Klaus Schwab, per chi ancora non lo sapesse, è il fondatore del World Economic Forum, conosciuto anche come Forum di Davos, una fondazione che si considera impegnata a migliorare la condizione del mondo ed è finanziata dalle varie multinazionali mondiali.

Dei vari miliardi di cittadini del mondo, non risulta che nessuno lo abbia delegato a decidere di come migliorare la nostra vita, ma lui ha deciso di farlo e quindi implicitamente crede di sapere a cosa il popolo mondiale aspira e cosa è meglio per tutti.

Naturalmente, tutto questo è possibile perché ha catturato l’attenzione di altri leader mondiali, che sicuramente non hanno il problema della bolletta del gas e che hanno deciso di finanziarlo, spinti sicuramente da animo nobile, per prevedere e pianificare il futuro di noi tutti.

Nel 2016 pubblica il libro “La quarta rivoluzione industriale”. In questo libro parla di “pianificazione degli esseri umani”, e senza mezzi termini recita: “Stiamo altresì sviluppando nuove modalità per utilizzare e impiantare dispositivi interni che monitorano i nostri livelli di attività e i valori ematochimici e in che modo questi siano associati al benessere, alla salute mentale e alla produttività a casa e al lavoro”.

Praticamente lui si preoccupa di monitorare, attraverso dispositivi interni, dalla soddisfazione che proviamo a tavola mentre ci mangiamo pasta e broccoli, allo sforzo che facciamo in bagno quando defechiamo, fino al nostro piacere mentre facciamo sesso. Ma non si ferma qui: – Ci troviamo infatti a dover rispondere a domande relative a cosa significhi essere “umani”, quali dati e informazioni inerenti al nostro corpo e alla nostra salute possiamo condividere con gli altri, quali siano i nostri diritti e le nostre responsabilità al momento di cambiare il codice genetico delle future generazioni. – Praticamente una evoluzione del Pacciani 5.0, stessa caratura psichica, ma con più mezzi a disposizione.

Il fatto stesso che inserisca l’argomento dell’evoluzione umana,  all’interno  di  un libro che parla di rivoluzione industriale, dove gli umani sono  facenti  parte  essi stessi della produzione industriale, non come produttori, ma come prodotto da ingegnerizzare, da l’idea di come Schwab e tutti gli altri malati mentali che gli girano attorno, intendano “pianificare” gli esseri umani.

Tutte le personalità psicopatiche si considerano superiori agli altri e dimostrano quell’arroganza che rasenta il disprezzo per l’umanità in genere,  che  viene  vista come strumento. Lo psicopatico è capace  di  compiere  gesti  anche  terribili  senza che il suo sentimento registri il minimo sussulto emotivo.

Gli psicopatici sono predatori sociali e, come tutti i predatori, sono alla ricerca di potere, prestigio o denaro. Quindi, non bisogna meravigliarsi se non tutti gli psicopatici sono sotto controllo e rinchiusi da qualche parte, perché quelli, che sono istruiti e hanno mezzi per scalare le posizioni sociali, molto probabilmente stanno ai vertici di istituzioni di vario genere e qualcuno siede anche in governi o parlamenti.

Questi tipi di psicopatici sanno perfettamente cos’è immorale, l’hanno studiato sui libri, solo che non hanno il sentimento dell’immoralità, quindi, hanno una sorprendente capacità di manipolare gli altri a proprio  vantaggio,  spietati  nel cercare un vantaggio e dar sfogo alle proprie ambizioni alla ricerca estrema dell’autogratificazione. Tutti sono al mondo solo per soddisfare i loro bisogni, si possono manipolare e fregandosene dei loro sentimenti e delle loro disgrazie, perché non contano nulla, sono solo poveri stupidi ed esseri inferiori. L’unico dolore che sentono è il proprio e trovano sempre una giustificazione (presente  o  passata)  ai loro comportamenti e sono privi fondamentalmente dell’empatia.

Ma almeno gli psicopatici hanno il vantaggio della certezza di avere una psiche. La bassa tonalità dell’anima e la bassa emotività con scarso sentimento è qualcosa che si va diffondendo tra le nuove generazioni, nella loro crescita, acquisiscono valori di posizione, prestazione, efficienza, arrivismo, quando non addirittura cinismo, nel silenzio assordante dell’anima.

Nuove generazioni sottoposte a troppi stimoli che la loro psiche infantile non è in grado di elaborare. Stimoli scolastici, stimoli televisivi, smartphone, playstation, attività in cui sono impegnati, eserciti di baby-sitter a cui sono affidati, in un deserto di comunicazione dove passano solo ordini, insofferenza, poco ascolto e scarsissima attenzione alla loro anima.

