Riforma Codice Appalti: quali sono le criticità attuali? Un’indagine effettuata da Legautonomie mette in evidenza i principali nodi da sciogliere.
Al momento dell’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti (decreto legislativo 50/2016) più di un interrogativo si è posto sulla sua idoneità a raggiungere, attraverso una normativa più semplice, agile e trasparente, gli scopi di rilancio degli investimenti e degli appalti connessi.
Si tratta indubbiamente di una riforma molto complessa e articolata, che richiedeva e richiede tuttora tempo perché possa dispiegasi ed essere attuata ma sulla quale è possibile ora, a circa tre anni di distanza, trarre un primo, anche se provvisorio, bilancio, utile soprattutto in vista dell’ulteriore riforma del codice annunciata dal nuovo esecutivo.
I decreti attuativi
L’approvazione di circa una cinquantina di decreti attuativi e l’attivazione della cosiddetta soft regulation, cioè la fissazione di regole operative che non hanno valore di legge ma con notevoli difficoltà interpretative, da parte dell’Anac, non ha agevolato la fissazione di una normativa certa in grado di rassicurare, in un paese fatto di circa 8 mila Comuni, l’attività degli operatori, siano essi amministratori che funzionari, dellamministrazione locale. Del resto lo stesso Consiglio di Stato, in sede di espressione del parere sullo schema del Codice Appalti, aveva evidenziato come alcune norme di particolare rilevanza per le Amministrazioni Locali, sembrassero comportare un aumento della regolamentazione rispetto a quanto richiesto dalle direttive europee.
Pur considerando che non basta modificare il quadro normativo e le procedure affinché ci sia un rilancio degli appalti, se gli investimenti restano fermi e se diminuisce la spesa per acquisti di beni e servizi, ora che sono state modificate le regole del patto di stabilità interno e sembra ci sia maggiore disponibilità di risorse, non manca chi attribuisce anche alla farraginosità e alla vischiosità delle normativa del nuovo codice una faticosa ripresa degli investimenti.
Due tendenze contraddittorie?
Tutto ciò considerando che coesistono, in tema di appalti, due tendenze diverse e contraddittorie: da un lato il liberismo di ispirazione europea e dall’altro la necessità, unicamente italiana, di proteggersi dalla “corruzione”, ricorrendo ad una proliferazione di norme, anche di dettaglio, che di fatto ingessano le procedure e vanificano qualsiasi tentativo di snellimento.
Quindi l’adozione di un corpo normativo più snello che dia maggiore certezza al sistema pubblico locale appare prioritario, considerando che compito del codice è favorire la selezione delle imprese più idonee e l’offerta più vantaggiosa per l’interesse pubblico e non costituire, o non solo, uno strumento surrettizio di controllo e contrasto alla corruzione, che va comunque colpita soprattutto garantendo, accanto alla semplificazione, procedure trasparenti e lineari.
L’innalzamento eventuale della soglia sotto la quale consentire procedure negoziate, che interesserebbero la stragrande maggioranza delle gare, non andrebbe pertanto incontro a tali esigenze.
L’indagine di Legautonomie
Un’indagine effettuata da Legautonomie sulle amministrazioni locali conferma il disorientamento dei funzionari pubblici locali. Per i Comuni sono troppe le variabili da considerare, gli adempimenti da effettuare e gli atti da emanare successivamente all’adozione del nuovo codice, con confusione normativa e contraddittoria rispetto alla giurisprudenza in materia, con linee guida talvolta considerate poco chiare.
In questo contesto andrà attentamente valutata e senza pregiudizi la creazione di un corpo normativo di natura regolamentare, che dovrebbe essere contemplato nell’annunciata legge delega, che sostituirà in parte le linee guida di ANAC, rispetto alle quali sono emerse evidenti difficoltà di assimilazione.
Pur non emergendo infatti nel sistema delle autonomie una vera critica del ruolo dell’ANAC, è vero anche che non se ne coglie sempre il vero ausilio e di supporto, invece richiesto, rispetto ad una realtà come quella dei comuni soprattutto più piccoli.
