Roberto Bolzonaro, vicepresidente del Forum delle Associazioni familiari, risponde a Cristiano Gori, spiega perché il nuovo Isee penalizza di circa il 10% le famiglie con uno o due figli e contesta la scala di equilvalenza
Cristiano Gori afferma che l’approvazione del nuovo Isee è positiva e raccoglie quello che tutti chiedevano da anni. Non solo, Gori critica le Associazioni familiari per essere cadute in confusione, scambiando uno strumento – quale deve essere l’Isee – per una politica familiare.
Ma la critica delle associazioni familiari all’Isee si basa su un dato oggettivo: la scala di equivalenza. Senza dimenticare l’inserimento nel computo dell’ISEE anche dei redditi non tassabili, quali ad esempio, gli assegni familiari e le indennità per la non autosufficienza e la disabilità.
La scala di equivalenza
Nella revisione dell’Isee è stata utilizzata la vecchia scala di equivalenza, appena maggiorata per le famiglie con tre, quattro figli e cinque figli. Ma dimenticando le famiglie con sei, sette, otto figli: saranno poche, ma perché far finta che non esistano? La scala di equivalenza utilizzata dall’Istat è ben diversa (e pesa i carichi familiari in modo più significativo di quella del nuovo Isee, certamente molto “avara” e penalizzante); ma in pochi, ministro compreso, si sono presi la briga di confrontare i numeri.
I casi sono due: o l’Istat utilizza una scala errata e quindi tutti i calcoli che fa sulla povertà delle famiglie in Italia sono sbagliati da anni, o il viceministro Guerra, arroccatasi su una scala vecchia e stantia, ritiene che portando a livello pari all’Istat (circa) solo le famiglie con tre, quattro e cinque figli e penalizzando le altre si fotografi meglio la situazione economica delle famiglie (cfr il grafico in allegato).
La verità è che la scala di equivalenza utilizzata dall’Isee è stata adottata senza aver portato, fino a prova contraria, alcun appiglio scientifico (nemmeno nelle audizioni delle commissioni parlamentari). Studi universitari hanno dimostrato ben altre equivalenze sui costi e sulle equivalenze legati alla numerosità del nucleo familiare, ma anche in base all’età dei figli. Queste scale sono adottate dal Fattore Famiglia, non come metodo di politica familiare, ma come strumento oggettivo per calcolare la capacità contributiva della famiglia. Altro che “confusione” delle Associazioni familiari.
Altro aspetto gravissimo. La scala adottata dal governo equipara una famiglia monogenitoriale (per vedovanza o ragazza madre) con le altre, dove ci sono entrambi i genitori. Ma non distinguendo i casi di mono genitorialità dagli altri, come fa invece il FattoreFamiglia, si creano situazioni inique. La mono genitorialità viene riconosciuta solo in caso di disoccupazione dell’unico genitore con figli minorenni: ma con che cosa vive quella famiglia? E dopo i 18 anni dei figli, cosa avviene? I figli vanno tutti a lavorare e non studiano più? Oppure studiano e non mangiano e non si vestono? Infine, quello che riteniamo un gravissimo errore è di non avere fatto nessuna, ma proprio nessuna, simulazione sull’impatto che il nuovo strumento avrebbe avuto sulle famiglie. Nonostante che le associazioni delle famiglie lo avessero chiesto a più riprese.
Disabilità
Molti sono i dubbi ed i motivi di perplessità da parte delle associazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie in merito alle ricadute delle novità contenute nelle modalità di calcolo del nuovo Isee. Per questo le associazioni hanno chiesto con forza che la legge venga sottoposta a verifica dopo un anno dalla sua applicazione.
Certe invece sono la distorsione e l’iniquità derivante dall’inclusione nella somma dei redditi ai fini del calcolo dell’Isee dei «trattamenti assistenziali, previdenziali e delle indennità, comprese carte di debito e buoni spendibili per l’acquisto di servizi, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche», aggravate dall’eliminazione del parametro aggiuntivo dello 0,5 precedentemente previsto sulla scala di equivalenza per ogni componente con handicap psico-fisico. Queste scelte peggiorano la situazione delle persone con disabilità e rendono di fatto non esigibile il principio costituzionale che afferma che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Considerare reddito l’azione che lo Stato mette in atto nel tentativo di ripristinare pari opportunità per cittadini svantaggiati è concettualmente assurdo. Per porre una “pezza” il governo ha pensato di introdurre una detrazione massima di 5.500 euro più le spese mediche (max 5.000 €) per le disabilità gravi.
Riassumendo: per la famiglie con disabile, togliere 0,5 punti nella scala di equivalenza, inserire le indennità nel computo dei redditi, togliere una franchigia di 5.500 euro più le spese mediche (max 5.000 €), significa, a detta del ministero, elaborare un strumento che «equamente divida le famiglie in base alla propria capacità economica»!
I grafici allegati dimostrano che la scala adottata dal nuovo Isee penalizza del 10% circa le famiglie con uno e due figli (più dell’80% delle famiglie con figli) rispetto ai calcoli Istat. Il buon padre di famiglia (anche la madre, beninteso) i conti li sa fare, eccome. E molto meglio che il nostro ministero e tanti commentatori scarsamente o per nulla informati. Non a caso le associazioni dei disabili hanno avviato una class action contro quella che definiscono come legge nefasta. Condividiamo e sosteniamo.
FONTE: www.vita.it
AUTORE: Roberto Bolzonaro, vicepresidente Forum delle associazioni familiari