erogazioni-pubbliche-corte-contiL’Avv. Maurizio Lucca esamina, per lentepubblica, una recente Sentenza della Corte dei Conti che ha avuto clamore nella stampa nazionale: l’argomento è quello delle erogazioni pubbliche percepite in maniera illecita.


La sez. giurisdizionale Lazio, della Corte dei conti, con la sentenza n. 595 del 1° settembre 2022, interviene per condannare alcuni soggetti per illecita percezione di erogazioni pubbliche: un danno erariale pari ad euro 275.000,00 di contributi pubblici sottratti alla loro destinazione.

Le erogazioni sono state indebitamente utilizzate per finanziare l’attività politica (di un amministratore regionale) attraverso una fondazione: i fondi regionali ricevuti venivano dirottati per una destinazione diversa rispetto alla loro causa (ossia, a sostegno di progetti umanitari) [1].

La condotta

Si legge nelle richieste della Procura erariale (anche avvalendosi delle indagini penali, finite con una prescrizione) che i riceventi destinavano le risorse pubbliche al «dott. X, OMISSIS pro tempore, che sarebbe da considerarsi quale «effettivo dominus di entrambe le associazioni che dirigeva di fatto attraverso i suoi stretti collaboratori … sovrintendendo alla sistematica commistione e promiscuità gestoria tra le predette associazioni funzionale alla sovrapposizione delle iniziative …, finalizzate allo sviamento dei contributi regionali per finanziare il progetto» di cui era promotore.

Siamo in presenza di un «palese conflitto di interessi e venendo meno al dovere fedeltà – spendendo tali qualità», approfittando «della funzione istituzionale ricoperta consapevolmente facendo gravare sul bilancio regionale spese e costi privi di alcun interesse pubblico e generale, che avrebbero dovuto essere invece sostenuti» dallo stesso «con fondi propri e non già dell’amministrazione di appartenenza, ponendo in essere una gravissima deviazione modale dai canoni di condotta fissati dall’ordinamento giuridico quale rappresentante dei cittadini regionali oltre che in violazione dei principi di trasparenza, buon andamento, imparzialità».

Il sodalizio, precisa la Procura erariale, «avrebbero creato un vero e proprio “sistema gestorio, finalizzato all’indebita percezione e sviamento dei contributi regionali in discorso» che rispetto al progetto finanziato dalla regione finivano a copertura dei costi elettorali del dominus: sotto il profilo soggettivo l’imputazione non può che essere a titolo di dolo, in quanto gli interessati erano «pienamente e reciprocamente consapevoli delle loro condotte e che, a tal fine, abbiano intenzionalmente agito al fine di conseguire l’intento distrattivo in danno della P.A».

La presunta prescrizione

In primis viene evidenziato che le erogazioni dei contributi regionali sono avvenute sulla base di documentazione giustificativa in larga parte alterata in modo da dissimulare l’inerenza della spesa rendicontata ai progetti presentati: tale effetto, sembra di comprendere, finalizzato a rendere l’azione erariale prescritta.

Sul punto, la Corte osserva che in caso di occultamento l’esordio del termine quinquennale di prescrizione coincide con il momento della scoperta dell’illecito e dunque con il rinvio a giudizio [2] o, al più, con la precedente richiesta di rinvio a giudizio, o altro atto di esercizio dell’azione penale [3], giacché l’illecito diviene conoscibile, in tutti i suoi connotati essenziali, solo nel momento in cui, con la precisazione delle imputazioni penali, la fattispecie riceve concreta qualificazione giuridica, atta ad identificarla come produttiva di danno erariale, essendo ravvisabile, prima di questo momento, un oggettivo impedimento giuridico, e non di mero fatto, alla decorrenza della prescrizione [4].

Inoltre, la costituzione di parte civile, da parte dell’Amministrazione danneggiata, nel parallelo processo penale (avente ad oggetto gli stessi fatti vagliati in sede giuscontabile), produce efficacia interruttiva permanente nei confronti della Procura contabile (oltreché, ovviamente nei confronti della medesima Amministrazione), efficacia interruttiva destinata, dunque, a valere per tutta la durata del medesimo processo, ai sensi dell’art. 2945, comma 2, c.c., ovvero fino alla definitiva conclusione dello stesso [5].

