L’Italia avrà sicuramente la sorte che si merita, ma intanto sarebbe bene godersi il presente, senza rimandare il momento per cominciare a vivere, a prescindere dal caos che abbiamo attorno, dove ci sembra di andare verso la distruzione, subendo una politica senza principi, con masse senza coscienza e con una scienza senza umanità.

Si passa dalla mancanza di rispetto della singola persona umana all’idolatria per i rappresentanti della finanza internazionale, per cui l’ingranaggio dell’umanità non è più l’uomo in quanto tale, ma la sua rappresentazione economico-sociale e a volte la massa, quando si è costretti a passare ad una parvenza di elezioni che esige consenso.

La realtà è che si rischia di passare accanto a decine di persone e non scorgere più un essere umano. Sentire parole, ma non credere più a niente.

Ci hanno abituato ad avere una percezione delle parole, come se non contassero più niente, perché oggi si può dire tutto e il contrario di tutto allo stesso tempo, affermare una certezza la sera che non vale più la mattina successiva, senza per questo perdere la faccia. Proprio perché ormai rientra nella normalità delle cose.

Si, è vero che sono i fatti che contano, ma questo non significa che ognuno possa sparare qualsiasi cazzata e non avere neanche il cartellino giallo dell’ammonizione. Una volta le persone valevano quanto le loro parole, perché le parole avevano delle conseguenze, così come anche i silenzi. Avevano un  valore  sia  per  chi  le pronunciava ed anche per chi le ascoltava, perché le parole potevano indicare una strada, potevano convincere, ferire, placare  gli  animi,  potevano  creare  e distruggere, tanto che migliaia di persone si sono fatte uccidere per le parole che loro avevano sancito come un impegno. L’impegno anche degli ascoltatori che per la fiducia nell’interlocutore le avevano fatte proprie.

Oggi  le  parole muoiono nello stesso tempo in  cui si pronunciano, perché chi ascolta ci aggiunge almeno tre punti interrogativi e dopo qualche giorno le cancella per fare spazio, in quanto hanno perso di validità nel tempo.

Le parole dovrebbero ritornare alla loro “sacralità”, meritando rispetto, se usate con parsimonia, quando dovute e quando migliorano lo stato di silenzio.

Per una parola giudichiamo spesso una persona saggia o stupida, quindi, bisogna stare molto attenti a quello che si dice, a chi si dice e quando si dice.

La stessa parola “Italia”, potrebbe essere  solo  un  punto  di riferimento  geografico nel globo o avere il suo peso per quello che rappresenta, per il suo popolo, per la sua lingua e per gli suoi sforzi dei suoi ideologi, scienziati ed eroi del passato. Come può significare niente quando la si intende come membro suddito di un sistema di potere che la squalifica. Dipende da chi la pronuncia, in quale contesto, con quale finalità e con quale forza o ambiguità.

Le cose importanti bisogna saperle dire per non immiserirle. Le parole possono rimpicciolire le cose grandi, magari anche sconfinate.

Le parole di per sé sono vuote, e chi le pronuncia le riempie di senso nel dirle e gli ascoltatori nell’accoglierle a loro volta, del senso che loro hanno inteso, in base alla loro cultura ed esperienza, per cui si rischia anche di non intendersi se le due parti non hanno una certa affinità di interpretazione delle cose.

Le parole possono essere anche palle di tutti i colori con dentro solo aria e nessuna coscienza. Possono essere porte oppure muri, possono spiegare o ingannare, essere semplici o anche non dette.

Le stesse parole proferite da persone diverse acquistano valore e significato differente, a volte persino antitetici. La verità è che bisogna somigliare alle parole che si dicono, affinché queste abbiano davvero un senso.

 


Fonte: articolo di Roberto Recordare