Secondo i dati forniti da Openpolis sono ancora poche le donne che in Italia rientrano tra i sindaci nelle principali città: ecco tutti i numeri allo stato attuale.
La nascita del primo governo guidato da una donna ha rappresentato senza dubbio un elemento di grande novità nel panorama politico italiano.
Per quanto importante però questo singolo incarico non è sufficiente a bilanciare lo squilibrio di genere che caratterizza la politica italiana a tutti i livelli: parlamento, regioni e comuni.
E soprattutto sono ancora troppo poche le donne alla guida delle principali città italiane.
Sindaci in Italia, nelle principali città poche donne
Le recenti elezioni amministrative hanno visto una crescita di donne elette come prime cittadine delle principali città italiane (da 7 a 9). Parliamo comunque di numeri bassissimi, considerando gli oltre cento capoluoghi di provincia nel paese. A questo si aggiunge che, con la fine del mandato della sindaca di Ancona Valeria Mancinelli, oggi nessuna donna guida un capoluogo di regione.
Nelle giunte e nei consigli la quota femminile è più elevata solo per gli incarichi per cui sono previste norme sull’equilibrio di genere. Regole che però possono talvolta essere aggirate.
Norme sulla disparità di genere e libertà di voto
In Italia gli incarichi politici nelle amministrazioni locali sono sottoposti a una serie di norme a tutela dell’equilibrio di genere.
Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.
In attuazione dell’articolo 51 della costituzione sono intervenute nel tempo alcune leggi (in particolare il testo unico sugli enti locali e la legge Delrio) che tuttavia hanno dovuto bilanciare questo principio con la libertà di voto. Per i consiglio comunali quindi, non potendo incidere sugli eletti, si è intervenuti sulle candidature prevedendo che in ciascuna lista elettorale nessun genere può essere rappresentato per oltre i due terzi. Inoltre è stata inclusa la possibilità di inserire due voti di preferenza che, se espressi entrambi, devono differire per genere del candidato (doppia preferenza di genere).
La legge elettorale utilizzata per eleggere i sindaci e i consiglieri comunali è la stessa in quasi tutta Italia. Nelle regioni a statuto speciale i sistemi elettorali sono di solito molto simili, pur esprimendo talvolta alcune specificità.
Com’è ovvio una disciplina di questo tipo non può riguardare l’elezione a una carica monocratica, come quella del sindaco. La legge però, come vedremo meglio in seguito, è intervenuta sulla composizione della giunta comunale, prevedendo che nessun genere possa essere rappresentato in misura inferiore al 40%, almeno nelle regioni a statuto ordinario.
La distribuzione di genere negli incarichi
A dimostrazione dell’efficacia, almeno parziale, delle norme sull’equilibrio di genere è possibile osservare come siano proprio gli incarichi su cui intervengono queste regole quelli su cui si registra la maggiore presenza femminile.
Le donne assessore nei comuni capoluogo sono infatti il 44,5%. Sono meno le vicesindache (35,8%) e, a maggior ragione, le sindache (8,4%). L’incarico di vertice delle amministrazioni comunali in effetti è anche quello in cui, complessivamente, le donne trovano minore rappresentanza.
Le donne nelle giunte dei comuni capoluogo nel 2023
La quota di donne che ricoprono i ruoli di sindaco, vicesindaco, assessore, presidente del consiglio comunale o consigliere in un comune capoluogo di provincia.
Discorso analogo vale anche per gli incarichi in consiglio comunale. Sono infatti il 32,5% le donne che ricoprono il ruolo di consigliere semplice o di vicepresidente del consiglio comunale. Un dato ancora non sufficiente per parlare di un effettivo equilibrio di genere ma decisamente più elevato di quello delle donne che presiedono i consigli comunali (14%).
Le giunte comunali e i requisiti di legge
Come abbiamo visto la legge prevede che nelle giunte comunali il genere meno rappresentato costituisca almeno il 40%.
In 32 dei 107 comuni considerati la quota di donne in giunta supera il 40%. Tra questi 9 si trovano in una situazione di parità (50%) mentre in 4 giunte il numero di donne supera quello degli uomini. Si tratta di Pavia, Rovigo, Vibo Valentia (in cui sono presenti 5 donne e 4 uomini) e Modena (6 donne e 4 uomini). In altri 56 comuni invece il numero di donne in giunta arriva esattamente al 40%.
Non arrivare al 40% di donne in giunta tuttavia non vuol dire necessariamente non rispettare la norma, almeno stando alla giurisprudenza del consiglio di stato. È quello che avviene ad esempio nei comuni di Campobasso, Trieste, Gorizia, Venezia, Oristano, Treviso e Verbania. Nel caso di Venezia ad esempio le donne sono 4 su 11, ovvero il 36,36%. Secondo il supremo giudice amministrativo però il limite minimo legale va calcolato in modo diverso. Il 40% di 11 infatti è pari 4,4 che arrotondato fa 4, ovvero il numero minimo di donne che devono essere presenti in giunta.
Nonostante questa interpretazione tutt’altro che rigida della norma, esistono ben 12 comuni capoluogo che si pongono al di sotto anche di questo limite. Si tratta di Catania (1 donna su 11), Agrigento (1 su 10), Enna (1 su 9), Messina, Ragusa, Siracusa, Trapani (2 su 10), Bolzano (2 su 7), Caltanissetta, Ascoli Piceno, Barletta (3 su 9) e Palermo (4 su 12).
Nella maggior parte dei casi però si tratta di amministrazioni appartenenti a province o regioni a statuto speciale. In effetti in questa condizione si trovano tutti i capoluoghi di provincia della Sicilia. Una situazione possibile perché la legge regionale in materia di nomina dei componenti delle giunte comunali prevede sì degli obblighi in materia di parità di genere, ma decisamente meno stringenti. Nell’isola infatti è sufficiente che entrambi i generi siano rappresentati, anche con un solo componente (Lr 6/2011, art. 4).
Per quanto legittime, le nomine delle giunte delle principali città siciliane esprimono chiaramente l’insufficienza delle norme regionali chiarendo ancora una volta l’efficacia delle regole poste a garanzia di un effettivo equilibrio di genere.
E questo nonostante talvolta la norma nazionale venga aggirata anche in quei territori in cui risulta a tutti gli effetti in vigore. Infatti la nomina di un’assessore da parte del sindaco ha carattere fiduciario. Dunque nel caso in cui il sindaco non sia riuscito a trovare nessuna donna con le caratteristiche ritenute necessarie ad assolvere questo compito è legittimato a violare la norma. Una giustificazione che in ogni caso dovrebbe essere adeguatamente provata.
Ad Ascoli Piceno e Barletta, ovvero i due comuni sotto la soglia Delrio che non appartengono a regioni a statuto speciale, la situazione è però ancora un po’ diversa. In entrambi i casi infatti la giunta nominata dopo le elezioni risultava conforme ai requisiti di legge. Solo in seguito a rimpasti e dimissioni di alcuni assessori la quota di donne si è posta sotto i limiti legali. Una situazione di irregolarità che comunque i sindaci dovrebbero provvedere a rimuovere.
Fonte: Openpolis