concessioni cimiterialiUn ente, dovendo procedere alle estumulazioni dei loculi con concessione cimiteriale scaduta ha provveduto ad avvisare i titolari dei contratti in scadenza. Come deve essere gestito questo sistema delle concessioni cimiteriali?


Si precisa che con delibera n. 50 del 12.04.1976 esecutiva dal 21.5.1976, la durata delle concessioni cimiteriali relative ai loculi è stata variata da 75 anni a 40 anni e che pertanto per il conteggio della scadenza sono stati conteggiati i 40 anni per tutti i contratti successivi alla delibera sopracitata. Nella fase di riscontro è emerso che alcuni concessionari sono in possesso di contratti stipulati in data successiva alla delibera ma riportanti come durata della concessione 75 anni (probabilmente è stato utilizzato il modulo prestampato con scadenza 75 allora in uso) Da una verifica effettuata nell’archivio dell’Ente è emerso che alcuni originali dei contratti depositati riportano invece una correzione a penna da 75 a 40 anni. A questo punto si chiede: si devono ritenere validi i contratti in possesso dei concessionari (registrati all’Agenzia delle Entrate) e quindi considerare i 75 anni? Oppure, in forza della delibera, si possono considerare comunque i 40 anni? Verificando poi anche gli anni successivi, è emerso, che a suo tempo l’ufficio preposto ha continuato ad utilizzare i moduli prestampati sino a maggio 1979 pertanto l’errore è proseguito per altri 3 anni.

RISPOSTA

Occorre premettere che la natura giuridica del contratto cimiteriale è quella della “concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno o di una porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale” (Corte di cassazione civile, Sez. unite, 27 luglio 1988 n. 4760). L’art. 92 del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 prevede che le concessioni di sepolcri privati nei cimiteri (quale è quella concernente una tumulazione individuale, cioè il loculo) devono essere formalizzate mediante specifico atto di concessione che costituisce la condizione essenziale per la sussistenza di una concessione d’uso di sepolcri privati. Si tratta, pertanto, di un atto unilaterale con il quale il Comune attribuisce a un terzo il diritto d’uso di un bene demaniale per una determinata durata, sul quale si innescano condizioni di tipo contrattuale, di natura quindi bilaterale e pattizia (ad esempio, relativamente alle condizioni d’uso).

Decorrenza e durata degli atti di concessioni cimiteriali non rientrano nella volontà pattizia delle parti, ma devono rispettare le norme regolamentari comunali in vigore al momento della stipula, ivi compresa la durata, pro tempore fissata dal dettato regolamentare vigente in sede locale (quaranta anni nel caso del quesito). Appare di conseguenza evidente ed incontrovertibile che, nel caso sottopostoci, per gli atti concessori stipulati dopo il 25 maggio 1976, la durata non poteva e non può che essere quarantennale, rilevando a tal proposito le disposizioni regolamentari pro tempore vigenti. Ne discende che nei casi descritti dal quesito, l’indicazione della durata in anni 75, in luogo di quella di 40 anni, costituisce un mero errore materiale (rectius: una irregolarità involontaria) da correggere con le modalità previste dall’ordinamento, senza alcun pregiudizio per gli interventi di estumulazione già programmati, fatte salve le comunicazioni e gli accordi con gli eredi interessati. Non è superfluo rammentare, a proposito della rettifica dell’atto amministrativo, che l’errore materiale nella redazione di un provvedimento amministrativo si concretizza quando il pensiero del decisore sia stato tradito ed alterato al momento della sua traduzione in forma scritta, a causa di un fattore deviante che abbia operato esclusivamente nella fase della sua esternazione.

La rettifica, concernendo un errore materiale: • non richiede una motivazione rigorosa (come invece risulta necessario nel caso dell’annullamento d’ufficio, con conseguente sottoposizione alle condizioni prescritte dall’art. 21-nonies, comma 1, della legge generale sul procedimento amministrativo – Legge n.241/1990 e ss.mm.ii.). • non richiede neppure di valutare comparativamente l’interesse pubblico e l’interesse privato coinvolti, essendo finalizzata a rendere il contenuto del provvedimento conforme alla reale volontà di chi lo ha adottato. Per un migliore approfondimento del lettore, si consiglia la lettura della recente massima del Supremo Giudice Amministrativo (CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – SENTENZA 5 marzo 2014, n.103).

Nel caso di specie è ragionevole ritenere che non si debba procedere ad annullamento per due importanti ragioni: per il principio di conservazione degli atti amministrativi ed anche per evitare un inutile dispendio di spese di contratto che in questo caso andrebbero a gravare sull’ente locale/concedente. In pratica si dovrà procedere con apposite determinazioni dirigenziali (anche una determina unica, che contenga però l’elencazione di tutti gli atti concessori censiti e soggetti a rettifica). Copia del provvedimento amministrativo dirigenziale andrà notificato a ciascuno degli interessati eredi per il prosieguo delle operazioni materiali ed amministrative concernenti l’estumulazione del loro parente.