Da una verifica di tanti albi pretori messi a disposizione nei propri siti internet della PA, dopo ormai quasi 10 anni dall’obbligo, le statistiche sulla conformità di questi albi pretori sono impietose.
Albi pretori PA, dopo quasi 10 anni è ancora caos.
La maggior parte degli albi pretori, oltre a non rispettare la norma specifica per la pubblicazione degli atti, evidenziano anche una cattiva gestione del procedimento in modalità informatica. E quindi del documento amministrativo informatico, oltre a problemi di sicurezza e di garanzia sulla continuità del servizio. Infatti non capita di rado provare a consultare un albo pretorio e verificare che il sito è indisponibile.
La prima cosa che è subito evidente è il mancato rispetto, nella maggior parte degli albi pretori, del rispetto delle regole di accessibilità. Notando che la maggior parte delle volte mancano gli accorgimenti tecnici di accessibilità previsti dall’articolo 11 della legge 9 gennaio 2004, n. 4. Che teoricamente secondo l’art. 32 della Legge 18 giugno 2009, n. 69, sarebbero rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili.
Stessa statistica impietosa appare se si verifica la conformità dello standard dei CSS facilmente verificabile attraverso il validator all’indirizzo: https://jigsaw.w3.org/css-validator/ .
Ma la cosa più eclatante è la diversa interpretazione che ogni Ente ha nella modalità di pubblicazione degli atti, che per come prevede la legge che regolamenta l’albo pretorio, non è altro che l’assolvimento della pubblicità legale.
L’obiettivo degli albi pretori PA
La pubblicazione di deliberazioni e determinazioni ha sostanzialmente due obiettivi: dare pubblicità legale all’atto e soddisfare gli obblighi di trasparenza, ai sensi del D.Lgs. n. 33/2013 e di altre disposizioni normative. L’albo pretorio assolve principalmente alla prima finalità, mentre la sezione “Amministrazione trasparente” all’interno del sito istituzionale dell’Ente, con la sola pubblicazione dell’elenco semestrale.
Molti Enti, poi, pubblicano gli atti firmati digitalmente, mettendo a disposizione i documenti a chiunque abbia intenzione di scaricare gli atti integrali in originale, senza tenere conto della norma di accesso agli atti semplice e generalizzata, che prevede uno specifico procedimento con la comunicazione ad eventuali parti controinteressate della richiesta.
La tutela dei controinteressati è un momento rilevante sia nell’accesso documentale (L. 241/1990) sia nell’accesso civico generalizzato disciplinato dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 33/2013 così come modificato dal decreto legislativo n. 97/2016.
Le domande di accesso civico generalizzato
La circolare n. 2/2017 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, emanata dopo le Linee guida adottate dall’ANAC con la delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016, stabilisce che, per ciascuna domanda di accesso generalizzato, così come per l’accesso documentale previsto dalla L. 241/90, l’amministrazione debba verificare l’eventuale esistenza di controinteressati; verifica che – però – non è evidentemente necessaria quando la richiesta di accesso civico abbia ad oggetto delibere, documenti o, in generale, dati la cui pubblicazione è prevista dalla legge come obbligatoria, essendo stata, in questo caso, effettuata a monte una valutazione da parte del legislatore al momento della imposizione della prescrizione di diffusione sui siti.
L’art. 5, comma 1, del D.Lgs. 33/201, nel sancire l’obbligo dell’amministrazione, cui è indirizzata la richiesta di accesso, di dare comunicazione ai controinteressati individuati, fa – comunque – salvi i casi di obbligazione obbligatoria.
Per accrescere la fruibilità delle informazioni di interesse generale e l’efficienza nella gestione delle domande, il Ministro raccomanda alle amministrazioni di valorizzare la possibilità di pubblicare informazioni anche diverse da quelle oggetto di pubblicazione obbligatoria, fermo restando il rispetto delle esclusioni e dei limiti previsti dall’art. 5-bis, c. 1-3, del d.lgs. n. 33/2013.
In particolare, la pubblicazione proattiva sui siti istituzionali delle amministrazioni è fortemente auspicabile quando si tratti di informazioni di interesse generale o che siano oggetto di richieste ricorrenti: ad esempio, quando si tratti di dati o documenti richiesti, nell’arco di un anno, più di tre volte da soggetti diversi.