L’azione di recupero dell’illecito

L’azione ha una funzione risarcitoria – recuperatoria dell’illecito amministrativo/contabile ed è rappresentato dal danno patrimoniale patito, nelle sue varie componenti, dall’Amministrazione Pubblica.

L’approdo postula che tale azione è ontologicamente unitaria nella sua “fattualità”:

  • sia che a recuperare lo stesso si attivi la stessa Amministrazione attraverso la costituzione di parte civile in un giudizio penale, o attraverso una autonoma azione civile;
  • sia nel caso in cui l’azione recuperatoria venga attivata dalla magistratura contabile;
  • ne consegue che la duplice e concorrente legittimazione attiva all’azione recuperatoria in capo al giudice ordinario e quello contabile, non “moltiplica” né “sdoppia” l’unitarietà del credito pubblicistico, che resta unico perché unico è il danno arrecato alle casse erariali [6].

Sotto il profilo della prova, il giudice contabile, a differenza di quello penale, può trarre argomenti di prova da tutti gli elementi in suo possesso, ivi compresi quelli che provengono dal processo penale: nel giudizio contabile, infatti, possono essere utilizzati come indizi tutti gli elementi acquisiti in sede penale, nel corso delle indagini preliminari, ancorché non confermati in sede dibattimentale, purché siano gravi, precisi e concordanti.

Il convincimento del giudice contabile può, pertanto, liberamente formarsi anche sulla base degli elementi derivanti dalle indagini penali, che vengono in rilievo, nel giudizio per la responsabilità erariale, non quali prove in senso tecnico, bensì quali elementi da valutare, come presunzioni (anche ai sensi degli articoli 2727 e 2729 c.c.).

Il pronunciamento

Dall’apparato probatoria (anche penale) viene dimostrato che i contributi, normativamente vincolati al perseguimento di determinati scopi, venivano (in realtà) destinati ad altri “vincoli, presentando della documentazione alterata (vengono fornite delle concrete rappresentazioni manipolative tra fatturazione ed eventi, ad es. «presentato fraudolentemente una rendicontazione sostanzialmente fittizia corredata da fatture non veritiere per spese prive di inerenza e in taluni casi materialmente contraffatte») per ricevere l’erogazione del finanziamento prevista a titolo di rimborso delle spese: uno sviamento delle risorse per tabulas.

Viene aggiunto, per rafforzare la gravità della condotta (del danno erariale), l’impossibilità «di svolgere un qualsivoglia apprezzamento in termini di parziale realizzazione dei progetti finanziati» in ragione dell’evidente commistione soggettiva tra controllore e controllato, «nonché la promiscuità della gestione e la sovrapposizione delle iniziative, intraprese nel periodo considerato, atte a dissimulare l’effettivo beneficiario dei fondi e l’utilizzo di fondi pubblici per meri interessi privati che non potevano con questi essere sovvenzionati».

Una proiezione quotidiana

L’intera vicenda (esposta con una moltitudine di fatti fraudolenti assunti con dolo) che va ben oltre al caso affrontato e costituisce un sipario malato della “politica” (senza voler andare oltre, ma l’evidenza è già di per sé assai forte) dimostra, nella sua effettività, una evidente consapevolezza di violare le norme, a presidio del buon andamento dell’azione pubblica, in palese e solare conflitto di interessi (oltre che dell’art. 12 della legge n. 241/1990) e, allo stesso tempo, calpestando i valori scolpiti negli art. 54, comma secondo, e 98 Cost., base etica (il bene comune, ex art. 97 Cost.) di ogni soggetto chiamato a svolgere una funzione pubblica.

