Impugnato il licenziamento del dipendente di Amazon silurato per essersi fatto un selfie. Scatto fatto con un tablet trovato lungo un corridoio appoggiato su un bancale.
Dal braccio di ferro tra Amazon e sindacati passa anche un tentativo che potrebbe scardinare il Jobs act. E non c’entra il braccialetto elettronico. Oltre alla vertenza per il contratto integrativo aziendale, che tornerà al tavolo della Prefettura di Piacenza lunedì prossimo (grazie alla mediazione del Governo), c’è anche un fronte ‘legale’ su cui la Cgil vuole andare fino in fondo.
Si tratta dell’impugnazione del licenziamento del dipendente tagliato da Amazon per essersi fatto un selfie con un tablet trovato lungo un corridoio appoggiato su un bancale: si fece lo scatto, riappoggiò il tablet e “tornò a lavorare, poi lo hanno licenziato”.
DELL’EPISODIO SI PARLA DA FINE NOVEMBRE
La storia è saltata fuori tra i racconti dei lavoratori durante lo sciopero del Black friday e poi al riesplodere delle polemiche per l’ipotesi di mettere il braccialetto elettronico ai dipendenti del colosso dell’e-commerce. Ma la non è finita qui. Per quel licenziamento “siamo in tribunale a Milano perchè lì ci sono giudici che hanno una esperienza importante” sulla materia, e lì “proporremo anche la verifica di incostituzionalità” della norma che ha permesso il taglio del dipendente che si è fatto l’autoscatto.
Lo ha spiegato ieri, a Piacenza, ad una iniziativa con i candidati al Parlamento di Liberi e uguali, Fiorenzo Molinari, segretario provinciale della Filcams-Cgil, in prima fila nella vertenza con Amazon (“azienda estremamente feroce”, la ha definita ieri). E non è un caso che la Cgil porti avanti anche questa battaglia.
CGIL: “ARTICOLO 18, E’ SPARTIACQUE TRA MERCE E CULTURA”
“Quando faccio le assemblee in Amazon sento proprio l’esigenza dell’articolo 18”, dice Molinari che inserisce il caso del licenziamento per selfie in un discorso dedicato ai guasti del Jobs act lodando l’intenzione di LeU e di Potere al Popolo di cancellarlo. “In altre forze di sinistra, di centrosinistra l’articolo 18 sembra abbandonato, ma- ammonisce Molinari nella sua ‘requisitoria’ sul caso Amazon- è il fulcro che sposta il lavoro da merce a cultura”.
“AD AMAZON NON IMPORTA NULLA DI DOVER PAGARE PER LICENZIARE”
L’esperienza in Amazon, insegna: Molinari cita non a caso la battaglia per far riassumere la dipendente licenziata per aver superato i 180 giorni di malattia e “senza alcuna spiegazione” sul perchè del suo ‘taglio’. Ma del resto, dice ancora richiamando l’attenzione sull’articolo 18, “cosa volete che importi a Bezos (Jeff, patron di Amazon, ndr) di licenziare una persona pagando due mensilità per ogni anno che ha lavorato? Non gliele frega assolutamente nulla e senza questo pilastro fondamentale (l’articolo 18, ndr) lo statuto dei lavoratori crolla”.
“COL JOBS ACT IL GIUDICE NON PUO’ PIU’ INDAGARE SUI MOTIVI DI UN LICENZIAMENTO”
Molinari peraltro ricorda che, peggiorando la legge Fornero, la nuova norma prevede che il giudice, quando esamina il licenziamento, “non può più fare una valutazione sul perchè è stato commesso un fatto”; il magistrato considera solo se un “fatto è stato commesso o no, non il perchè, il motivo”, mentre prima “veniva valutato il fatto giuridico analizzando il perchè.
Il jobs act ha scritto che il giudice può valutare solo il fatto materiale… questi che lo hanno scritto erano dei legali formidabili, ma non dei filantropi”. E qui Molinari racconta che gli addetti in Amazon rivorrebbero l’articolo 18:
“Quando i dipendenti vengono nel nostro ufficio non chiediamo più se lavorano in una azienda con più meno di 15 dipendenti, ma se si è stati assunti prima o dopo il 7 marzo 2015… Guardate, questa legge non risponde nemmeno al principio di uguaglianza” ma appunto la Cgil non ci sta e per questo Molinari porta d’esempio il caso del licenziato per selfie della sua impugnazione.