E’ come se oggi la salubrità del nostro cervello non contasse più, basta essere biologicamente vivi ed essere accettati dal sistema sociale, comunque esso sia costruito, e tutto il resto diventa secondario.
Pertanto, il sistema dell’istruzione della scuola pubblica si è adattato a questo schema di mercificazione della vita, per cui metodi e programmi didattici sono orientati proprio ad esaltare questa mercificazione, non solo della materia e dello spazio ma anche del tempo. Viene inculcato un atteggiamento esageratamente concorrenziale per preparare gli studenti a venerare il successo.
Gli studenti della fine degli anni 60 e nei successivi anni 70, ragionavano sul loro futuro, dopo il conseguimento del diploma o della laurea, attraverso il loro ruolo, applicando le loro specifiche competenze, non assoggettate al sistema, predisposto alla mercificazione del loro sapere, quindi solo come mero strumento per fare soldi, ma cercando di rispondere a un bisogno di giustizia e di gratificazione personale che a quei tempi aveva una visione diversa, non plasmata nel guadagnarsi da vivere ma a vivere, con un occhio al rispetto della persona umana, includendo anche il senso della gratuità e della solidarietà.
Oggi la scuola insegna la logica del profitto, del riuscire a tutti i costi e con tutti i mezzi, guardando alle persone come concorrenti o persone da sfruttare nel percorso di crescita individuale.
Non si studia più per la conoscenza in sé, ma per sfruttare crediti o coprire debiti formativi, con un’ottica di contabilità bancaria inculcata già tra i banchi di scuola, con concetti estremi di vittoria e fallimento, come fossero paradiso e inferno. Tutto questo, secondo un’organizzazione sociale, dove l’avidità diventa successo e status simbol, mentre nel contempo sembra che l’etica abbia preso il sopravvento, tanto che per questo vengono usate le parole di “codice etico, finanza etica, commercio equo e solidale, crescita sostenibile, ecc.”, con una grande discrasia tra le parole adottate e la realtà dei fatti. Perfino il vocabolo “benefico” viene scambiato con “bonifico”.
La scuola tende, attraverso “l’orientamento”, a svilire la propensione innata degli studenti, verso l’utilità economica, per cui anche un Mozart oggi, avrebbe avuto sicuramente un orientamento verso l’informatica o l’economia aziendale, perché se uno studente oggi manifestasse l’amore per il pianoforte, gli consiglierebbero sicuramente di fare altro per una utilità di “sistemarsi”. Per cui oggi, sarebbe estremamente difficile avere un Mozart.
Oggi sono le necessità industriali e commerciali che creano i bisogni dell’orientamento scolastico ed una falsa libertà d’impresa che contribuisce a creare uno spirito imprenditoriale e persone motivate con nuove idee, ma con una impostazione che nasconde l’avidità come motore necessario. Per questo oggi non si tende a soddisfare bisogni con delle idee ma si tende a produrre bisogni prima di produrre beni e a convertire il lusso in necessità, cercando l’infantilizzazione della società adulta.
Pertanto, la scuola contribuisce a inculcare un concetto di successo fine a sé stesso, di come diventare un ingranaggio efficiente all’interno della macchina economica, perché il principio su cui si basa oggi l’obiettivo della formazione è incompatibile con il vero motore della vita, con quella frenesia utile a scalare posizioni, sottraendo il tempo che serve a riflettere e il tempo che serve a non disgregare rapporti e nuclei familiari.
Questo tipo di istruzione, che parte fin dai primi anni di scuola, poggia su un sistema che contabilizza tutto, tranne i danni dovuti alla degradazione della persona umana, che non vengono quantificati e contabilizzati, in quanto non è un metro di misura del benessere collettivo, anche se sappiamo ed è già stato provato in più occasioni, che questo sistema ingordo, mangia troppo e poi sta male, per poi dover essere rimesso spesso in piedi con cure parassite, tutt’altro che virtuose, basate sulla finanza, che toglie linfa al settore produttivo a vantaggio della speculazione.
Un sistema che costringe le persone a consumare sempre più, adottando tecniche per standardizzare i gusti che devono essere previsti e influenzati, adottando un “capitalismo comunista” per l’equa distribuzione della miseria.
Il consumo è fortemente scaduto per qualità e oggi per nutrirci, attingiamo a grossi campi di concentramento chiamati «allevamenti intensivi», che somigliano alla nostra organizzazione sociale.
