Obbligo di motivazione semplificata del giudice amministrativo ed esigenze di celerità e tempestività alla luce del principio di risultato: una nota alla sentenza 4422/2023 del Consiglio di Stato.
Il Codice del Processo Amministrativo non esige l’originalità delle modalità espositive né vieta l’uso del contenuto di altri scritti. Le coordinate processuali richiedono piuttosto, che una motivazione esista, sia chiara, comprensibile, coerente: in nessun punto del codice risulta richiesta invece, una motivazione espressa con modalità espositive inedite.
Nel bilanciamento tra esigenze di garanzia e quelle del buon andamento del processo, inteso come forma necessaria del giudizio e quindi dell’accertamento giudiziale, le esigenze di celerità e quelle proprie dell’amministrazione c.d. di risultato, giustificano l’ammissibilità di tecniche motivazionali finalizzate a semplificare la fase di stesura della motivazione anche mediante il solo rinvio alle argomentazioni delle parti che il giudice, condividendole, ritenga di far proprie, assumendole al fine di dare evidenza all’iter logico giuridico che ha condotto alla decisione.
Per il giudice, non si tratta di acritica ricezione di argomentazioni altrui ma di una mera semplificazione del processo di giustificazione formale della decisione giudiziale assunta: dunque un attento vaglio critico ed un’accurata selezione degli argomenti giuridici da comporre in un discorso argomentativo chiaro, esaustivo, rispetto a tutte le questioni poste e trattate dalle parti e, soprattutto, logico, nella connessione dei fatti accertati e delle ragioni giuridiche addotte.
- Motivazione semplificata del giudice amministrativo e tempestività
- Il complesso sfondo normativo su cui si muove la vicenda
- Il fatto da cui è scaturito il contenzioso e il ricorso al TAR PUGLIA
- Le doglianze sollevate in appello davanti ai giudici di Palazzo Spada
- L’interessante percorso argomentativo nella motivazione del Consiglio di Stato
- Considerazioni finali
- Note
Motivazione semplificata del giudice amministrativo e tempestività
Sulla base di tali considerazioni, Il Consiglio di Stato, sez. IV, con un’importante pronunzia del 2 maggio 2023 n. 4422 (Est. L. Monteferrante), ha respinto il ricorso proposto per la riforma della sentenza del giudice di prime cure, appellata da parte soccombente, in quanto ritenuta erronea in punto di diritto.
Lo sviluppo motivazionale adottato dal Collegio giudicante, costituisce materia d’interesse per gli addetti ai lavori nel settore della contrattualistica pubblica, in quanto focalizza l’attenzione sull’art. 36 del D. Lgs. n. 36 del 2023 recante “Norme procedimentali e processuali in tema di accesso” nella parte in cui dispone con riferimento al giudizio sull’accesso agli atti, l’ammissibilità di tecniche motivazionali semplificate, orientate ad accelerare la fase di stesura della motivazione della sentenza del G.A.
Il caso è di particolare interesse in quanto rappresenta un’occasione propizia per i giudici amministrativi di focalizzare l’attenzione e far luce sulle regole, i principi e gli obiettivi di risultato che abbracciano nella loro attualità, l’approdo dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di contratti pubblici e comunque del diritto amministrativo complessivamente considerato.
Il complesso sfondo normativo su cui si muove la vicenda
Ai fini della comprensione dei fatti di causa, oggetto di scrutinio da parte dei giudici di Palazzo Spada, è doveroso ricostruire brevemente il quadro normativo richiamato in sentenza dal Collegio Amministrativo che fa da sfondo alla vicenda. Ed il contesto su cui far convergere l’analisi è quello del Nuovo Codice dei Contratti pubblici recentemente approvato.
La norma di riferimento da utilizzare come punto di partenza, è infatti quella del comma 1 dell’art. 36 del D. Lgs n. 36/2023, il quale così dispone “L’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale (disciplinata dall’art. 25 dello stesso D. Lgs. 36/2023), utilizzata dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell’aggiudicazione”.
Il successivo comma 3 dispone che “Nella comunicazione dell’aggiudicazione, la stazione appaltante o l’ente concedente dà anche atto delle decisioni assunte sulle eventuali richieste di oscuramento di parti delle offerte”. Peraltro, le decisioni in oggetto secondo il comma 4 dello stesso articolo, “sono impugnabili ai sensi dell’articolo 116 del codice del processo amministrativo, con ricorso notificato e depositato entro dieci giorni dalla comunicazione digitale della aggiudicazione”.
