I corretti parametri di calcolo per definire la compensazione economica a favore dell’appaltatore nelle ipotesi di aumento improvviso dei prezzi: nota di commento alla Sentenza del Consiglio di Stato – sez. IV, 9 gennaio 2023 n. 278 a cura dell’Avv. Renzo Cavadi.
Il modello da seguire per definire la quantificazione economica della compensazione in favore dell’appaltatore in caso di aumento improvviso dei prezzi (cosi come disposto dall’articolo 1 del D.L. n. 162/2008 in combinato con l’articolo 133 del D. Lgs 133/2006 e col decreto del Ministero Infrastrutture del 2009), va calcolato non in base ad un’astratta comparazione dei prezzi ma in base agli effettivi maggiori costi sopportati.
La norma infatti, è intesa non a riconoscere una sorta di finanziamento a fondo perduto, (come sarebbe se la compensazione venisse riconosciuta a prescindere da un pregiudizio concreto subito dall’appaltatore), ma a ristorare quest’ultimo da perdite effettivamente subite. Da ciò si ricava che non spetta al responsabile del procedimento rimediare ad eventuali carenze della domanda, atteso che solo l’impresa interessata ad ottenere la compensazione, può sapere quale sia di fatto la documentazione idonea a sostenere la richiesta.
Aumento improvviso prezzi: compensazione in favore dell’appaltatore
Sulla base di tali considerazioni, Il Consiglio di Stato, sez. IV, con un’importante pronunzia del 9 gennaio 2023 n. 278, (Est. F. Gambato Spisani), si è soffermato su una questione di grande interesse per gli addetti ai lavori nel settore degli appalti, vale a dire il tema della revisione contrattuale ed in particolare dell’esatto importo da corrispondere in via compensativa all’impresa appaltatrice ogni qual volta si venga a determinare un aumento consistente del costo dei materiali utilizzati.
Il caso è di particolare interesse in quanto, sebbene s’inserisca nell’ambito di quelle pronunzie a esaurimento governate ratione temporis dal complesso di norme che abbracciavano il vecchio codice degli appalti, in vero risulta sempre di grande attualità, anche alla luce dei fatti che si sono sviluppati negli ultimi anni (dalla pandemia legata al Codiv-19 alla guerra in atto tra Russia e Ucraina). Eventi che hanno determinato un inevitabile aumento improvviso dei costi delle materie prime tale da ingenerare in capo a tutti le imprese che hanno sottoscritto determinati contratti, la necessità di chiedere un riallineamento dei compensi economici dovuti per situazioni eccezionali a fronte dei lavori eseguiti.
Il complesso sfondo normativo su cui si muove la vicenda
Ai fini della ricostruzione del caso di specie, nonché della comprensione successiva delle motivazioni utilizzate dai giudici di Palazzo Spada a seguito doglianze sollevate da parte appellante, risulta necessario richiamare lo sfondo normativo dal quale scaturiscono i fatti oggetto del contendere.
L’articolo 133 del D. Lgs n. 163/2006, normativa vigente all’epoca dei fatti, prevedeva al comma 2, che “per i lavori pubblici affidati dalle stazioni appaltanti non si può procedere alla revisione dei prezzi e non si applica il comma 1 dell’articolo 1664 del codice civile”, imponendo quindi un regime di “prezzo chiuso”. Il successivo comma 4 disponeva però che “in deroga a quanto previsto dal comma 2, qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10 per cento rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell’anno di presentazione dell’offerta con il decreto di cui al comma 6, si fa luogo a compensazioni, in aumento o in diminuzione, per la metà della percentuale eccedente il 10 per cento e nel limite delle risorse di cui al comma 7”. Il quale costituiva un fondo speciale per far fronte a tali eventualità.
Di fatto ai fini del calcolo della compensazione in aumento il comma 5 disponeva che essa fosse quantificata “applicando la metà della percentuale di variazione che eccede il 10 per cento al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell’anno solare precedente al decreto di cui al comma 6 nelle quantità accertate dal direttore dei lavori”. Infine, il comma 6 prevedeva che, per ottenere la compensazione “a pena di decadenza, l’appaltatore presenta alla stazione appaltante l’istanza di compensazione, ai sensi del comma 4, entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del decreto ministeriale di cui al comma 6”.
