compenso revisori dei contiLa manovra di bilancio 2018 non prevede più l’obbligo di decurtare del 10% il compenso riconoscibile ai componenti degli organi di revisione degli enti locali, come previsto dall’art. 6, comma 3 del Decreto Legge n. 78/2010, più volte prorogato.


 

Il Dl 78/2010 sanciva che a “decorrere dal 1° gennaio 2011 le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni […] ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010. “.

 

La sezione Autonomie della Corte dei Conti (deliberazione n. 29/2015) si è espressa sull’applicabilità della decurtazione anche al collegio dei revisori degli enti locali. Il termine di vigenza della decurtazione era inizialmente fissato al 2013. L’ultima proroga è stata sancita con l’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 244/2016, che ha fissato il termine per la decurtazione al 31 dicembre 2017.

 

Spirato il quale, senza che sia intervenuta una nuova proroga, non è più obbligatorio il taglio del 10% sui compensi dei revisori dei conti. L’art. 241 del TUEL fissa i limiti massimi della retribuzione dei revisori (da aggiornarsi triennalmente, mediante decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro Economia e Finanza) in ragione della classe demografica di appartenenza dell’ente locale, delle spese di funzionamento e d’investimento dello stesso ente.

 

Il comma 7 dello stesso articolo sancisce che l’ente locale stabilisce il compenso spettante ai revisori con la stessa delibera di nomina ed è l’unico momento individuato dal legislatore per intervenire su questa materia. I compensi deliberati fino al 31 dicembre 2017 sono assoggettati alle vecchie disposizioni e le deliberazioni che prevedono compensi decurtati del 10% continuano a trovare applicazione, anche dopo il venir meno del vincolo pubblicistico. I revisori dei conti solo in un caso potrebbero chiedere l’adeguamento del compenso: qualora il Consiglio comunale (o provinciale) abbia deliberato il compenso massimo e successivamente su questa somma sia stata applicata la decurtazione, quale atto dovuto.

 

In questo caso, i professionisti potrebbero chiedere la corresponsione dell’importo deliberato. Quello che la mancata proroga del vincolo pubblicistico fa venire meno è l’obbligo della decurtazione non la facoltà di applicarlo. Resta, infatti, in capo al Consiglio, deliberare compensi inferiori, non sussistendo nell’ordinamento alcun limite minimo alla retribuzione dei revisori dei conti degli enti locali, come recentemente affermato dalla sezione Autonomie della Corte dei conti (deliberazione n. 16/SEZAUT/2017/QMIG del 13 giugno 2017).

 

La sezione Autonomie, pur riconoscendo come le funzioni dell’organo di revisione richiedano un’elevata professionalità ed impongano garanzie d’imparzialità e indipendenza, ha negato l’esistenza nell’ordinamento di un limite minimo al compenso ed ha escluso che una simile barriera potesse essere ricostruita dalla giurisprudenza. La questione era stata affrontata da diverse sezioni regionali della Corte dei Conti, con orientamenti differenti.

 

Secondo la Sezione di controllo per la Regione siciliana (deliberazione n. 272 del 9 ottobre 2015) sussiste una piena discrezionalità dell’Ente nello stabilire l’ammontare del corrispettivo (pur nel rispetto del limite massimo e degli altri criteri stabiliti dalla legge) e non è rinvenibile nell’ordinamento la possibilità di un sindacato esterno sulla congruità del compenso basata sulla presunta esistenza di un limite minimo.

 

Secondo la sezione controllo della Corte dei Conti della Lombardia (deliberazione n. 103/2017/QMIG), invece, il compenso di ciascun componente dell’organo di revisione oltre ad incontrare un limite massimo, doveva conoscere una barriera al ribasso, individuata nel compenso massimo previsto per i comuni della fascia demografica immediatamente inferiore, secondo la griglia definita dal DM 20 maggio 2005.

 

Una posizione intermedia era stata assunta dalla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per la Liguria (deliberazione n. 95/2016/PAR), che aveva individuato il limite minimo in quanto stabilito dall’art. 2233, comma 2, del codice civile, e quindi in una misura del compenso sempre adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione.

 

Per la sezione Autonomie, però, la natura il rapporto che viene ad instaurarsi tra il revisore e la Pubblica Amministrazione è privatistica e convenzionale. Nemmeno la scelta tramite sorteggio incide sull’assetto civilistico del rapporto, trovando la propria ratio nella necessità di garantire la professionalità e indipendenza dei prescelti nell’esercizio delle rilevanti funzioni del controllo.

 

Secondo la sezione Autonomie, i limiti minimi del compenso dei revisori non possono essere determinati per altra via che non sia quella normativa.

 

“L’interprete – scrivono i magistrati – non può sostituirsi al legislatore al fine di colmare lacune dell’ordinamento, ma deve privilegiare interpretazioni aderenti al tenore letterale e alla ratio delle norme individuando la natura dei rapporti che soggiacciono ad esse ed evitando soluzioni ermeneutiche derogatorie o additive”.