Ebbene in relazione al ricorso sull’accesso eventualmente proposto contro l’amministrazione resistente da parte dell’operatore economico, il comma 4 del D. Lgs. n. 36/2023 stabilisce che lo stesso “è fissato d’ufficio in udienza in camera di consiglio nel rispetto di termini pari alla metà di quelli di cui all’articolo 55 del C.P.A. ed è deciso alla medesima udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi entro cinque giorni dall’udienza di discussione, e la cui motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie”.
Il fatto da cui è scaturito il contenzioso e il ricorso al TAR PUGLIA
Ciò premesso, la questione portata all’attenzione del Giudice Amministrativo, si sviluppa per dirimere una complessa controversia nata all’interno di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità. Quest’ultimo aveva come obiettivo, la realizzazione di una variante ad un’opera inserita fra le infrastrutture strategiche e ricompresa tra gli interventi di attuazione del PNNR.
I motivi di ricorso, erano originariamente incentrati contro la mancata adozione del decreto di esproprio da parte dell’amministrazione resistente e, contestualmente, contro gli atti connessi variamente basati sulla presunta insussistenza dei presupposti di legge, per autorizzare la proroga della dichiarazione di pubblica utilità, e più in generale contro il procedimento espropriativo.
Ciò posto, i motivi sollevati dal ricorrente di fronte al TAR PUGLIA, venivano ritenuti infondati dal collegio amministrativo e dunque, respinti con sentenza del 28 ottobre 2022 n. 1493.
Le doglianze sollevate in appello davanti ai giudici di Palazzo Spada
Orbene, per quel che interessa la nostra trattazione, una delle questioni sollevate davanti al Consiglio di Stato e per le quali l’appellante aveva impugnato la sentenza del TAR PUGLIA ruotava intorno alla censura, tra gli altri motivi di gravame, del carattere apparente della motivazione del giudice di prime in quanto a suo dire “copiata per ampi stralci”, dalle memorie difensive che la parte appellata aveva prodotto nel corso del primo grado di giudizio.
Motivo per cui la stessa chiedeva la riforma della decisione adottata da giudice di prime cure in quanto errata in diritto.
L’interessante percorso argomentativo nella motivazione del Consiglio di Stato
Preliminarmente il Consesso Amministrativo, richiamando una recente pronunzia dei giudici di Palazzo Spada (Cons. di Stato, sez. V, 7 gennaio 2021 n. 224), che fa perno su un noto orientamento giurisprudenziale della Cassazione [1] proprio in tema di onere motivazionale delle sentenze, ricorda che “Il Codice del Processo Amministrativo non esige l’originalità delle modalità espositive né vieta l’uso del contenuto di altri scritti. L’originalità delle modalità espositive della sentenza non risulta richiesta, contemplata o anche solo “auspicata” nel codice di rito. Nel codice si richiede, piuttosto, che una motivazione esista, sia chiara, comprensibile, coerente (pertanto non solo apparente); in nessun punto del codice risulta richiesta, invece, una motivazione espressa con modalità espositive “inedite”.
Peraltro, aggiungono i giudici amministrativi: “nella disciplina processuale civile non risulta in alcun modo vietato riportare in sentenza il contenuto di scritti (altre sentenze, atti amministrativi, scritti difensivi di parte o più in generale atti processuali) la cui paternità non sia attribuibile all’estensore. Anzi, specie nelle riforme legislative degli ultimi anni e nella giurisprudenza di legittimità, sembra emergere una tendenza addirittura contraria; e ciò è ormai reso inevitabile anche dalla necessità di dare concreta attuazione al principio costituzionale della ragionevole durata del processo”.
A conferma dell’orientamento richiamato, i giudici di Palazzo Spada sottolineano che dalla ratio che permea il C.P.A. non si ricava un divieto per il giudice di rifarsi a contenuti terzi e quindi di riportare nelle motivazioni della sentenza, quanto richiamato negli atti depositati dalle parti processuali, anzi al contrario “ è espressamente affermato [2] il principio opposto, suscettibile di applicazione in tutti i casi in cui prevalgono esigenze di peculiare speditezza del giudizio, come avviene nel contenzioso per opere ricomprese negli interventi P.N.R.R.”.