Ci somigliano, perché le vittime designate, nascono crescono e muoiono quasi con lo stesso meccanismo a cui sono destinati i facenti parte di questa nuova società che abbiamo costruito e stiamo costruendo, proprio a partire dalle nostre scuole. Per cui anche la democrazia diventa di intralcio ed una perdita di tempo, dove la libertà di stampa significa libertà di comprare giornali e giornalisti.
Si sta creando una società che non riesce più ad elaborare pensieri ma vive di superstizioni che vengono in qualche modo propinate o da abitudini consolidate, convinzioni che non lasciano spazio a dubbi, che portano in sé qualche immagine di pusillanimità. Come una tribù primitiva governata da paure, menzogne e disinformazione.
Terreno fertile come strumento di controllo sociale e nemica del vero progresso e della libertà, quasi da far pensare che tutto questo impianto non sia una svista, ma un’impostazione voluta del nostro sistema di istruzione.
Il futuro dipende da tutti, da chi forma e da chi si sta formando. Dipende da quello che facciamo oggi, domani e dopodomani, che dipende a sua volta dai nostri pensieri e i nostri desideri di oggi, di domani e di dopodomani. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo cosa dobbiamo insegnare e le nuove generazioni apprendere.
Dovremmo capire che l’insegnamento e quindi la scuola non deve essere un sistema per riempire teste vuote come scatole, ma per mettere a moto il sistema cerebrale degli studenti, insegnando come pensare e non a cosa pensare, facendo in modo che il pensiero possa essere generato e rigenerato in modo autonomo.
Quel pensiero che non deve avere per obiettivo una utilità, ma come quel meccanismo che serve per non farsi usare, mettendolo al servizio dell’anima e dell’equilibrio.
Per questo serve “subito” riformare la scuola pubblica, che ritrovi anche nelle materie umanistiche e non solo in quelle utilitaristiche, la base per definire il futuro.
La filosofia non è una masturbazione mentale, ma uno strumento per non farsi manipolare, di non sottomettere pezzi di cervello a mercanti di illusioni, di speranze fatue e di simboli strafighi come modelli di vita. Bisogna liberare il pensiero, perché solo chi pensa è un uomo libero. La libertà di pensiero non serve a niente senza il pensiero.
Il pensiero è qualcosa che germoglia dalle teste a cui è stata data l’impostazione di poter e di dover pensare. Un pensiero che non ha confini, che non ha principi e né conclusioni definitive, senza mai punti ma solo virgole. Quel pensiero che non piace al potere, perché rischia di interferire, di interagire con altre menti, comportandosi come uno scotch biadesivo, per cui restano incollati anche i pensieri degli altri che poi vengono a sua volta rielaborati, se esiste la capacità di farlo, da cui nascono nuove idee che vengono trapiantate per scissione in altre menti e quindi con crescita logaritmica che genera un sistema virtuoso del pensare.
Il mondo stesso non è altro che la rappresentazione del pensiero delle persone che lo abitano e che lo vivono. Il mondo non è una grande macchina, ma un grande pensiero, con quella leggerezza e profondità tipiche del pensiero e del pensare, con l’assunzione di responsabilità e di coraggio nell’azione che deriva dal pensiero stesso, per rimanere qualcosa che assomigli ad essere e rimanere uomini.
Non è possibile concepire che il nostro sistema di istruzione sforni studenti che non amano pensare, non amano farsi domande e tentare delle risposte, solo per il fatto che il pensiero porta a delle conclusioni e le conclusioni a delle responsabilità conseguenti, che non poggiano sui comodi pregiudizi e visioni stereotipate che vengono confezionate e pronte all’uso non si sa come e da chi.
Ci dobbiamo rendere conto che il nostro destino dipende dai nostri pensieri e dalle nostre azioni conseguenti e se non possiamo cambiare il vento, sicuramente possiamo orientare le vele, perché noi siamo destinati a diventare quello che pensiamo.
Bisogna ritrovare il senso della ragione, che non sia per forza guidata da abitudini e necessità, ma dalla comprensione della vita nella sua essenza, con la sua logica e quindi con la sua coerenza, tentando di riequilibrare la cultura, il sapere e gli obiettivi di tutto questo. Sebbene non sia facile, sicuramente ne sarà valsa la pena.
Fonte: articolo di Roberto Recordare