Dopo 8 anni, il Ministero aggiorna le Linee guida per l’integrazione degli alunni stranieri. Classi e scuole non possono avere più del 30% di stranieri, spinta alla cura dell’italiano come L2 soprattutto nella secondaria, con laboratori intensivi di 2 ore al giorno di L2 per ridurre il rischio di abbandoni e ripetenze

In principio furono le Linee guida per l’integrazione degli alunni stranieri, del marzo 2006 e il documento La via italiana all’integrazione scolastica, dell’ottobre 2007. Ora arrivano le nuove Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, trasmesse dal ministro Maria Chiara Carrozza il 19 febbraio 2014. Un aggiornamento necessario perché il contesto in questi otto anni è cambiato, sia dentro la scuola sia fuori. Un documento che è frutto di una “normativa partecipata”, dice il Ministro, «che lungi dal dettare regole di comportamento fisse e assolute, offre alle scuole una sintesi ragionata di quello che le scuole stesse hanno elaborato in una logica di condivisione e di sperimentazione continua».

La novità principale di questi anni è il fatto che gli alunni con cittadinanza non italiana sono diventati un dato strutturale, passando da 100mila a 8000mila in dieci anni. Non si può più pensare a loro come a un’emergenza, ma occorre quindi ragionare su una didattica ordinaria, che riconosca le differenze fra un alunni appena arrivato in Italia e alunni che abbiano fatto qui tutte le scuole, che non pensi più solo all’alunno straniero come a colui che non sa l’italiano, che prenda atto del fatto che ormai gli alunni stranieri non sono più solo alle scuole dell’infanzia o al massimo alla scuola primaria, ma anche alle secondarie e all’università, con le questioni specifiche che questo comporta.

Alle scuole superiori
Le linee guida per questo si concentrano molto sulla scuola secondaria, quella in cui al momento si rilevano le maggiori criticità: gli alunni stranieri alle superiori hanno performance scolastiche mediamente più basse, più spesso vengono bocciati, più spesso abbandonano la scuola. Se quindi da un lato la forte presenza di alunni non italiani nelle scuole secondarie – specifica solo dell’ultimo decennio – è un positivo segnale di un’immigrazione che, stabilizzandosi, punta sempre di più sull’istruzione come ascensore sociale per i propri figli, resto forte il tema di comemigliorare l’orientamento degli alunni e delle loro famiglie, visto che c’è attualmente una fortissima concentrazione di alunni stranieri nei percorsi professionali e tecnici e una tendenza alta alla ripetenza e all’abbandono scolastico.

Tetto al 30%
Tra le indicazioni operative c’è quella di costituire reti di scuole al cui interno, tramite opportune intese, sia possibile una distribuzione equilibrata degli alunni stranieri. L’indicazione delle linee guida è di rispettare il limite del 30% (cfr Gelmini 2010) delle iscrizioni nei singoli istituti e per garantirlo gli USR possono anche rivedere i bacini d’utenza come pure promuovere azioni mirate a regolare i flussi di iscrizioni.

I ritardi scolastici e italiano come L2
L’attuale tasso di ripetenze fra gli alunni stranieri è significativo. Per il ministero non può dipendere solo dalla complessità delle storie di migrazione. «È possibile – è scritto – che nonostante i tanti inserimenti in classi inferiori a quelle previste per la loro età, gli alunni stranieri non vengano ancora adeguatamente sostenuti nell’apprendimento dell’italiano per lo studio e quindi accumulino svantaggi anche in altre discipline». È diventato cioè «cruciale», soprattutto nella scuola secondaria, curare l’apprendimento dell’italiano come L2. Per questo si potrebbero prevedere, dice il documento, «8-10 ore settimanali di italiano L2, per 3-4 mesi, raggruppando gli alunni non italofoni di classi diverse». Non si tratta però di fare “corsi di lingua”, ma di fare laboratori linguistici.

FONTE. www.vita.it

AUTORE: Sara De Carli