Va anche ricordato che, recentemente, il concetto di modalità di stesura della sentenza, ha trovato ampio ed effettivo riscontro nel D. Lgs n. 36/2023, a conferma dunque, sia di una nuova prospettiva del legislatore sia di un cambio di passo normativo, teleologicamente finalizzato a garantire la massima speditezza del giudizio davanti al giudice amministrativo, peraltro attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti di semplificazione amministrativa dove spicca tra gli altri proprio la motivazione della decisione giudiziale che richiama gli scritti difensivi di una delle parti processuali. In particolare l’art. 36 D. Lgs. n. 36/2023 al comma 7, dispone che: “Il ricorso è fissato d’ufficio in udienza in camera di consiglio nel rispetto di termini pari alla metà di quelli di cui all’articolo 55 del codice di cui all’allegato I al decreto legislativo n. 104 del 2010 ed è deciso alla medesima udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi entro cinque giorni dall’udienza di discussione, e la cui motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie.”
Alla luce di quanto richiamato, secondo il Collegio Amministrativo può dunque desumersi il tendenziale consolidarsi di un principio di portata generale secondo cui “nel bilanciamento tra esigenze di garanzia e quelle del buon andamento del processo, inteso come forma necessaria del giudizio e quindi dell’accertamento giudiziale, le esigenze di celerità e quelle proprie dell’amministrazione c.d. di risultato, giustificano l’ammissibilità di tecniche motivazionali finalizzate a semplificare la fase di stesura della motivazione anche mediante il solo rinvio alle argomentazioni delle parti che il giudice, condividendole, ritenga di far proprie, assumendole al fine di dare evidenza all’iter logico giuridico che ha condotto alla decisione”.
Di fatto, l’unica limitazione a tale possibilità è rappresentata dalla necessità che la motivazione, predisposta mediante il supporto diretto del contributo ricostruttivo ed interpretativo fornito dalle parti processuali “non sia una motivazione apparente ma realmente idonea a dar conto delle ragioni giuridiche della decisione”. In tal senso, tali ragioni nonostante siano elaborate dalle parti nella fisiologica dinamica del contradditorio processuale “ben possono essere fatte proprie dal giudice e così assunte a volontà oggettiva dell’ordinamento nel procedimento di sussunzione dei fatti nello schema astratto delle fattispecie normativamente predeterminate e di qualificazione giuridica che ne consegue”.
I giudici di Palazzo Spada quasi a voler sgomberare il campo da ogni dubbio, ritengono che in tali ipotesi “non si tratta di acritica ricezione di argomentazioni altrui ma di una mera semplificazione del processo di giustificazione formale della decisione giudiziale assunta. In ogni caso tale meccanismo presuppone alla base, come necessario punto di partenza, “un attento vaglio critico ed una accurata selezione degli argomenti giuridici da comporre in un discorso argomentativo chiaro, esaustivo, rispetto a tutte le questioni poste e trattate dalle parti e, soprattutto, logico, nella connessione dei fatti accertati e delle ragioni giuridiche addotte”.
Inoltre, ed è questo un passaggio motivazionale importante, quand’anche il giudice recepisca il materiale elaborato da una delle parti processuali per accogliere la domanda, va da sé che “non viene meno al dovere di imparzialità e di terzietà e quindi ai principi del giusto processo poiché tale operazione rappresenta comunque l’esito di un processo logico di vaglio e di selezione critica di tutte le argomentazioni, in fatto ed in diritto, prospettate dalle parti nella dinamica del contraddittorio, alla luce delle disposizioni di legge ritenute pertinenti al caso”.
Nel caso di specie scrutinato dai giudici di Palazzo Spada, per il Collegio Amministrativo non emerge dunque un problema rectius un vizio di inesistenza/carenza della motivazione, dal momento ogni capo della decisione adottato dal giudice di prime cure “è sufficientemente motivato, anzi idoneo a spiegare le ragioni delle conclusioni cui è pervenuto il giudice, sebbene mutuate dagli scritti di parte”.
Alla luce delle superiori considerazioni, dei richiami normativi e dei richiami giurisprudenziali evidenziati, i giudici del Consiglio di Stato, ritenendo infondata la censura sollevate, rigettano l’appello confermando la decisione adottata dal giudice in primo grado.
