Casella PEC piena: se il messaggio non arriva, è colpa del destinatario. Ricorso inammissibile qualora, non avendo ricevuto l’ordinanza interlocutoria, non si ottemperi all’ordine, lì contenuto, di integrare il contraddittorio nel giudizio di cassazione.
La Cassazione, nella sentenza n. 7029/2018, ha dichiarato inammissibile un ricorso proposto da una società a seguito del mancato ottemperamento all’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti dei soci litisconsorti necessari, formalizzato dal Collegio in apposita ordinanza interlocutoria comunicata dalla cancelleria della Corte suprema via pec all’indirizzo del difensore della parte contribuente. La ricevuta della comunicazione telematica riportava il messaggio di “errore” per “casella piena” e il conseguente avviso “il messaggio è stato rifiutato dal sistema” e l’ordinanza è stata, quindi, depositata in cancelleria e di ciò, evidentemente, il difensore della parte non ha avuto notizia, e non avendo ottemperato all’ordine di integrazione contenuto nel provvedimento interlocutorio, è incorso nella declaratoria di inammissibilità del proprio gravame, come previsto dall’articolo 331 cpc.
Il Collegio supremo ha ritenuto che la procedura seguita dalla cancelleria fosse corretta, poiché la consegna telematica del messaggio pec derivata dalla “casella piena” va considerata una conseguenza dell’inadeguata gestione della posta elettronica da parte del titolare dell’utenza.
I giudici hanno pertanto ritenuto che si versasse in una di quelle ipotesi dettate dall’articolo 16, comma 6, del Dl n. 179/2012, secondo cui le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria in tutte le ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario.
La Corte, nella sentenza in rassegna, ha in primis puntualizzato che il richiamato articolo 16 è pienamente efficace nel giudizio di cassazione, essendo intervenuto il Dm 19 gennaio 2016 che – accertata la funzionalità dei servizi di comunicazione “da parte delle cancellerie delle sezioni civili, presso la Corte suprema di cassazione” – ne ha disposto l’applicazione a far data dal 15 febbraio 2016.
Su detta questione sono, difatti, intervenute le Sezioni unite con la sentenza n. 11383/2016, che hanno ripercorso le modifiche intervenute negli ultimi anni nella disciplina delle comunicazioni e delle notificazioni nel giudizio di cassazione.
In particolare, è stato evidenziato come dapprima il Dlgs n. 40/2006, articolo 5, avesse novellato l’articolo 366 cpc, introducendo un quarto comma, giusta il quale “Le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra i difensori di cui agli articoli 372 e 390 possono essere fatte al numero di fax o all’indirizzo di posta elettronica indicato in ricorso dal difensore che così dichiara di volerle ricevere, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, vigente. Si applicano le disposizioni richiamate dall’articolo 176, comma 2”.
Le Sezioni unite hanno poi precisato come l’articolo 25 della legge n. 183/2011, con effetto dal 1° febbraio 2012, avesse successivamente, da un canto, modificato il comma 2 dello stesso articolo 366 cpc, stabilendo l’onere per il difensore in cassazione di indicare “l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine” e, dall’altro, sostituito il successivo quarto comma, prevedendo che “Le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra i difensori di cui agli articoli 372 e 390 sono effettuate ai sensi dell’articolo 136, commi 2 e 3”.
Quest’ultima norma contempla come modalità normale delle comunicazioni, accanto alla consegna diretta, la trasmissione del biglietto di cancelleria a mezzo posta elettronica certificata, “nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”, e che, soltanto qualora nessuna delle due modalità sia concretamente utilizzabile, prevede che, salvo che la legge disponga altrimenti, il biglietto venga trasmesso a mezzo fax o sia rimesso all’ufficiale giudiziario per la notifica.
Le Sezioni unite, sempre nella pronuncia in questione, hanno poi evidenziato che, con il decreto del ministero della Giustizia 19 gennaio 2016 – con il quale è stata accertata la funzionalità dei servizi di comunicazione limitatamente alle comunicazioni e notificazioni da parte delle cancellerie delle sezioni civili della Corte di cassazione – è stata riconosciuta l’applicabilità della disciplina dettata dal Dl n. 179/2012, articolo 16. Conseguentemente, a partire da quella data, nei procedimenti civili di cassazione “le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici” (comma 4), rimanendo salva la possibilità di eseguire le comunicazioni e le notificazioni “mediante deposito in cancelleria” se non sia possibile ricorrere alla posta elettronica certificata “per cause imputabili al destinatario” (comma 6), e rendendosi applicabile la disciplina dell’articolo 136, comma 3, e degli articoli 137 cpc e seguenti “quando non è possibile procedere ai sensi del comma 4 per causa non imputabile al destinatario” (comma 8).
In ragione di tale evoluzione normativa, le Sezioni unite – nella citata sentenza del 2016 – hanno fissato il seguente principio di diritto: “nel giudizio di cassazione, secondo la disciplina, applicabile ratione temporis, antecedente all’operatività del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, articolo 16, per i provvedimenti dei quali il cancelliere deve curare la comunicazione, solo quando né la trasmissione del biglietto di cancelleria a mezzo posta elettronica certificata e neppure quella eseguita via fax siano andate a buon fine, è possibile procedere – e sempre che il difensore non abbia eletto domicilio in Roma – alla notificazione mediante deposito in cancelleria”.
Nella controversia oggetto della sentenza in rassegna, il Collegio supremo, dopo aver riconosciuto l’applicabilità dell’articolo 16, comma 6, Dl n. 179/2012, al giudizio di cassazione, ha statuito che, nella specie, il mancato recapito della pec contenente la notifica dell’ordinanza derivata dalla “casella piena” fosse da imputare ad una mala gestio da parte del titolare dell’utenza dello spazio di archiviazione dei messaggi necessario ai fini del corretto funzionamento della casella stessa e, quindi, della corretta ricezione dei messaggi certificati.
Negli stessi esatti termini si è da poco pronunciata anche la terza sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 54141/2017, nella quale – in un caso del tutto analogo di mancato recapito di comunicazione di fissazione di udienza per casella pec del destinatario piena – i giudici di legittimità hanno ritenuto che si versasse in un’ipotesi di mancata consegna per causa imputabile al destinatario, il quale, evidentemente, non ha adempiuto all’obbligo di dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e di verificare l’effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione.
Le conseguenze che il principio interpretativo enunciato dalla Corte di legittimità possono produrre in termini di responsabilità professionale, inducono i difensori – quali “soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica” – a porre in essere misure di “straordinaria” diligenza nell’utilizzo degli strumenti telematici (e nello specifico della casella pec), che sempre più stanno entrando a far parte del nostro ordinamento processuale e che possono produrre effetti “indesiderati” se non tenuti sotto stretto controllo.