L’accordo con l’Agenzia delle entrate per la rateizzazione del debito Iva non dà diritto alla revoca del sequestro preventivo?
La funzione del vincolo cautelare è quella di garantire che l’adottata misura ablativa, esplichi i propri effetti nel momento in cui il versamento “promesso” non si verifichi.
L’accordo con l’Agenzia delle entrate per la rateizzazione del debito Iva non dà diritto alla revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca, ma l’indagato può chiedere la riduzione della misura, in proporzione alle rate regolarmente pagate. È quanto ribadito dalla suprema Corte con la sentenza 5781 del 7 febbraio 2018.
La vicenda processuale
Il tribunale, con ordinanza, dispone un sequestro preventivo finalizzato alla confisca, nei confronti dell’imputato per il reato di omesso versamento dell’Iva (articolo 10-ter del Dlgs 74/2000), ritenendo che solo l’integrale pagamento del debito tributario non comporta il sequestro, essendo insufficiente la mera adesione a una rateizzazione o a un accordo con l’Agenzia delle entrate.
Detto provvedimento è impugnato in Cassazione dall’imputato, il quale lamenta il vizio di violazione di legge. Secondo il ricorrente, in presenza di un accordo serio di rateizzazione non sempre deve disporsi e mantenersi il sequestro.
L’articolo 12-bis del Dlgs 74/2000 sembra suggerire il contrario laddove afferma che “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato pagamento la confisca è sempre disposta”.
Il vincolo cautelare può permanere, quindi, pure in presenza di accordo ma non deve permanere in ogni caso, in automatico. Il ricorrente, altresì, deduce il difetto del periculum in mora, quale presupposto legittimante la misura cautelare, asserendo che l’omesso versamento dell’Iva è incolpevole in quanto dovuto a una crisi di liquidità derivata da un contenzioso fiscale che ha pregiudicato i rapporti con le banche.
Nel ricorso per cassazione, altresì, viene rilevata la questione di legittimità costituzionale della norma penale che disciplina il reato di omesso versamento dell’Iva per contrasto con l’articolo 76 della Costituzione (eccesso di delega). La mera omissione, secondo l’imputato, con la corretta esposizione dei dati al fisco dovrebbe essere esclusa dalla norma penale, poiché il vero comportamento rilevante per la punibilità risulta la condotta caratterizzata da frode e falsificazione.
La pronuncia della Cassazione
La Corte di legittimità, nel respingere il ricorso proposto dal contribuente, ribadisce la permanenza del vincolo cautelare anche in presenza di un accordo di rateizzazione delle somme dovute al Fisco.
Osservazioni
Per la suprema Corte è legittima la decisione del tribunale, in base alla quale l’accordo con l’Agenzia delle entrate o il piano di rateizzazione non esclude il sequestro.
La Cassazione aderisce all’orientamento in base al quale l’articolo 12-bis, comma 2, del Dlgs 74/2000, introdotto dalla riforma del 2015, non preclude l’adozione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca, relativamente agli importi non ancora corrisposti (cfr Cassazione, sentenza 5728/2016).
La funzione del vincolo cautelare, invero, è quella di garantire che l’adottata misura ablativa, inefficace con riguardo alla parte coperta dall’impegno, esplichi i propri effetti qualora il versamento “promesso” non si verifichi. Il tribunale, pertanto, è tenuto a ridurre proporzionalmente gli importi del sequestro, scomputando le rate già pagate regolarmente.
Altresì, è generico e infondato il motivo di doglianza dedotto dal ricorrente sulla crisi di liquidità e dunque sul difetto del dolo del reato in accertamento.
È pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che nel reato di omesso versamento dell’Iva, ai fini dell’esclusione della colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (tra le tante, Cassazione, sentenza 8352/2014).
Relativamente alla questione di costituzionalità prospettata, la suprema Corte rileva il rispetto della legge delega che non contiene il principio dell’abrogazione delle condotte criminose, relative al solo omesso versamento qualora la dichiarazione sia corretta, ma l’adeguamento delle sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti, anche con la previsione di adeguate soglie di punibilità. Conseguentemente, come ritenuto dal tribunale nel provvedimento impugnato, la questione risulta manifestamente infondata.