Il problema delle aggregazioni
Una delle difficoltà di maggiore applicazione delle nuove norme riguarda inoltre le aggregazioni delle stazioni appaltanti volta a limitarne il numero, e l’obbligo di avvalersi delle centrali di committenza allo scopo di conseguire risparmi di spesa per l’acquisizione di lavori, beni e servizi. Ciò comporta un processo di aggregazione dei Comuni che devono associarsi per poter stipulare determinati contratti. E, tuttavia, dato che parecchi enti non dispongono di strutture adeguate, emerge che molti non sono in grado di gestire gli appalti di particolare complessità e delicatezza, anche associandosi fra loro.
Il ricorso a supporti esterni qualificati diventa una strada obbligata. In questo quadro un ruolo importante di ausilio e di supporto ai propri associati potrebbe essere svolto anche dal sistema associativo e di rappresentanza degli enti locali.
Condividendo pertanto l’individuazione delle forme di aggregazione e decisamente verso le Province e le Città metropolitane come risposta organizzativa per una più efficace gestione del sistema degli appalti (in particolare quindi nell’individuazione dell’ente intermedio quale riferimento istituzionale privilegiato), va sottolineato come anche a questo livello, in seguito alla crisi finanziaria dell’ente Provincia, si pone un problema di ricambio e di rafforzamento delle competenze con l’immissione di figure professionali idonee in grado di gestire l’applicazione concreta del codice e di sostenere i comuni.
E’ quindi fondamentale rafforzare le centrali di committenza che aggregano la domanda degli enti locali al fine di soddisfare al meglio le esigenze degli enti locali medesimi. In questo contesto un supporto specializzato di affiancamento può essere fornito anche dalle associazioni rappresentative degli enti locali.
In definitiva occorre creare un quadro di regolazione omogeneo e più semplice che valorizzi e rafforzi le aggregazioni già in essere e il sistema di qualificazione.
Cosa si può fare?
In sintesi:
- Sostenere adeguatamente le funzioni e le capacità di programmazione e progettazione dei Comuni, per i quali passa la gran parte degli investimenti pubblici.
- Incentivare l’innovazione tecnologica e l’uso delle piattaforme telematiche in funzione della trasparenza e della lotta alla corruzione.
- Introdurre meccanismi che attenuino i contenziosi e la paralisi delle gare.
Il CUP, codice unico di progetto per gli investimenti, deve essere richiesto solo nel caso di lavori pubblici o anche per l’acquisto di beni mobili, arredi, spesa in conto capitale? Maggiori informazioni qui.
Un ulteriore elemento di valutazione dell’impatto del nuovo codice è dato dall’introduzione generalizzata dell’offerta economicamente più vantaggiosa e gli ampi margini di discrezionalità attribuiti alla stazione appaltante. La condivisione di norme che portano alla giusta considerazione della qualità progettuale, dei tempi e dell’organizzazione imprenditoriale sono tuttavia legate ad una specializzazione e qualificazione delle stazioni uniche appaltanti ancora non attuata e con le criticità sopra richiamate.
Considerando la necessità di velocizzare appalti di importo contenuto, in assenza di particolare complessità tecnica e bassi margini di discrezionalità tali da non rendere necessario il ricorso all’ OEPV, può apparire utile una riflessione che porti ad innalzare l’importo dei lavori aggiudicabili con il criterio del massimo ribasso sulla base del progetto esecutivo ed esclusione delle offerte anomale e con metodo antiturbativa semplificato rispetto all’attuale.
Infine, ribadendo la proposta di regole semplificate e differenziate in materia di appalti pubblici per i piccoli Comuni, si richiama la opportunità di rivedere la disciplina, semplificandola, in materia di Responsabile Unico del Procedimento e dei requisiti professionali richiesti affinché il RUP possa essere individuato anche tra dipendenti non di ruolo ovvero, in caso di carenza di organico e di competenze idonee, anche tra soggetti esterni alla P.A. locale.