Gli accorgimenti per gli Enti Locali
E’, però, essenziale che gli Enti locali non mescolino gli atti oggetto di pubblicazione obbligatoria all’albo pretorio e quelli per cui è necessaria la pubblicazione al sito istituzionale o, ancora di più, con quelli per cui è auspicabile una pubblicazione pro-attiva.
L’Anac (delibera n. 1309/2016) ricorda le differenze che esistono tra l’accesso generalizzato e la disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, definito anche “accesso documentale”.
La finalità dell’accesso documentale ex l. 241/90 è di porre i soggetti interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà – partecipative e/o oppositive e difensive – che l’ordinamento attribuisce loro a tutela delle posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari.
Il diritto di accesso generalizzato è riconosciuto proprio “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.
L’accesso documentale consente un accesso più in profondità a dati specifici e pertinenti. Mentre l’accesso generalizzato si esercita laddove sussistono esigenze di controllo diffuso del cittadino (di cui le delibere e le determine sono l’esempio più rilevante). Avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni.
Le evidenze dell’ANAC
In sostanza, evidenzia l’Anac, essendo l’ordinamento ormai decisamente improntato ad una netta preferenza per la trasparenza dell’attività amministrativa, la conoscibilità generalizzata degli atti diviene la regola, temperata solo dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi (pubblici e privati) che possono essere lesi/pregiudicati dalla rivelazione di certe informazioni.
L’obbligo di pubblicazione esclude che vi siano preclusioni alla rilevazione di determinate informazioni (tranne che, secondo quanto affermato dal Garante per la protezione dei dati personali – provvedimento 15 maggio 2014, n. 243 – non ricorrano i presupposti per l’oscuramento di determinate informazioni, anche in presenza di un obbligo di pubblicazione dell’atto o del documento).
Diritto all’oblio
Alcuni siti con l’aggravante di lasciare tali documenti pubblicati e firmati digitalmente, anche dopo la scadenza prevista per la pubblicità legale, dimenticano che la pubblicazione avviene limitatamente al periodo previsto dall’ordinamento, per rispettare il principio di temporaneità e nel rispetto del cd. “diritto all’oblio”, che riguarda specificamente il diritto ad essere “dimenticato” e trova concreta attuazione tramite la rimozione di tutti quei riferimenti, eventualmente contenuti anche nelle delibere, che rimandano ad un contenuto online ritenuto lesivo.
In effetti, il Garante (Linee guida n. 243/2014) evidenzia che l’obbligo di pubblicità di cui all’art. 124 del TUEL è previsto per 15 giorni consecutivi, decorsi i quali la permanenza nel web di dati personali contenuti nelle deliberazioni degli enti locali diviene illecita.
L’Anac ha ricordato che quando l’amministrazione pubblica nell’albo pretorio documenti, informazioni e dati per i quali sussistono anche obblighi di trasparenza, è tenuta anche a pubblicarli all’interno della sezione “Amministrazione trasparente”, in quanto l’obbligo di affissione degli atti all’albo pretorio e quello di pubblicazione sui siti istituzionali all’interno della sezione “Amministrazione trasparente” svolgono funzioni diverse.
La durata della pubblicazione dei documenti nell’albo pretorio on line non coincide, poiché inferiore, con la durata della pubblicazione dei dati sui siti istituzionali entro la sezione “Amministrazione trasparente”, che l’art. 8, c. 3, D.Lgs. n. 33/2013 fissa a cinque anni.
Alcune criticità per gli Enti
Alcuni Enti fanno confusione nell’individuare quali siano gli obblighi di pubblicazione all’albo pretorio (finalità di pubblicità legale, pubblicazione per 15 giorni) e quali gli obblighi di trasparenza sul sito istituzionale per finalità di trasparenza ai sensi della normativa vigente (pubblicazione per cinque anni).
