trasferimenti immobiliariLa Corte di cassazione, con la recente ordinanza n. 30189 del 15 dicembre, ha fornito indicazioni sui criteri individuati dal Testo unico dell’imposta di registro, ai fini del controllo del valore dichiarato dalle parti per i trasferimenti immobiliari.


 

La Corte di cassazione, con la recente ordinanza n. 30189 del 15 dicembre, ha chiarito che i plurimi criteri individuati dal Testo unico dell’imposta di registro, ai fini del controllo del valore dichiarato dalle parti per i trasferimenti immobiliari, sono assolutamente “pari ordinati” e l’Amministrazione finanziaria può seguire uno qualsiasi dei predetti criteri, laddove lo ritenga maggiormente idoneo per determinare il valore del bene trasferito in sede di accertamento.

 

La vicenda trae origine dall’impugnazione, da parte di una società, di un avviso di accertamento con il quale l’ufficio del registro aveva elevato il valore di un immobile rispetto a quello dichiarato dalle parti. Il contenzioso si è incentrato sull’ambito applicativo del comma 3, articolo 51, Dpr 131/1986, norma nella quale il legislatore ha codificato i criteri che l’Amministrazione finanziaria utilizza per il controllo della correttezza del valore dichiarato dalle parti in presenza di un atto che abbia per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari.

 

Com’è noto, infatti, ai sensi delle disposizioni contenute nei commi precedenti dello stesso articolo 51, la base imponibile da assoggettare a tassazione ai fini del Registro è costituita dal “valore del bene o del diritto alla data dell’atto …” (in mancanza o se superiore, dal corrispettivo pattuito), con la specificazione che per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari “si intende per valore il valore venale in comune commercio”.

 

Ciò posto, la norma in questione precisa che l’ufficio “ai fini dell’eventuale rettifica, controlla il valore di cui al comma 1 avendo riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili … nonché ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni”.

 

A tale riguardo, la Ctr della Lombardia, con la sentenza n. 87/50/2011, accogliendo la tesi della società contribuente, ha concluso affermando che l’Amministrazione finanziaria “deve in primo luogo, nell’effettuare eventuale avviso di rettifica, fare riferimento a trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie anteriori di non oltre tre anni dalla data dell’atto”.

 

La posizione della Corte di cassazione 

 

A seguito di impugnazione dell’Amministrazione finanziaria per violazione e falsa applicazione dell’articolo 51, comma 3, del Dpr 131/1986, la Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha chiarito che tale disposizione indica più criteri per il controllo del valore, i quali hanno tra loro pari dignità e sono ugualmente applicabili. Più specificamente, a parere dei giudici di legittimità, i criteri di valutazione di cui alla norma citata, ossia:

 

 

  • trasferimenti a qualsiasi titolo, divisioni e perizie giudiziarie anteriori di non oltre tre anni che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni
  • reddito netto di cui gli immobili siano suscettibili
  • ogni altro elemento di valutazione,

 

 

sono assolutamente pari ordinati” e l’Amministrazione può scegliere e seguire tra questi quello che ritiene più consono e maggiormente idoneo per la determinazione del valore venale del bene trasferito in sede di accertamento.

 

Detto ciò, la Corte ha cassato la sentenza del giudice di merito poiché la norma non autorizza a ritenere che l’ufficio, in sede di controllo, debba fare “in primo luogo” riferimento ad alcuni dei criteri indicati dalla norma (nella specie, trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie anteriori di non oltre tre anni), pena l’illegittimità dell’accertamento.

 

Nello stesso senso, la Cassazione si era già espressa nella sentenza n. 4221/2006 in relazione al criterio rappresentato da “ogni altro elemento di valutazione”. In tale sede, i giudici di legittimità avevano chiarito che nulla autorizza a ritenere – come invece all’epoca eccepito dalla contribuente – che tale criterio abbia carattere residuale e meramente subordinato alla oggettiva impossibilità di ricorrere ai parametri di cui ai precedenti criteri.

 

Nell’ordinanza in esame, la suprema Corte ha, infine, rilevato un ulteriore vizio della sentenza di merito laddove ha fatto riferimento – al fine di valutare la corretta determinazione del valore del bene – ad alcuni dei criteri indicati dall’articolo 51 Dpr 131/1986, (ubicazione, tipo e stato dell’immobile compravenduto, valori medi della zona per immobili similari) “ma non ha esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto che il criterio comparativo, riferito al valore del bene accertato ai fini dell’imposta di successione, fosse recessivo rispetto ad essi”.

 

La corretta applicazione del principio enunciato, infatti, secondo la Corte, oltre a imporre di considerare i criteri di valutazione di cui all’articolo 51 comma 3 del Dpr 131/1986 pari ordinati, non esime dall’obbligo di motivare le ragioni per le quali taluni criteri sono ritenuti prevalenti rispetto ad altri (nella specie quelli utilizzati dall’ufficio).