato in tutto di 137 misure nei confronti di 130 indagati, di cui 110 arresti in carcere e 25 ai domiciliari, sembra rivedere la stessa modalità di gestione delle famose reti a strascico di Gratteri, che i politici esaltano a seconda dei casi, passando da garantisti a giustizialisti in una frazione di secondo.

Vedremo poi, quanti di questi effettivamente saranno dichiarati alla fine colpevoli. Il tempo è galantuomo.

Ma che poi si faccia tutto questo a circa due mesi e mezzo dalle elezioni, visto che si vota per il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale a giugno 2024, molto probabilmente giorno 9 in coincidenza con le europee, sembrerebbe inutile e oltremodo ridicolo.

Visto che la commissione d’inchiesta dovrebbe avere il tempo di fare il suo lavoro e quindi poi arrivare eventualmente allo scioglimento, quando di fatto il consiglio comunale e la giunta, sarebbero decaduti comunque. Pertanto, non può che essere un’azione dimostrativa, sicuramente non a tutela dei cittadini, che casomai dovevano essere tutelati prima e non lasciati amministrare per 5 anni dalla mafia.

Quindi? Se di fatto questa sortita non serve alla tutela della legalità, bisognerebbe domandarsi a chi serve. Domandarsi anche, se sia concepibile che il Ministero dell’Interno e la Giustizia italiana, si muovano appunto “quando serve”, trascinando nel ridicolo l’intera nazione, distruggendo sempre di più la credibilità del nostro sistema giustizia.

La credibilità si costruisce con i fatti e nel tempo, perché si fonda sulla probabilità di essere creduti. E non si misura dalle frasi di circostanza dette a servizio delle telecamere, come “ho fiducia nella magistratura”, che tutti gli inquisiti ipocritamente affermano, ma si misura su quello che si dice a telecamere spente.

La giustizia non è solo una questione di codici e procedure, ma soprattutto una questione di giudici ed è quindi prima una questione etica e culturale più che una questione giuridica. Giustizia schiacciata dal silenzio e la complicità di chi è chiamato a garantirla. Palamara docet.

 


Fonte: articolo di Milena Fortis