Considerazioni finali
La sentenza in commento, risulta particolarmente interessante in quanto concerne un caso di specie dove il Collegio Amministrativo, sebbene sia chiamato a dipanare un particolare tipo di contenzioso (che nasce per regolare questioni in materia di urbanistica, e quindi un settore del diritto amministrativo ben lontano dalla sfera del public procurement e più in generale della contrattualistica pubblica), costituisce parallelamente un’occasione propizia per gli stessi giudici attraverso la quale, far emergere in maniera chiara certi tipi di argomentazioni giuridiche, da rileggere oggi sotto una prospettiva diversa.
Chiaro infatti è il riferimento ad un nuovo mood normativo finalizzato per volontà legislativa, alla semplificazione e alla celerità in un’ottica di raggiungimento del principio di risultato, che nelle disposizioni del nuovo D. Lgs. n. 36/2023 in tema di accesso trova indubbiamente la massima espressione. Del resto, la riforma che ha abbracciato l’intera materia dei contratti pubblici, va certamente letta e interpretata in un contesto di rivoluzione copernicana amministrativa, preliminarmente legata alla spinta propulsiva del contesto emergenziale degli ultimi 3 anni, senza dimenticare però la martellante e fondamentale spinta del diritto unoniale, che ha impattato fortemente sugli ordinamenti dei singoli stati membri, obbligati ad adottare politiche normative con al centro la semplificazione amministrativa, la speditezza e il raggiungimento di risultati mirati, tempestivi e non ultimo di qualità [3].
Ciò posto, la prevista ammissibilità di tecniche redazionali finalizzate a semplificare la fase di stesura della motivazione della sentenza, risultano quindi prodromiche per garantire il risultato in maniera chiara, efficiente e tempestiva, di modo che l’affidamento e l’esecuzione del contratto, si realizzino con la massima accelerazione (senza tralasciare naturalmente il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo).
Orbene, tale esigenza di tempestività, seppur cruciale nello spirito di un nuovo utilizzo di modalità redazionali della sentenza del giudice amministrativo, deve tuttavia obbligatoriamente tener anche conto, degli altri interessi in gioco sussistenti nell’ambito del giudizio.
Del resto, come già evidenziato in precedenza, nella decisione adottata dai giudici di Palazzo Spada, l’applicazione della sentenza redatta in forma semplificata comporta che l’obbligo della motivazione, deve pur sempre rappresentare il frutto del bilanciamento tra le esigenze di garanzia e quelle del buon andamento e tempestività del processo. Tale bilanciamento può essere garantito quindi, attraverso una motivazione che nel rinviare alle argomentazioni di una delle parti processuali (in un’ottica di accelerazione e semplificazione), risulti comunque potenzialmente idonea a dar conto delle ragioni fattuali e giuridiche della decisione, al fine di non incorrere nella c.d. “motivazione apparente”.
Per concludere, si può osservare come la pronuncia suddetta, apre degli interessanti scenari in divenire per gli operatori del diritto se è vero che da essa, traspare una precisa volontà di approcciarsi a nuove prospettive anche in termini di flessibilità e semplificazione processuale. In tal senso il nuovo Codice dei Contratti Pubblici, assume certamente un ruolo chiave di estrema importanza in tale sistema, non solo quale punto di riferimento normativo, ma anche strategicamente come nuovo paradigma ideale e culturale, rappresentando in quest’ottica una sorta di pietra angolare da cui far ripartire e plasmare gradualmente un nuovo modello di Pubblica Amministrazione in chiave più dinamica e moderna.
Note
[1] Cass. Civ. sez. lav. 9 luglio 2020 n. 14629
[2] Il riferimento è al contenzioso in materia elettorale e, segnatamente all’articolo 129, comma 6, laddove si prevede che “Il giudizio è deciso all’esito dell’udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi nello stesso giorno. La relativa motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie”.
[3] Tale tendenza trova effettivo e concreto riscontro anche dal punto 9 della Relazione illustrativa al nuovo Codice dei contratti pubblici, dalla quale emerge come i principi ispiratori su cui è stato fondato l’intero impianto normativo voluto dal legislatore, risultano essere orientati proprio quelli della “semplificazione”, “accelerazione”, “digitalizzazione” e “tutela” dei lavoratori e delle imprese.