abolizione-trattenimento-in-servizio-dipendenti-pubbliciPensioni, l’abolizione del trattenimento in servizio per i dipendenti pubblici è legittimo. La Corte Costituzionale ha respinto un ricorso di un magistrato che chiedeva la prosecuzione del rapporto di lavoro sino a 75 anni. “Non è violato il diritto alla pensione minima”.


L’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio per i dipendenti pubblici è legittimo in quanto non lede la possibilità per il dipendente di raggiungere l’anzianità contributiva minima per il conseguimento della pensione. E ciò vale anche per il personale della magistratura. E’ quanto ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza numero 131 del 22 giugno 2018 nella quale i giudici erano stati chiamati dal TAR del Lazio a valutare un passaggio del decreto legge Madia sulla riforma della pubblica amministrazione (DL 90/2014) che, come noto, ha abolito il trattenimento in servizio nelle PA.

 

Il caso traeva origine dalle doglianze di un magistrato nominato consigliere di cassazione per meriti insigni (ai sensi della legge 5 agosto 1998, n. 303), in quanto avvocato con non meno di quindici (nella specie, sedici) anni di anzianità, iscritto negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.

 

L’interessato aveva chiesto e ottenuto, in corso di rapporto, un provvedimento datato 2 novembre 2011, la concessione del trattenimento in servizio fino all’età di 75 anni o, comunque, per il minor tempo sufficiente a conseguire il diritto a pensione (23 settembre 2017), ma poi era stato collocato forzosamente a riposo a partire dal 1° gennaio 2016, con un successivo provvedimento adottato in conseguenza dell’abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio, disposta dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 90 del 2014 e della disciplina transitoria introdotta dal medesimo art. 1.

 

Il ricorrente si lamentava del fatto che a seguito del collocamento a riposo d’ufficio non avrebbe potuto raggiungere l’anzianità minima prevista per la concessione del trattamento di vecchiaia (20 anni di contributi) pur avendo acquisito il diritto e la legittima aspettativa a restare in servizio fino a quella data. E quindi chiedeva che venisse acclarata l’incostituzionalità della disposizione legislativa da ultimo citata.

 

A questo link alcuni chiarimenti sull’aspettativa nel Pubblico Impiego.

 

Pensioni Dipendenti Pubblici: Uscita Anticipata a 62 anni nella nuova Riforma?

 

Dipendenti Pubblici, trattenimento in servizio più ampio?

 

La decisione della Corte

 

La Corte Costituzionale investita della materia dal Tar del Lazio ha respinto la tesi del ricorrente.  Secondo i giudici l’amministrazione pubblica è tenuta a proseguire il rapporto di lavoro con il dipendente, infatti, solo nel caso questi non maturi alcun diritto a pensione al compimento dell’età limite ordinamentale o al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia.

 

Però ai fini della sussistenza del requisito contributivo minimo per il diritto a pensione, deve essere considerato il rapporto in essere con la pubblica amministrazione e gli eventuali precedenti rapporti cui corrispondano contributi versati presso diverse gestioni previdenziali, con conseguente possibilità per il dipendente di accedere all’istituto gratuito della totalizzazione di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42  o a quello del cumulo contributivo di cui all’art. 1, commi da 238 a 248 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 per conseguire il requisito minimo contributivo necessario al pensionamento di vecchiaia.

 

Nella specie il consigliere di cassazione aveva almeno 15 anni di contribuzione presso la Cassa Forense e, pertanto, la risoluzione del rapporto di lavoro conseguente all’abolizione del trattenimento in servizio da parte dell’amministrazione pubblica non viola la possibilità per l’assicurato di maturare una pensione potendo riunire gratuitamente i contributi tra la Cassa Forense e la Cassa Stato al fine di acquisire il trattamento di vecchiaia.

 

“Il diritto al trattamento pensionistico – concludono i giudici – è garantito proprio dall’impiego di questi istituti volti ad assicurare, in varie forme e modalità, la possibilità di sommare le anzianità contributive versate presso le diverse gestioni previdenziali, al precipuo scopo di accedere alla pensione”. Pertanto la Corte ha respinto la questione di incostituzionalità relativa al decreto legge 90/2014.