obblighi-integrazione-retta-assistenza-disabileObblighi di integrazione della retta per assistenza disabile: ecco cosa ha deciso la Cassazione in una recente Sentenza.


Un Comune richiede alla madre di un disabile di versare la differenza tra le rette di ricovero presso una Residenza Sanitaria per Disabili anticipate dall’ente e gli importi della pensione di invalidità e indennità di accompagnamento di cui il figlio era titolare, già confluite presso il Comune stesso.

La questione viene posta all’attenzione della Corte di Cassazione che riconoscendo le ragioni della madre afferma che la controversia riguarda inequivocabilmente i costi di un ricovero di persona portatrice di «handicap gravissimo», «la cui necessità  in relazione alle condizioni di salute dell’assistito, non è controversa tra le parti» e che ha comportato spese non solo sanitarie, ma anche residenziali.

Ed è pacifico che si discuta di costi non riportabili all’ampia di intervento sanitario, ma di spese assistenziali, in un contesto di prestazioni plurime unitariamente rese in favore del disabile in sede residenziale.

Obblighi di integrazione della retta per assistenza disabile: la sentenza della Cassazione

Al riguardo viene richiamata una precedente decisione (Cass. 8 maggio 2019, n.12042) che, nell’affrontare un tema analogo ha distinto tra interventi assistenziali di interesse pubblico ed interventi di accoglienza ab origine ed integralmente onerosi per l’interessato, in quanto estranei a tale ambito.

La citata pronuncia, nel primo caso, ne ha desunto l’obbligatorietà, per gli enti istituzionalmente preposti alla tutela di quegli interessi, di provvedere alla cura di essi e quindi alla prestazione necessaria; nel caso di specie la complessiva necessità dell’accoglienza in una struttura residenziale è, come detto, indubbia; d’altra parte, la primazia della persona nell’ambito dell’ordinamento ed il diritto del “singolo” (art. 2 Cost.) alla tutela dei diritti inviolabili, quale certamente sono quello alla salute (art. 32 Cost.) ed all’inderogabile assistenza di base in condizioni coerenti con il proprio stato psico-fisico (ancora, art. 2 Cost., ultima parte) impongono palesemente che, a fronte di situazioni necessitate per l’interessato, gli enti preposti a salvaguardare quegli interessi vi provvedano senz’altro.

L‘art. 1, co. 1, L. 328/1990 stabilisce in effetti che «la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali» e ciò «in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione» (art. 1, co.1).

Le motivazioni dei Giudici

In merito agli obblighi di integrazione della retta per assistenza disabile inoltre i giudici della Corte Suprema di Cassazione affermano che a fronte di una persona in stato di handicap gravissimo, le cui condizioni di non autosufficienza rendessero necessaria, come è pacifico che fosse, l’assistenza in sede residenziale, non vi è alcuna esigenza di altre specificazioni, ricorrendo de plano l’ipotesi di cui all’art. 22 lett. g) L. 328/2000 e ciò a prescindere dalle ragioni (ad es. assenza, incapacità o impossibilità del nucleo familiare ad assisterlo) o da eventuali responsabilità di chi sia tenuto ma non presti l’assistenza.

L’intervento pubblico, sul piano sanitario ed assistenziale, è in tali casi dovuto da parte degli enti a ciò preposti e pertanto, nella specie, ai sensi dell’art. 4, co. 2, L. 328/2000 e della legislazione regionale all’epoca vigente (art. 7 L.R. 72/1997), da parte del Comune stesso. Peraltro, l‘indispensabilità assoluta per la persona, considerata nella sua individualità, esclude infatti qualsiasi margine di discrezionalità, organizzativa o finanziaria, rispetto all’an della protezione.

Ricorrono dunque anche rispetto alla legislazione nazionale i medesimi presupposti che già portarono Cass. 12042/2019 a ravvisare nell’ambito regionale siciliano la doverosità dell’intervento pubblico; l’obbligatorietà dell’assistenza esclude altresì che essa sia condizionabile dalla previa assunzione di impegni economici da parte dei beneficiari o di chi abbia obblighi di mantenimento nei loro confronti;

In ordine alla questione relativa al regime economico delle prestazioni assistenziali e, discutendosi qui di prestazione resa in quanto necessaria, del recupero dei costi sopportati dall’ente erogatore, che il Comune ha preteso dalla madre del disabile nonché, in altro giudizio di cui non è noto l’esito, dal di lui padre e marito separato, si afferma che il Comune, secondo quanto disposto dall’art. 6, co. 4, L. 328/1990, è senza dubbio tenuto ad «assumere gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica», ove l’eventualità sta a significare che gli oneri sono destinati a restare a carico del Comune nei limiti in cui le capacità del beneficiario non consentano di farvi fronte.

