Imposta comunale sulla pubblicità: stop agli aumenti delle delibere approvative o confermative delle maggiorazioni tariffarie. Vediamo quali sono, tuttavia, termini e restrizioni del veto.
Gli aumenti tariffari dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni (Icpdpa), approvati o confermati dal Comune dopo il 26 giugno 2012, sono illegittimi. Analoghe considerazioni valgono per l’ipotesi di proroga tacita delle tariffe. Il chiarimento arriva dal dipartimento delle Finanze con la risoluzione n. 2/DF.
Normativa di riferimento
L’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, disciplinati dagli articoli da 1 a 37 del decreto legislativo 507/1993, si applicano rispettivamente alla diffusione di messaggi pubblicitari (effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile) e alle pubbliche affissioni.
La legge 449/1997 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) ha previsto che le tariffe relative a tali tributi possono essere aumentati dagli enti locali fino a un massimo del 20% a decorrere dal 1° gennaio 1998 e fino a un massimo del 50% a decorrere dal 1° gennaio 2000 per le superfici superiori al metro quadrato (articolo 11, comma 10).
La facoltà di disporre gli aumenti tariffari è stata abrogata dal Dl 83/2012 (articolo 23, comma 7), entrato in vigore il 26 giugno 2012.
Successivamente, la legge di stabilità 2016 ha stabilito che l’articolo 23, comma 7, nella parte in cui abroga la facoltà dei comuni di aumentare le tariffe dell’Icpdpa si interpreta nel senso che l’abrogazione non ha effetto per i comuni che si erano già avvalsi di tale facoltà prima della data di entrata in vigore dell’articolo 23, cioè prima del 26 giugno 2012 (articolo 1, comma 739, legge 208/2015).
L’intervento della Corte costituzionale
La Commissione tributaria provinciale di Pescara ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 739. La Consulta, con la sentenza n. 15/2018, ha dichiarato infondate le questioni sollevate dal giudice remittente. In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto non corretta l’interpretazione del comma 739 data dalla Ctp di Pescara, secondo la quale esso ripristinerebbe retroattivamente la potestà di applicare maggiorazioni alle tariffe per i Comuni che, alla data del 26 giugno del 2012, avessero già deliberato in tal senso.
Al contrario, la norma impugnata si limita a far salvi gli aumenti già deliberati al 26 giugno 2012. Pertanto, quanto agli effetti dell’abrogazione disposta dal Dl 83/2012, la Corte ha precisato che la stessa non poteva far cadere le delibere già adottate e che il 26 giugno del 2012 è il termine ultimo per la validità delle maggiorazioni disposte per l’anno d’imposta 2012. In altri termini, il comma 739, essendo una disposizione di carattere meramente interpretativo, si è limitata a chiarire gli effetti dell’abrogazione sancita dall’articolo 23, comma 7, Dl 83/2012, e nulla ha disposto rispetto alla possibilità di confermare o prorogare, dopo il 2012, di anno in anno, le tariffe maggiorate.
La risoluzione n. 2/DF
Con il documento di prassi pubblicato ieri, il dipartimento delle Finanze, nel solco di quanto sostenuto dalla Consulta, ha precisato che dal 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore del Dl 83/2012) tutti gli atti di proroga (anche tacita) delle maggiorazioni devono ritenersi illegittimi, non potendo essere prorogata una maggiorazione non più esistente.
Ne consegue che:
- una delibera comunale, che approva o conferma gli aumenti tariffari, adottata entro il 26 giugno 2012, legittima la richiesta di pagamento delle stesse da parte dell’ente locale
- al contrario, una delibera emessa dopo il 26 giugno 2012 è illegittima, essendo venuta meno la norma attributiva del potere di disporre gli aumenti tariffari
- analoghe considerazioni valgono anche al caso di proroga tacita delle tariffe (per il 2012, infatti, il termine ultimo di approvazione del bilancio di previsione era stato prorogato al 31 ottobre 2012, per cui solo se il bilancio fosse stato approvato entro il 26 giugno 2012, il comune poteva legittimamente richiedere il pagamento delle maggiorazioni).
In conclusione, quindi, a partire dall’anno d’imposta 2013 i Comuni non erano più legittimati a introdurre o confermare, anche tacitamente, gli aumenti tariffari.