Tutti noi, prima o poi abbiamo trovato qualcuno per la strada che chiedeva l’elemosina o non la chiedeva neanche, ma era solo lì, in attesa di quell’elemosina  che non osava neanche chiedere.

Effettivamente, c’è da dire che l’elemosina molte volte è controproducente, perché  anziché sollevare dalle necessità, magari cristallizza il comportamento a mantenere  lo stato di cose, non raggiunge lo scopo, che dovrebbe essere l’aiuto visto nella sua  interezza e non quello del momento, che può rafforzare la mendicità.

Il donatore magari ha l’impressione di fare qualcosa, e chi riceve l’elemosina la  maggior parte delle volte, non è motivato a migliorarsi, rendendolo passivo,  privandolo della sua dignità, togliendogli la visione di poter un giorno provvedere  alle proprie necessità con il lavoro.

Senza considerare i mendicanti “fabbricati”, spesso bambini, dove si cela un  commercio criminale e disumano di sfruttamento della povertà. A volte con anche  storie atroci di bambini prelevati dai villaggi delle campagne, mutilati e buttati sulle  strade delle città con l’obbligo di arricchire i loro sfruttatori.

In questo contesto, si muovono donne e uomini, definiti normali, che a volte, distrattamente, per tacitare la coscienza, un po’ per togliersi il fastidio, aprono il finestrino e fanno l’elemosina, senza guardarli in volto, per sbrigarsi a compiere  quel dovere noioso, ben sapendo che l’elargizione di denaro non risolve il problema  né a breve né a lungo termine.

C’è chi sente quel piacere immorale, di chi si compiace della propria posizione e del  confronto con quella dell’elemosinante, che può sfociare in squilli di tromba,  facendo conoscere il grande gesto di bontà del giorno e magari credere anche, che  qualcuno in cielo gli abbia aggiunto dei punti come in una carta della Conad e che  un giorno gli varranno al cospetto di Dio.

Certo, è anche vero, che se tutte le elemosine fossero date solo per amore verso il  prossimo, tanti mendicanti sarebbero già morti di fame. Fortunatamente per loro,  esiste anche una certa quantità di esibizionismo che trasforma a volte anche la  solidarietà in competizione, con premi di bontà elargiti poi da quelle associazioni  di beneficienza, in serate dove viene servito caviale e champagne.

A volte è un gesto che finisce con lo scambio, dove per aver donato una colazione o  un paio di scarpe vecchie, si pretende anche un riconoscimento, perdendone  qualsiasi merito, magari con un piccolo lavoretto, che i buoni e generosi si meritano,  dimenticando che la carità è un dono, non funziona con il “do ut des”.

Eppure, quanta nobiltà a volte si scorge negli occhi della miseria, se solo si  pensasse di non svuotare il gesto del grande contenuto che possiede, potendolo  esprimere in tanti modi, per alleviare il disagio di quanti hanno bisogno.

Se il  donatore si fermasse a chiedere al mendicante come si chiama, quanti anni ha,  qual è il suo problema, che cosa sa fare e così via, forse quello sarebbe un modo di aiutarlo davvero.

Allungare solo una mano con una moneta, può essere come invitare cordialmente  il mendicante a sparire. Se invece accompagniamo il gesto da una parola umana,  con un sorriso, stabilendo un contatto, potrebbe essere un gesto piccolo ma prezioso, che trasforma quell’occasione in qualcosa di diverso, di vero e di bello. Ci  si sente amati e considerati quando non bisogna elemosinare anche un gesto  d’affetto.

 


Fonte: articolo di Roberto Recordare