Per questo, i Klaus Schwab di turno vanno a nozze, trovandosi di fronte una grande percentuale di soggetti su cui lavorare e potersi sbizzarrire, utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione, per creare quell’esercito di zombie (definizione azzeccatissima del prof. Corrado Malanga), per cui il mondo è diventato quasi una festa di Halloween costante, dove si aggirano frustrati e infelici, i praticamente morti, che non si sono accorti di essere morti e si ostinano a vivere, ciondolando, portando in giro la propria parvenza di vita. Si distinguono a mala pena i morti viventi dai vivi morenti, che non sono neppure giudicabili perché mancano ormai di libero arbitrio, animali da branco, che si sentono liberi con la testa bassa sullo smartphone. Complici anche senza volerlo di corrotti, impostori, ladri e traditori. Complici del crimine anche per la loro indifferenza, che hanno il rispetto delle idee solo quando devono avallare le ipocrisie altrui.

Un popolo di troll, aiutati dalla mascherina per mantenere il loro status abituale, ossia dietro una chat, per cui non hanno sentito neanche la mancanza dei sorrisi che non sono più disponibili dietro le museruole.

Quei sorrisi che hanno fatto la nostra storia.  Quei  sorrisi  di  un  istante,  che potevano durare una vita e permettevano all’anima in alcuni momenti di poter respirare, che era in grado di abbattere il muro e coprire la distanza tra le persone, all’interno di un autobus, una metropolitana o ad un bar. E’ stata anche impedita quella semplice smorfia che serve per mandarsi a cagare.

Quei sorrisi che sono stati tolti ai bambini, per cui conoscono maestre bendate senza espressione, che diventano per loro insegnamento di vita.

Forse hanno tolto i sorrisi perché hanno dato sempre luce gratis e non soffrono dei rincari delle bollette elettriche. Bisognerebbe vergognarsi solo per questo, che dovrebbe essere classificato come reato di furto della luce inalienabile che fa parte dell’essenza umana.

Stanno distruggendo l’empatia, quella che manca ai soloni del  World  Economic Forum, decidendo di eliminare la forza di questa cosa impalpabile che ci permette di comprendere ciò che provano le altre persone e di entrare in sintonia con loro e con il loro stato d’animo. Qualità essenziale in una vera civiltà, non fatta di chip ma di rapporti umani, dove è importante il modo in cui trattiamo coloro che incontriamo lungo la strada.

Hanno voluto togliere quel minimo di complicità e l’emozione che molti di noi cercano con lo sguardo, alla ricerca di chi non è zombizzato, per cui era necessario il divide et impera a tutti i costi. Mascherina e distanziamento sociale. La bestemmia del XXI secolo.

A questo punto bisogna lasciare andare ciò che era, accettare ciò che è, anche senza condividerlo, e avere fiducia in ciò che sarà. Quando si prende una posizione a volte perdiamo qualcuno, ma vale sempre la pena per non perdere sé stessi.

Come ogni cosa che ha un inizio e una fine, non è la fine della vita, ma solo una stazione della via Crucis, che permette di ricominciare a fare un altro pezzo di strada, per cui non esiste una vera fine ma solo un divenire.

A volte arriva l’ora di scegliere di buttare tutto quello che fa male o che non vale, che ti succhia quell’energia vitale, per cui cambiare cose, persone, fatti e pensieri diventa una rinascita che non crea un dolore di una fine ma lo stimolo e la voglia di un nuovo inizio. Una fine-inizio che non costringe a lasciare le cose a posto, ma disordinate, senza nessuna preoccupazione. Come chiudere un po’ di link lasciati aperti sul monitor, per dare spazio a nuove immagini e nuove ricerche.

Le cose non si lasciano perché sono durate troppo, ma perché a volte incontrano il vuoto. La differenza è che per ogni inizio hai l’impressione di avere un manuale di istruzioni, per la fine il manuale  non esiste,  resta  solo  quello che  non  c’è più,  per cui si lascia quel pezzo di noi in mezzo al resto delle cose abbandonate, che rimane lì, come una tela cominciata e non finita, con accanto  la  tavolozza  dei  colori impastati ma non usati, con impresso solo quel pezzo di storia che ci ricordiamo, che poi diventerà la storia di quello che è accaduto, che per me è un’altra storia, la storia del mio no.

 


Fonte: articolo di Roberto Recordare