ricostruzione-ponte-morandiSulla recente ricostruzione del “ponte Morandi” non si è scritto e riflettuto abbastanza.


Conosciamo tutti la tragedia del crollo e lo sgomento che è seguito. E siamo consapevoli dei disagi che la città di Genova ha sopportato in religioso silenzio. Ma quando si è passati dallo sgomento del momento iniziale alla ricerca delle soluzioni si è subito palesata la criticità che caratterizza il nostro Paese.

E dalle macerie del ponte sono emerse ben altre macerie, quelle del sistema politico e quelle più profonde, del sistema amministrativo. All’indomani della tragedia si è subito manifestata la sincera volontà di tutti per riportare la città alla normalità.

Gli ostacoli

Ma un ostacolo alla immediatezza della ricostruzione si è presentato subito, già nel momento in cui ancora si contavano le vittime, rappresentato da chi, lontano diverse centinaia di chilometri, manifestava la preoccupazione che l’urgenza potesse essere un’occasione per la deroga delle procedure di gara.

E la questione, come accade sempre nel nostro Paese, è stata subito polarizzata. C’era chi vedeva profilarsi dei corrotti accaniti, desiderosi di approfittare dell’urgenza per fare affari. E, in risposta, c’era chi vedeva dalla parte opposta burocrati indifferenti e lontani da ogni interesse ai bisogni della città.

Questa contrapposizione ha espresso in pieno il dilemma che vive il nostro Paese e sotto il cui peso si vede precipitare ogni possibilità di risveglio e riscatto sociale, imprenditoriale e umano. In un Paese civile il sistema amministrativo si sentirebbe al servizio del funzionamento complessivo e responsabile di ogni ritardo causato dalle procedure.

E le imprese interpreterebbero le norme come occasione di garanzia per l’imparzialità e la libera partecipazione. Ma non è così. E la vicenda del ponte di Genova ci aiuta a comprendere quali siano gli ostacoli che impediscono al nostro Paese di intraprendere lo slancio che merita.

Fenomeni corruttivi: c’è ancora da lavorare

Non si afferma nulla di nuovo se si dice che il fenomeno corruttivo è dilagante. Ma si commetterebbe una grave ingiustizia, però, se si dovesse affermare che si tratta di una esclusiva solo italiana.

Però, qui da noi, poiché tutto assume connotazioni ideologiche, il contrasto alla corruzione ha assunto una veste singolare che, sorprendentemente ha trascurato i grandi appalti (siamo ancora in attesa del giudizio sul caso CONSIP, società creata proprio per assicurare correttezza negli appalti e contrastare la corruzione). E si è concentrata, invece, sugli acquisti degli enti locali, anche di minore entità.

Ha introdotto adempimenti gravosi la cui importanza è apparsa prevalente rispetto alla realizzazione delle stesse opere. E inoltre ha promosso la diffusione del timore di agire, per paura di cadere nella trappola del “sospetto”.

Dunque, anche per la ricostruzione del ponte di Genova si è applicato lo stesso “protocollo”, cioé il “sospetto preventivo” nei confronti di chi manifestava urgenza e persino verso chi offriva il proprio progetto alla città. Così come verso chi chiedeva di snellire le procedure per consentire un sollecito affidamento dei lavori.

I sospetti di “infiltrazioni”

Si temeva, giustamente, che l’affidamento “milionario” per la realizzazione del nuovo ponte potesse attrarre gli interessi di loschi comitati d’affari, come se si trattasse di un virus invisibile che, una volta contagiato, si può solo sperare che sparisca.

E piuttosto che unirsi per contrastare le eventuali infiltrazioni, le istituzioni si sono comportate come due avversari intenzionati solo a prevalere, sospettando delle intenzioni dell’altro.

Per trovare un’intesa tra i “sospettati” sostenitori dell’emergenza e i “sospettosi” difensori delle procedure, nel dicembre del 2018 si era giunti alla stipula di una convenzione tra l’Autorità nazionale anticorruzione e il Commissario straordinario.

Ma solo dopo quattro mesi, nel mese di aprile 2019 si apprende che il presidente di quell’autorità aveva deciso il recesso unilaterale dalla convenzione. Ritenendo che il Sindaco, nella qualità di Commissario straordinario, non ne avesse rispettato le prescrizioni.

Ricostruzione Ponte Morandi: criticità e COVID-19

Noi non sappiamo come siano andate realmente le cose e non abbiamo motivo di sospettare del Sindaco di Genova, né dell’Autorità anticorruzione. Rimane però il fatto che, sorprendendo tutti, qualche giorno fa, è stata installata l’ultima campata di quel ponte, nonostante il fermo causato dall’insorgenza del virus. E prima della fine dell’anno certamente potremo assistere alla consegna del ponte alla città e alla restituzione di una normalità.

Ma non possiamo non constatare che ciò avverrà “grazie” alla sospensione di quel sistema di vincoli e regole che, create per fermare il crimine, ha avuto solo l’effetto di fermare il Paese, oltre a quello di diffondere sospetti e timori, non sempre giustificati.

Adesso, dopo l’emergenza COVID, il Paese dovrà ricostruirsi e dovrà farlo in fretta. Sarebbe il caso che tutte le istituzioni si rendano disponibili a un reale ripensamento. Perché se dovesse riproporsi il modello di prevenzione miope, fondato sul formalismo degli adempimenti, si rischierebbe di accendere una grave contrapposizione tra “regolarità” e “funzionalità” che potrebbe portare alla pericolosa disaffezione verso le regole fino a volersene liberare.

Sarebbe un regalo al sistema criminale e un grave danno per la democrazia e per la società civile. Ma sarebbe da addebitare solo alla miopia dei controllori.

 


Fonte: articolo di Santo Fabiano