numeri_300x200Superiori di 4 anni, in Europa nessun accorciamento di percorsi scolastici?


 

La recente sperimentazione del cosiddetto “liceo breve”, ovvero della riduzione a quattro anni del percorso di studi della scuola secondaria di secondo grado, cui hanno aderito un centinaio di istituti, è stata giustificata dall’argomento “In Europa avviene già”: è proprio vero?

 

Questo articolo intende appurarlo. Per esaminare cosa succede nel resto dell’Unione è utile la base dati di Eurydice, la rete europea di informazione sull’istruzione, che proprio nel novembre scorso ha pubblicato una versione aggiornata del periodico rapporto sulla struttura dei sistemi scolastici europei.

 

Dall’analisi di tali dati emerge che in effetti la scelta di un percorso secondario di cinque anni è poco praticata in Europa: solo Bulgaria e Slovenia, oltre all’Italia, la attuano. A prima vista sembrerebbe dunque confermata la tesi di partenza.

 

Le cose appaiono diversamente, però, se si va a studiare la durata complessiva di primo ciclo e secondo ciclo: in questo caso l’Italia è perfettamente allineata alla “moda” europea, dal momento che nel nostro paese tale arco temporale ammonta a 13 anni: 15 paesi su 27 fanno altrettanto.

 

Cosa significa ciò? Vuol dire che i paesi europei nei quali il secondo ciclo è più breve rispetto all’Italia non eliminano tout court un anno di studi, ma lo recuperano altrove distribuendolo diversamente tra i due cicli. L’Italia infatti ha un primo ciclo dalla durata molto breve in confronto al resto del continente: otto anni, mentre la scelta predominante in Europa è di nove anni o addirittura di 10/11 anni.

 

Solo cinque paesi europei (Italia compresa) hanno un primo ciclo di otto anni; 14 paesi hanno un primo ciclo da nove anni, 6 paesi da 10 anni: di ciò però non si parla, ed è curioso che al riguardo non si invochi l’allineamento alla prassi europea, come sarebbe logico pensare.

 

Il dibattito sull’accorciamento del secondo ciclo in Italia appare quindi viziato all’origine dalla mancanza di uno sguardo sistemico: è evidente che la riduzione di un solo anno nel percorso secondario, qualora non fosse accompagnata da una revisione del primo ciclo che ne aumentasse la durata, si configurerebbe come un semplice taglio di personale allo scopo di ottenere un risparmio di spesa pubblica nell’istruzione. L’ultimo rapporto OCSE (settembre 2017) sui sistemi scolastici ha evidenziato che: “Nel 2014, la spesa per le istituzioni dell’istruzione si è attestata al 4% del PIL in Italia, un rapporto molto inferiore alla media OCSE del 5,2% e inferiore del 7% rispetto al 2010. Solo cinque altri Paesi si collocavano a un livello inferiore rispetto all’Italia in termini di spesa per le istituzioni dell’insegnamento in percentuale del PIL.”1

 

Non è forse il caso, pertanto, di pensare a ulteriori risparmi nel settore dell’istruzione. Se si volesse veramente allineare il sistema scolastico italiano a quello europeo, come si afferma, bisognerebbe iniziare a ragionare contestualmente di aumento della durata del primo ciclo, evidenziando come sia proprio in questa fase del percorso di studi -e non in altre- che si acquisiscono compiutamente e in profondità le competenze di base spendibili nel ciclo successivo.