Alle norme richiamate si deve aggiungere il citato decreto legge n. 162/2008 il quale, allo scopo di favorire le imprese a fronte di aumenti eccezionali registrati proprio in quel periodo, ha ampliato i presupposti della compensazione, prevedendo al comma 1 dell’articolo 1 che “in deroga a quanto previsto dall’articolo 133, commi 4, 5, 6 e 6-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rileva entro il 31 gennaio 2009, con proprio decreto, le variazioni percentuali su base semestrale, in aumento o in diminuzione, superiori all’otto per cento, relative all’anno 2008, dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi”. La stessa norma ha previsto che l’istanza fosse presentata entro 30 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta del decreto ministeriale di rilevamento di variazione dei prezzi. Il decreto ministeriale concernente il caso in oggetto è stato pubblicato il 30 aprile 2009.
Il fatto da cui è scaturito il contenzioso
Un’ATI, a seguito dell’esecuzione di un appalto di lavori straordinari all’interno di una caserma, presentava istanza al competente Ministero della Difesa al fine di farsi riconoscere quanto spettantegli come quota compensativa in aumento dei costi delle materie prime. Successivamente all’istanza, seguiva una formale richiesta di chiarimenti dello stesso Ministero nonché richiesta formale di integrazione avente ad oggetto fatture e dichiarazioni a sostegno della domanda.
La stessa amministrazione respingeva l’istanza presentata, nel presupposto che la documentazione inviata dall’ATI fosse inidonea in quanto trasmessa ben oltre il termine decadenziale di 30 giorni. Inoltre nella nota di risposta, la stessa evidenziava la presenza di tutta una serie di circostanze invalidanti (mancanza di bolle di accompagnamento del materiale, fatture che indicavano cantieri diversi rispetto a quello oggetto del contratto e anche fatture concernenti prezzi concordati in precedenza e come tali non rientranti nella compensazione).
Sostanzialmente il Ministero della Difesa, al di là del mancato rispetto del termine decadenziale, ha rimarcato l’assenza di pertinente documentazione giustificativa.
Il ricorso al TAR Sardegna e le motivazioni del giudice di primo grado
Contro il secco diniego dell’amministrazione, l’ATI ritenendosi lesa nei suoi diritti, decideva allora di proporre ricorso giurisdizionale incardinato al T.A.R. Sardegna, chiedendo contestualmente l’accertamento del proprio diritto alla compensazione economica nonchè la condanna dell’amministrazione al pagamento della quota dovuta comprensiva degli interessi (da liquidarsi anche con riferimento a quanto prevede la disciplina dei ritardi di pagamento per le transazioni commerciali prevista dal decreto legislativo 9 ottobre 2002 n. 231).
Nella sua memoria difensiva, il Ministero ha sostenuto che ai fini dell’ottenimento della compensazione, sarebbe stato imprescindibile presentare entro il termine decadenziale la domanda con tutte la documentazione utile, cosa che nel caso in oggetto non si era verificata.
Il giudice di primo grado, accogliendo solo in parte il ricorso, ha ritenuto che “l’onere di presentare l’istanza entro un termine decadenziale, non potesse essere esteso, nel silenzio della norma, anche ai documenti giustificativi “in base al noto principio per cui non si danno decadenze non previste dalla legge”; nel passaggio successivo ha però chiarito che per determinare la compensazione in aumento eventualmente dovuta, si dovesse procedere non in termini astratti, ma con riferimento a parametri concreti
Più precisamente secondo il TAR, nel primo caso “il confronto dovrebbe essere effettuato tra il prezzo rilevato con l’apposito decreto ministeriale nell’anno di presentazione dell’offerta e quello rilevato sempre con l’apposito decreto ministeriale nell’anno di contabilizzazione”; invece nel secondo caso “andrebbe preso in considerazione il prezzo formulato nell’offerta, in raffronto a quanto effettivamente speso in più dall’appaltatore (rispetto alle previsioni iniziali) e documentato con le fattura di acquisto dei materiali”.
Su questi presupposti, il collegio amministrativo della Sardegna sez. I, con sentenza, n. 835/2015, in relazione alle fatture presentate dalla ricorrente, ha ritenuto di prenderne in considerazione soltanto una con interessi di legge.
Le doglianze sollevate in appello davanti ai giudici di Palazzo Spada
L’Associazione temporanea di imprese decideva dunque di appellare davanti al Consiglio di Stato tale sentenza, articolando peraltro un unico motivo di appello relativo alla violazione dell’articolo 1 del decreto legge n. 162/2008.
In particolare, l’appellante ha sostenuto che il TAR ha errato “…nell’adottare il criterio concreto per il calcolo della compensazione, e che essa invece si dovrebbe calcolare in base ai dati astratti contenuti nei decreti ministeriale, nel senso sopra esposto, e che quindi in tal senso non vi sarebbe stata necessità di presentare alcuna documentazione a corredo…”. In subordine, nel caso in cui invece la documentazione fosse ritenuta necessaria, l’ATI ha dedotto che” ai sensi della dell’art. 7 della legge 241 del 1990, il responsabile del procedimento la avrebbe dovuta richiedere di sua iniziativa”.
