Un nuovo volume dedicato alle dimensioni dello Smart Working in Italia ed alle sfide ed esperienze volte a rendere questa transizione sostenibile.
Il libro “Dimensioni dello smart working“, edito da Franco Angeli, scritto a più mani, approfondisce il concetto di smart working per la prima volta attraverso un approccio multidisciplinare, partendo da un’analisi delle esperienze di remote working maturata durante la pandemia per poi delineare proposte per il futuro che consentano la piena applicazione del paradigma dello smart working nelle aziende e nelle PA, valorizzando le persone e i loro talenti.
Transizione digitale, innovazione, organizzazione, sostenibilità, urbanistica, pubblica amministrazione, politica, uguaglianza di genere, comunicazione, responsabilità, sicurezza, privacy: sono alcune delle dimensioni che strutturano lo smart working.
Che non è solo quello che abbiamo in parte sperimentato durante la pandemia, e a cui l’86% dei lavoratori non vorrebbe più rinunciare, ma un paradigma culturale, organizzativo e tecnologico che rivoluziona l’ecosistema produttivo svincolando la prestazione lavorativa dai limiti di tempo e di luogo e ancorandola invece a obiettivi, risultati, responsabilità.
Dimensioni dello Smart Working: sfide ed esperienze per una transizione sostenibile
Il libro contiene contributi di numerosi professionisti che a vario titolo si sono occupati del tema del lavoro agile: Andrea Emanuele Apostolo, Associazione EquALL, Alberto Bortolotti, Massimo Canducci, Marco Carlomagno, Diego Dimalta, Flavia Gamberale, Edoardo Limone, Gaia Morelli, Mara Mucci e Roberto Reale.
Tra le voci di cambiamento che trovate nel libro anche quella di Antonio Naddeo, Presidente dell’Aran, Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, che ha scritto la presentazione del libro:
“Lo Smart Working è un modo innovativo di lavorare, siamo all’interno di un’epoca di grande e generale trasformazione del lavoro. Questa trasformazione necessita non solo di nuove regole, ma anche di una riprogettazione organizzativa per disegnare nuove strutture e nuovi processi. Il periodo del lockdown non può essere preso come modello di lavoro agile, perché quello a cui si è fatto ricorso è stata una forma ibrida di home working e soprattutto, per molti lavoratori, in modalità obbligatoria. È indubbio però che in tale periodo si siano apprezzati molti aspetti positivi di questa forma di lavoro: non si esce più da casa alla stessa ora, meno traffico, meno caos, maggiore disponibilità di tempo, equilibrio psichico. Quindi, occorre sfruttare l’esperienza fatta per introdurre questo nuovo modo di lavorare all’interno delle organizzazioni.”
Fonte: articolo a cura di Marco Carlomagno, Segretario generale della Flp