In un momento, dove ci apprestiamo a votare gli “onorevoli (appellativo riservato ai membri del Parlamento), in segno inequivocabile di coloro che godono di alta reputazione per meriti, dignità, grado, assistiamo alla creazione di un sistema “corrotto”, nella sua etimologia più cangiante: guasto, alterato, contaminato, che porta, nella sua derivazione forse latina, cor ruptum «cuore rotto», quel lamento, quel pianto che si fa sull’estinto: in generale (e in questo caso) la morte dell’integrità e dell’onore.

Ne viene lesa la credibilità, l’immagine pubblica della PA [7], quell’aspettativa di imparzialità violata che porta alla sfiducia dei cittadini verso chi amministra le Istituzioni e allontana sempre più il divario tra le parti [8].

 

Note

[1] Si potrebbe allargare ma andremo fuori tema, «sembra che l’unica cosa certa dei risultati elettorali del prossimo 25 settembre sarà la vittoria del partito del non-voto», dovendo investire in politiche educative ed economiche per «ridare senso e vigore a un sistema politico-sociale avviato su una pericolosa deriva che sta togliendo il “demos” alla democrazia», CESARI, Elezioni 2022, cresce l’astensione: il rischio di una democrazia senza demos, corriere.it, 16 agosto 2022. Si rinvia, LUCCA, Corruzione o semplice malcostume, mauriziolucca.com, 25 agosto 2018.

[2] Leggendo le cronache, PISTILLI, Fondi pubblici, Corte dei Conti condanna …: dovrà risarcire oltre 275 mila euro. L’assessore, “Farò appello”, roma.repubblica.it, 2 settembre 2022, si legge che l’interessato «sostiene che la sentenza con cui è stato condannato è “ingiusta ed ingiustificata” e assicura che farà “immediatamente” appello».

[3] Corte conti, sez. III d’Appello, sentenza n. 143/09; sez. I d’Appello, sentenza n. 317/08; sez. II d’Appello, sentenza n. 296/07.

[4] Corte conti, sez. II, d’Appello, sentenze n. 189/2018 e n. 571/2016; sez. III d’Appello, sentenza n. 213/2017.

[5] Corte conti, sez. giur. Lombardia, sentenza n. 109/2011; sez. giur. Campania, sentenza n. 2057/2011.

[6] Corte conti, sez. II d’Appello, 5 febbraio 2021, n. 30; sez. II d’Appello, 27 settembre 2019, n. 346; sez. I d’Appello, 2 marzo 2015, n. 200. Viene, altresì, precisato che nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (ex art. 533 c.p.p.; Cass. Pen., SS.UU., 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese); nel processo civile vige la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non” (ex artt. 115 e 116 c.p.c.; Cass., 16 ottobre 2007, n. 21619; 18 aprile 2007, n. 9238; 5 settembre 2006, n. 19047; 13 luglio 2006, n. 295; 4 marzo 2004, n. 4400; 21 gennaio 2000, n. 632; Corte giustizia CE, 15 febbraio 2005, n. 12), giudizio che si basa sugli elementi di convincimento disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana), la cui attendibilità va verificata sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni).

[7] Corte conti, sez. giur. Lombardia, sentenza n. 1478/2003.

[8] La violazione dell’obbligo di fedeltà del pubblico funzionario, specie se sistematica ed attuata attraverso l’organica adesione di quest’ultimo al gruppo, da un lato determina la generale sfiducia della collettività nella imparzialità delle scelte compiute dagli organi amministrativi, dall’altro lato sospinge nell’ombra il carattere tendenzialmente continuativo del patto illecito, poiché lo rende invisibile, anche se obiettivamente percepibile, nullificando la “cosa” pubblica attraverso la elusione della legittima aspettativa del terzo di essere garantito, sia sul piano informativo che direttamente operativo, circa un uso del potere pubblico conforme alle regole ed esclusivamente orientato alla tutela di interessi generali, Cass. pen., sez. VI, 9 giugno 2015, n. 24535.

 

 


Fonte: articolo dell'Avv. Maurizio Lucca - Segretario Generale Enti Locali e Development Manager