Divieto licenziamento dipendente neopapàCosì come per le madri, scatta il divieto di licenziamento anche per il dipendente neopapà, ma ci sono alcune eccezioni. Vediamolo insieme.


Divieto licenziamento dipendente neopapà: come riportato recentemente da una circolare dell’Inps, è stata modificata la norma che tutela i dipendenti appena diventati papà.

I neopapà non potranno essere licenziati, così come succede per le madri. Ma ci sono delle eccezioni.

Ecco quali sono.

Divieto licenziamento dipendente neopapà: come funziona la norma

Fino a poco tempo fa, i neopapà non avevano le stesse tutele riconosciute alle neo-mamme, sul licenziamento. Per le lavoratrici madri, infatti, vige il divieto di licenziamento che vai 300 giorni che precedono il concepimento fino al primo anno di vita del bambino.

La novità era stata introdotta dalla riforma della maternità, decisa dal Governo Draghi, resa effettiva dal decreto legislativo del 30 giugno 2022, n°105, pensata per “migliorare la conciliazione tra attività lavorativa e vita privata per i genitori e i prestatori di assistenza”.

Il decreto ha, quindi, modificato il Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, aggiungendo nuove tutele, come l’aumento del congedo di paternità.

Il 20 marzo 2023, l’Inps ha pubblicato una circolare che conferma il divieto di licenziamento per i dipendenti neopapà, estendendo questo periodo per il primo anno di vita del bambino.
La circolare specifica, inoltre, che se il dipendente rassegna le dimissioni in questo periodo, mantiene comunque il diritto alla Naspi, anche nel caso di dimissioni improvvise.

Divieto licenziamento dipendente neopapà: quali sono le eccezioni

Ci sono, però, delle eccezioni al divieto di licenziamento per i dipendenti diventati genitori da poco.

Come specificato nell’art.54 del Testo Unico sulla maternità e paternità, il divieto di licenziamento non si applica nei seguenti casi:

  • Colpa grave del dipendente, che costituisce una giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
  • Cessazione dell’attività dell’azienda;
  • Ultimazione della prestazione per la quale il dipendente è stato assunto o risoluzione del rapporto di lavoro per scadenza del contratto (nel caso di contratti a termine);
  • Esito negativo della prova.

Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it