abuso-contratto-a-termine-nessun-risarcimento-stabilizzazioneL’intervenuta trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato in tempo indeterminato, fa cessare la materia del contendere relativamente alla domanda di risarcimento di un lavoratore per abuso nell’utilizzazione dei contratti a termine, per violazione della Direttiva UE 1999/70.


Abuso di Contratto a Termine: nessun risarcimento se c’è stabilizzazione. Lo ha stabilito il Giudice del Lavoro del Tribunale di Trapani decidendo in merito al ricorso di una titolare di contratto a tempo determinato (cosiddetta “contrattista”) del comune di Alcamo.

L’abuso si manifesta ogni qualvolta si faccia ricorso all’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, senza ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti, non sia indicata la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi non sia stabilito il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

La Commissione UE (trattando dei precari della scuola) ha ritenuto che non fosse obiettivamente giustificata  

una legislazione che consentisse il rinnovo di contratti a tempo determinato non solo per la sostituzione di personale temporaneamente assente ma anche per la copertura dì vacanze nell’organico, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo, senza che vi sia alcuna certezza sul momento in cui tali procedure saranno espletate e, pertanto, senza prevedere criteri obiettivi e trasparenti per di verificare se il rinnovo dei contratti in questione risponda effettivamente ad un ‘esigenza temporanea reale, atta a raggiungere lo scopo perseguito e necessaria a tal fine.

I continui rinnovi dei contratti del personale precario degli enti locali siciliani potevano, secondo le indicazioni fornite dall’Unione Europea, essere sottoposti ad una valutazione del giudice nazionale per accertare se ricorressero le condizioni di illegittimità.

Abuso di Contratto a Termine, nessun risarcimento con stabilizzazione: la decisione del Giudice di Trapani

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Trapani ha, però, dichiarato la cessata materia al ricorso finalizzato ad ottenere la condanna del datore di lavoro alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato ovvero, in subordine, alla corresponsione del risarcimento dei danni derivanti dall’illegittima condotta datoriale.

D’altra parte, recentemente anche la Corte di Giustizia Europea ha precisato che l’accordo quadro non impone agli Stati membri di prevedere, in caso di ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato, un diritto al risarcimento del danno che si aggiunga alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (CGEU 8 maggio 2019 nella causa C-494/17 Rossato).

Nelle more del giudizio, infatti, il Comune di Alcamo ha “stabilizzato” la ricorrente all’esito della procedura concorsuale indetta ai sensi dell’art. 20 comma 2 d.lgs. 75/2017, facendo venire meno la necessità di una pronuncia che imponesse la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato.

Altri riferimenti normativi

La pronuncia del Tribunale di Trapani è in linea con il condivisibile orientamento della Suprema Corte che, in un caso analogo, ha recentemente affermato:

21. Occorre ricordare che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 5072 del 2016, hanno affermato che «la clausola 5 nulla dice quanto alle conseguenze dell’eventuale abuso la cui disciplina pertanto è interamente rimessa alla discrezionalità del legislatore nazionale in un ampio e non definito spettro di alternative.

La prevenzione dell’abuso implica una reazione con connotazioni, in senso lato, sanzionatorie dell’abuso stesso».

Le Sezioni Unite hanno, quindi, rilevato che in ordine alle stesse «lo spettro è ampio ed ampia è la discrezionalità del legislatore nazionale vincolato solo al parametro delle “misure equivalenti”. Al fine della compatibilità comunitaria la reazione “sanzionatoria” dell’ordinamento interno deve avere una forza dissuasiva. Non inferiore alle misure di prevenzione degli abusi previste dalla clausola 5 citata».

Si è poi chiarito che «il lavoratore a termine nel pubblico impiego, se il termine è illegittimamente apposto, perde la chance della occupazione alternativa migliore. E tale è anche la connotazione intrinseca del danno, seppur più intenso. Ove il termine sia illegittimo per abusiva reiterazione dei contratti» (citata sentenza n. 5072 del 2016).

22. Alla luce dei richiamati principi, la previsione dell’art. 1, comma 519, della legge n. 296 del 2006, relativa alla stabilizzazione dei lavoratori precari, prendeva corso per l’Amministrazione giudiziaria, con specifica procedura (cfr., Avviso relativo alla stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato ai sensi della legge n. 242/2000, ex/L.S.U., art. 1, commi 521 e 519, legge n. 296/2006, di cui al bando pubblicato sulla G.U., 4′ Serie Speciale – Concorsi ed Esami n. 4 del 15 gennaio 2008, richiamato dai ricorrenti nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica del 2 febbraio 2017).