Nelle richieste finali l’appellante concludeva la sua doglianza, reiterando la domanda di condanna con maggiorazione di interessi della somma dovuta.
I Giudici di Palazzo Spada, con un’articolata motivazione hanno integralmente rigettato il ricorso dell’ATI.
La decisione del Consiglio di Stato
Quanto al primo profilo, concernente l’esatta quantificazione della quota di compensazione in aumento spettante all’impresa, il Consiglio di Stato ha chiarito che “…la norma, come risulta a semplice lettura, è intesa non a riconoscere una sorta di finanziamento a fondo perduto, come sarebbe se la compensazione venisse riconosciuta a prescindere da un pregiudizio concreto subito dall’appaltatore, ma a ristorare quest’ultimo da perdite effettivamente subite”.
L’operazione di comparazione dei prezzi trova fondamento normativo nel testo dell’art. 133 del D. Lgs 163/2006 dove si fa riferimento “a “lavorazioni contabilizzate” in un anno solare ben determinato e a “quantità accertate” relative alle lavorazioni stesse, il che rimanda ad una valutazione concreta, e non a criteri astratti. A conferma di questa tesi, la circolare applicativa della norma (circolare del Ministero delle infrastrutture 4 agosto 2005 n.871), richiede all’art. 2, comma 2, che il direttore dei lavori provveda ad accertare “le quantità del singolo materiale da costruzione cui applicare la variazione di prezzo unitario” sulla base della contabilità di cantiere, e quindi con un apprezzamento relativo alla situazione di fatto così come essa si presenta…”.
Anche il secondo profilo, concernente la possibile carenza istruttoria addebitabile all’amministrazione resistente (nell’ipotesi in cui si ammetta che la compensazione debba ancorarsi a dati concreti), è stato ritenuto infondato.
Secondo il collegio, non spetta certo al responsabile procedimentale rimediare a carenze evidenziabili nella domanda e tanto meno attivarsi per richiedere all’operatore economico i documenti necessari. Poiché, come scrivono i giudici amministrativi “la documentazione contabile di un’impresa, come è del tutto ovvio, è nella disponibilità dell’impresa stessa e non dell’amministrazione, che con l’impresa abbia concluso un qualche contratto. È poi solo l’impresa interessata ad ottenere la compensazione a poter sapere quale sia la documentazione idonea a sostenere la relativa richiesta. Non si comprende quindi quale contenuto effettivo avrebbe potuto avere il preteso onere di acquisirla da parte del responsabile di procedimento…”.
Inoltre, per quanto concerne la determinazione del calcolo degli interessi sulla somma dovuta richiesta all’amministrazione, il Consiglio di Stato lo ritiene inammissibile per carenza del presupposto della soccombenza. Secondo i giudici amministrativi infatti, la formula adottata dal TAR “va letta con riferimento alle norme speciali applicabili alla fattispecie, norme che all’epoca dei fatti erano da individuate nell’articolo 133 del D. Lgs 12 aprile 2006 n. 163”. Pertanto, non vanno applicate né alla disciplina classica degli interessi legali, né quella per i ritardi delle transazioni commerciali di cui al d. lgs. n. 231 del 2002.
Ricapitolando dunque, secondo i giudici di Palazzo Spada, la compensazione ex art. 1 del D.L. n. 162 del 2008, va calcolata non in base ad una comparazione astratta del listino prezzi, ma concretamente in base agli effettivi maggiori costi sostenuti dall’operatore economico: logica conseguenza è che il ricorso è stato integralmente rigettato, con condanna del ricorrente alla refusione delle spese processuali.
Considerazioni finali
Le considerazioni espresse dal Collegio, seppur ancorate a valutazioni interpretative di una normativa legata alla disciplina legata al vecchio codice degli appalti, hanno il pregio di avere lasciato delle coordinate interpretative di un rilievo sull’importanza strategica di alcuni principi chiave non espressi (ma che rivestono una portata generale nella materia della contrattualistica pubblica), e che inevitabilmente risultano essere altresì applicabili ad ipotesi riconducibili alla disciplina sopravvenuta.
La pronunzia dei giudici amministrativi infatti, se da un lato tende a definire con precisione la portata applicativa dell’istituto della compensazione, dall’altro sul versante processuale, va a delineare i confini dell’onere probatorio in relazione all’istruttoria che fa capo a ogni impresa, la quale ex lege, deve processualmente dimostrare (allegando con documentazione specifica e dettagliata), l’aumento dei costi dei materiali utilizzati.