paradisi-fiscali-report-oxfam-2019Paradisi fiscali, il report Oxfam 2019 su liste grigia e nera dell’Europa. Il rapporto dell’organizzazione internazionale fa il punto sul processo di screening dell’Ue sui Paesi non collaborativi.


Uno sguardo dietro le quinte del processo di elencazione dei paradisi fiscali da parte dell’Unione europea, per spingere le istituzioni del vecchio continente a essere ancora più rigorose. È questo lo scopo del rapporto “Off the hook” pubblicato a marzo da Oxfam, l’organizzazione non profit internazionale che si impegna contro le cause della povertà nel mondo.

Dallo scoppio della crisi finanziaria a oggi, è la base di partenza del report, il numero globale di miliardari è raddoppiato, eppure molti super ricchi (e le società di cui posseggono quote) continuano a evitare di pagare la loro quota di imposte ricorrendo ai servizi offerti dai tax haven.

A partire da questo dato di fatto, Oxfam ha diffuso una dettagliata analisi in cui vengono esaminate luci e ombre del processo europeo di listing degli Stati non collaborativi in materia fiscale.

Il processo di screening

Come noto, il processo avviato dall’Unione nel 2017 comprende due liste, una nera e una grigia. Dal momento in cui le istituzioni europee hanno iniziato il monitoraggio, molti Paesi terzi hanno scelto di avviare negoziati con l’Ue per rispondere ai dubbi sollevati nei loro confronti.

L’aver preso un impegno permette a queste giurisdizioni di uscire dalla lista nera. Mantenere la parola data entro i termini stabiliti, invece, permette di uscire dalla lista grigia. Le porte di entrambe le liste si riaprono per gli Stati che dimostrano di essere poco collaborativi e di non rispettare gli impegni.

In seguito alla riunione dell’Ecofin di marzo, adesso sono 15 gli Stati inseriti nella black list dell’Ue, mentre 34 Paesi rientrano invece nella lista grigia delle giurisdizioni i cui governi si sono impegnati a riformare le carenze strategiche presenti nei loro ordinamenti.

In pratica, i paradisi fiscali che si collocano nella cosiddetta lista grigia sono quelli sotto monitoraggio e quelli che hanno promesso di adeguarsi agli standard di buona governance europea.

Dentro la lista nera

Il problema dei paradisi fiscali può essere affrontato efficacemente se c’è la volontà politica di farlo. A riguardo, il rapporto “Off the hook” sottolinea che, a ben vedere, la black list europea è uno strumento piuttosto che una soluzione, ma può sicuramente contribuire a frenare la fuga dei capitali dal Fisco degli Stati membri dell’Unione se si pone obiettivi ambiziosi.

In questo senso, Oxfam ha accolto con favore l’iniziativa dell’Ue di redigere una nuova lista nera, sin da quando è stata varata.

Del resto, la precedente black list realizzata dalla comunità internazionale (sotto l’ombrello dell’Ocse) si era ridotta al punto da diventare uno strumento poco incisivo. Già a metà del 2017, infatti, nella lista nera dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico era rimasto un solo Paese (Trinidad e Tobago).

Una black list rigorosa, un’Europa più forte

Per Oxfam, una forte lista nera dei paradisi fiscali rende ancora più autorevole la voce dell’Unione europea. Secondo le stime presenti nel rapporto, infatti, l’evasione fiscale da parte delle multinazionali ha sottratto complessivamente circa 35,1 miliardi di euro di gettito fiscale a Francia, Spagna, Italia e Germania nel solo 2015.

Per i Paesi in via di sviluppo, invece, la perdita di gettito delle imposte sulle società (Ires e simili) ha un costo stimato di circa 100 miliardi di dollari l’anno. L’organizzazione internazionale rileva con soddisfazione che nel corso dei due anni e due mesi di esistenza delle liste, la pressione dell’Ue ha spinto quasi 40 giurisdizioni a eliminare dai propri ordinamenti più di 100 di quelle che vengono definite pratiche fiscali dannose.

Le raccomandazioni di Oxfam, fari accesi sulle sanzioni

In conclusione, il rapporto suggerisce alcune azioni utili a rendere il processo di screening dell’Europa ancora più incisivo, a partire dall’introduzione di criteri ancora più rigorosi di monitoraggio. Nel settore delle sanzioni da imporre ai Paesi non collaborativi, invece, Oxfam ricorda che gli Stati membri dell’Ue sono in questo momento alla ricerca di un accordo definitivo.

A livello europeo sono in discussione infatti diverse categorie di sanzioni, tra queste l’applicazione di ritenute alla fonte per i trasferimenti finanziari verso le giurisdizioni presenti nella lista nera e l’introduzione di nuove regole per le società estere controllate (Cfc). In ogni caso, Oxfam sottolinea che l’aspetto delle sanzioni deve essere maneggiato con cura, per garantire che le popolazioni locali dei Paesi terzi non collaborativi non vengano danneggiate.

È fondamentale, auspica la Ong, evitare che siano queste popolazioni a pagare il prezzo per le scelte fatte dai loro governi o da gruppi multinazionali che ricorrono a sofisticate strategie di pianificazione per minimizzare il proprio carico tributario.