La legge 328/2000

La conclusione si pone in linea con il richiamato sistema complessivo di cui alla menzionata L. 328/2000, attraverso il quale, in forza del rinvio dell’art. 25 al sistema del c.d. ISEE, si realizza un articolato regime di compartecipazione dell’interessato ai costi, sulla base delle sue possibilità economiche (v. ancora Cass. 12042/2019, ove si fa riferimento appunto ad un regime di “gratuità modulata”) da valutare sulla base anche delle possibilità familiari.

D’altra parte, tali regole di individuazione delle capacità economiche familiari, secondo l’art. 2, co. 6, d. Igs. 109/1998, per quanto in sé non modificative della disciplina sugli obblighi alimentari, espressamente «non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’articolo 438, primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata» e quindi di azioni dirette della P.A. nei confronti dei congiunti del beneficiario, né, si osserva per completezza, azioni di tal fatta sono previste dal d.p.c.m. 159/2013 che ha aggiornato il sistema del c.d. ISEE.

Obblighi di integrazione alla retta: a chi spettano?

Pertanto, gli obblighi di integrazione della retta, per quanto da calibrare sulla base delle capacità economiche della famiglia come definita in ambito ISEE, sono civilisticamente a carico del solo assistito.

L’allontanamento del sistema dal coinvolgimento civilistico di chi abbia obblighi alimentari è palese, anche perché i congiunti da considerare nei calcoli ISEE, per come variamente evolutisi nel corso del tempo, non coincidono con l’ambito di parenti ed affini di cui agli artt. 433 ss. c.c., pur essendo evidente che l’ambito della valutazione amministrativa dei redditi e patrimoni familiari da considerare  dovrebbe tendenzialmente essere coerente con quello degli obblighi civilistici verso la persona bisognosa di assistenza; né possono richiamarsi le regole sugli obblighi di mantenimento endofamiliare; a parte l’incompletezza di esse, destinate a non coprire l’ambito delle relazioni di cui è possibile il coinvolgimento in sede di ISEE, l’assoluta particolarità delle esigenze interessate da casi come quelli della disabilità grave non consente soluzioni approssimate, sulla base di norme civilistiche dettate per ipotesi diverse da quella eccezionale qui in esame; vi è altrimenti il concreto rischio di penalizzare, specie in presenza di capacità economiche medie o medio-basse, proprio i familiari destinati a misurarsi con la disabilità, così vanificandosi le ispirazioni solidaristiche generali dell’ordinamento, se non addirittura ponendosi in contrasto con l’esigenza di ragionevolezza che non consente di rendere ancor più difficoltosa la situazione di chi già si trovi in condizioni di maggiore difficoltà.

Ulteriori precisazioni

Conseguentemente, viene affermato che «l’accoglienza di disabile grave non autosufficiente all’interno di strutture residenziali, una volta accertata per qualsiasi ragione la necessità di essa in ragione delle condizioni personali dell’interessato, deve essere attuata da parte degli enti preposti all’assistenza, per effetto dell’art. 22 lett. g) L. 328/2000, senza che sia possibile condizionarla al previo impegno al pagamento parziale o totale dei relativi costi da parte dell’interessato o dei suoi familiari».

«Il recupero dei costi di prestazioni assistenziali di accoglienza di persone disabili in strutture residenziali da parte del Comune erogatore non può avere corso presso i familiari, dopo l’entrata in vigore della L. 328/2000, secondo la disciplina dell’art. 1 L. 1580/1931 e ciò anche prima dell’abrogazione di tale norma ad opera del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla I. 6 agosto 2008, n. 133, né esso può essere riconosciuto, in assenza di specifiche norme civilistiche, sulla base delle regole generali in tema di alimenti o di mantenimento, mentre può avvenire sulla base di accordi volontari con i congiunti degli interessati».

Il testo della Sentenza

A questo link potete consultare il testo completo della Sentenza.

 


Fonte: articolo di Santo Fabiano