Attraverso l’operare dei pregressi rapporti di lavoro a termine per cui è causa, e dunque, l’effettiva intervenuta stabilizzazione, su cui le parti convengono, integra misura equivalente. Alla luce dei principi enunciati dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 5072 del 2016. Idonea a sanzionare debitamente l’abuso. Atteso che i soggetti lesi dall’abusivo ricorso ai contratti a termine in questione hanno, comunque, ottenuto, in ragione della procedura di stabilizzazione, il medesimo “bene della vita”. Per il riconoscimento del quale hanno agito in giudizio.

In particolare, si può rilevare che il suddetto bando riguardava l’avvio della procedura per la stabilizzazione delle persone assunte a tempo determinato. Ai sensi della legge n. 242 del 2000. Già lavoratori socialmente utili ovvero impegnati in progetti di utilità collettiva promossi dagli enti locali. Presso gli uffici giudiziari ed in servizio presso l’amministrazione giudiziaria. E coerentemente con l’avvenuta stipula dei contratti ex art. 1, comma 2, della legge n. 242 del 2000, in attesa dell’attuazione della revisione delle piante organiche, verificando eventuali carenze, e della copertura delle vacanze (art.1, comma 1, della legge n. 242 del 2000).

L’art.1, comma 519, della legge 296 del 2006, a sua volta, nel disporre la proroga nelle more della stabilizzazione, si riferiva alla «stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge».

Né l’equivalenza degli effetti potrebbe in sede di legittimità essere contestata sul rilievo che anche il ritardo nel conseguimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato è risarcibile, occorrendo che l’originaria formulazione della domanda nel giudizio di merito sia prospettata in questi termini, circostanza che nella specie non risulta dedotta.

23. Non può trovare applicazione, pertanto, il risarcimento del danno previsto dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 8, come chiesto dai lavoratori (Cass., SS.UU., n. 5072 del 2016).

24. Venuta meno l’agevolazione probatoria rimane impregiudicata, in applicazione dei principi affermati dalle SS.UU. nella richiamata sentenza n. 5072 del 2016, la possibilità del lavoratore che si ritenga leso dalla illegittima reiterazione di assunzioni a tempo determinato di allegare e provare danni ulteriori e diversi rispetto a quelli “risarciti” dalla stabilizzazione, con la precisazione che l’ onere della prova di siffatti danni ulteriori grava sul lavoratore, non operando il suddetto beneficio della prova agevolata e che detti ulteriori danni non possono identificarsi con quelli “da mancata conversione e quindi da perdita del posto di lavoro” (citata decisione delle SS.UU.)” (Cass. n. 16336/2017).

Conclusioni

L’intervenuta stabilizzazione, per il Giudice del lavoro, ha posto in essere una misura equivalente alla luce dei principi enunciati dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 5072/2016. Idonea a sanzionare debitamente l’abuso. Atteso che la ricorrente ha, comunque, ottenuto, in ragione della procedura di stabilizzazione, il medesimo “bene della vita” per il riconoscimento del quale ha agito in giudizio.

Non può trovare applicazione, pertanto, il risarcimento del danno previsto dall’art. 36, comma 5, del D. Lgs. n. 165/2001, con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5.

L’Ente locale, datore di lavoro, difeso dal proprio segretario generale, ha visto riconoscere le proprie ragioni. Anche rispetto alle ulteriori richieste di risarcimento dei danni e di riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, in merito all’anzianità maturata in forza dei servizi pre-ruolo prestati.

Il Giudice del lavoro ha sancito che sarebbe stato onere del ricorrente fornirne prova certa e circostanziata del danno subito, cosa che nel caso in esame non è avvenuta.

Il personale “contrattista” non può limitarsi ad invocare le differenze retributive derivanti dalla progressione economica orizzontale in base al principio di non discriminazione sulla scorta del solo decorso del tempo. Ma dovrebbe provare la sussistenza degli ulteriori presupposti previsti dalla contrattazione collettiva (art. 31 CCDI 1998/2001).

In allegato il testo completo della Sentenza.