Oltre quanto evidenziato, in alcuni casi, la modalità di pubblicazione degli atti, evidenzia una errata gestione del procedimento amministrativo mediante i sistemi elettronici. Infatti in alcuni casi, si notano le pubblicazioni di documenti contenenti solo dei pareri firmati digitalmente che fanno riferimento ad altri documenti non pubblicati. Il classico esempio sono i pareri tecnici e contabile, firmati digitalmente e che fanno riferimento ad una “proposta di delibera o determina”. Si verifica che la proposta di delibera o determina non venga pubblicata, ma tale sorte viene garantita soltanto alla delibera o determina, che naturalmente può essere stata modificata rispetto alla proposta. Così operando, di fatto quei pareri pubblicati non hanno alcuna valenza, in quanto la firma digitale deve riferirsi in maniera univoca ad un solo soggetto ed al documento o all’insieme di documenti cui è apposta o associata (Art. 24 comma 1 del CAD).
L’esatta emanazione degli atti amministrativi, segnatamente di quelli aventi efficacia esterna rispetto all’amministrazione agente, dipende dall’osservanza di prescrizioni formali e contenutistiche, poste a garanzia della validità dei medesimi ed in funzione dell’efficienza della pubblica amministrazione.
I provvedimenti ad esternazione scritta
Ricordiamo che è richiesto che i provvedimenti ad esternazione scritta dispongano di una predefinita composizione, articolantesi in sei elementi. Dei quali quattro indispensabili perché necessari e sufficienti ad assicurare la validità dell’atto emanando.
Essi sono:
- l’intestazione, indicativa dell’autorità procedente,
- il preambolo, enunciativo dei presupposti fattuali e giuridici.
- nonché della motivazione, per i quali l’amministrazione si è determinata ad agire,
- il dispositivo, contenitivo della decisione
- e, infine, la sottoscrizione attestante la titolarità dell’organo agente e del relativo potere.
Questo comunque evidenzia, che il processo amministrativo che porta all’atto finale, ha intrinsecamente una falla. In quanto la proposta di delibera non reca in se un parere tecnico o contabile, che viene gestito in un documento scollegato che non ha valore, in questo caso per la proposta di delibera, la sottoscrizione è fattore integrante dell’elemento essenziale, il suo difetto non può non determinarne la caducazione (dell’elemento forma) e, conseguentemente, la collocazione dell’atto nello stato patologico della nullità insanabile, ex artt. 3, 21-septies l. n° 241/90, art. 7 l. n° 212/00.
Conclusioni
In sintesi, la sottoscrizione costituisce il requisito soggettivo dell’atto amministrativo necessario al fine della sua imputabilità. Pertanto, esso può essere definito elemento essenziale dalla cui sussistenza dipende anche la validità del provvedimento. E’ bene precisare che all’essenzialità della sottoscrizione deve attribuirsi una natura intrinseca perché essa costituisce una componente dell’elemento essenziale forma.
In conclusione, non è ancora chiaro in generale che il “documento amministrativo informatico”, di cui all’art 23-ter del Codice, formato mediante una delle modalità di cui all’art. 3, comma 1, del DPCM 13 novembre 2014, non è da confondere con il “documento informatico”.
Esso rappresenta un procedimento informatico che racchiude in se l’iter procedimentale. Eseguito secondo le regole tecniche ed in particolare deve racchiudere e certificare tutti i passaggi e le responsabilità del procedimento. Assumendo le caratteristiche di immodificabilità e di integrità. Fermo restando che eventuali ulteriori formati possono essere utilizzati dalle pubbliche amministrazioni in relazione a specifici contesti operativi. Che vanno esplicitati, motivati e riportati nel manuale di gestione (DPCM 13 novembre 2014 art. 9 commi 5 e 6).
Per riuscire nell’intento, solo alcune amministrazioni più attente, hanno creato un iter procedimentale, strutturato e certificato nel suo iter. Attraverso l’apposizione della FEA (Firma Elettronica Avanzata) o da un Sigillo Elettronico Avanzato. Secondo quanto previsto dal Regolamento UE n. 910/2014, collegata ai dati sottoscritti. In modo tale che qualsiasi parere o visto possa essere collegato e certificato al singolo passaggio procedurale e potendo poi certificare sia documenti che dati ad essi collegati. Blindando il procedimento che porta all’atto finale.
Ricordiamo che l’atto finale ha validità proprio perché sorretto da un corretto iter amministrativo a supporto.