sacchetti ---Dal 1° gennaio 2018 dovremo dire addio ai sacchetti distribuiti gratis nei reparti ortofrutta, gastronomia e di altri generi alimentari, con e senza manici. Nonostante le proteste che arrivano dal fronte dei consumatori proviamo ad ipotizzare quali potrebbero essere i benefici ambientali ed economici, diretti e non, che l’applicazione di questa norma potrebbe invece innescare. In particolare per il comparto ortofrutta.


Si avvicina la data del 1° gennaio 2018 in cui entrerà in vigore la norma che impone l’utilizzo di plastiche biodegradabili e compostabili anche per i sacchetti ultraleggeri con spessore inferiore ai 15 micron, (con o senza manici) in recepimento della direttiva europea (art. 9 bis d.l. n. 91/2017) . Si tratta dei sacchetti  utilizzati per trasporto e/o asporto merci per fini di igiene e/o come imballaggio primario di prodotti alimentari quali carni, pesce, prodotti da forno, gastronomia e ortofrutta.

 

Oltre ad essere realizzati con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile (almeno il 40% per iniziare) questi sacchetti dovranno essere ceduti esclusivamente a pagamento. Previste per chi contravviene sanzioni piuttosto severe, a partire da 2.500 euro.

 

Nelle ultime settimane si è aperto sui media e tra gli operatori del settore un dibattito sul provvedimento che non viene accolto favorevolmente dai consumatori. Questi ultimi, tra le altre cose, contestano l’impossibilità di evitare l’acquisto dei sacchetti ultraleggeri, cosa invece possibile per gli  shopper biodegradabili alle casse che una parte degli italiani ha sostituito con le  sporte utilizzabili.

 

Così come già avvenuto con l’introduzione degli shopper compostabili nel 2012 non sono mancati titoli e interventi allarmistici sui media nel tentativo di quantificare la presunta “stangata” sulla spesa delle famiglie. In realtà, siccome i prezzi dei prodotti al dettaglio tengono da sempre conto dei costi di esercizio, anche quando i consumatori non ne hanno contezza, siamo di fronte ad un “falso” problema.

 

Dai pareri raccolti sul provvedimento da parte di alcuni media emerge per lo più la contrarietà degli intervistati che contestano la mancanza di proposte alternative da parte della GDO.  Anche sui social si leggono commenti in negativo sul provvedimento come “vuol dire che invece di comprare al supermercato frutta sfusa la comprerò già confezionata”, oppure “mi rivolgerò al verduriere sotto casa o al mercato”.  In realtà saranno in tanti a dover venire a patti con questa misura se consideriamo che una parte consistente delle vendite di ortofrutta avviene nei supermercati.  Come rileva un recente sondaggio Ipsos  il 66% degli italiani acquista frutta e verdura nei supermercati   (contro il 33% che si rivolge al fruttivendolo).

 

Siccome il punto di vista e le percezioni del cliente consumatore “contano” è importante mettersi nei suoi panni per potergli dare delle risposte. Le sue reazioni “piccate” derivano da quasi 30 anni di assuefazione ai sacchetti  usa e getta, ricevuti automaticamente e gratuitamente per qualsiasi tipo di acquisto. In questo modo gli è passato il messaggio che i sacchetti siano un “servizio accessorio dovuto” quando si acquista un bene. Non è in alcun modo invece passata l’informazione circa le conseguenze ambientali ed economiche del consumo usa e getta.

 

Poi è arrivata nel 2012 la legge che vietava la commercializzazione di shopper in plastica non compostabile e i supermercati hanno cominciato a fargli pagare i sacchetti bio, anche se la prassi di allungarne qualcuno gratis non è mai scomparsa. Non si sono verificate così ad oggi le condizioni di base per promuovere alcun tipo di sensibilizzazione ad un consumo responsabile anche perchè nei negozi e nei mercati  i sacchetti (per lo più “illegali”) in plastica continuano ad essere gratis.

 

Anche se il provvedimento riguarda ora i sacchetti ultraleggeri questo è pressapoco lo stato dell’arte come percezione del tema da parte dell’opinione pubblica. Considerando pertanto il contesto delineato e per sostenere la valenza ambientale di questa misura che presenta i sacchetti in bioplastica come un’alternativa meno impattante dei sacchetti tradizionali è necessario,  a nostro parere, intervenire in contemporanea sui seguenti fronti :

 

1) Rendere effettivamente compostabili i sacchetti della GDO risolvendo il problema dell’etichetta che ostacola il compostaggio : smaterializzandola oppure realizzandola in materiale compostabile con inchiostri adeguati. Dubitiamo però che si troveranno soluzioni a brevissimo termine su questo aspetto, anche se non è per nulla marginale.

 

2) Permettere azioni di riduzione e ottimizzazione degli imballaggi che sono già possibili o tollerate già da ora in alcuni punti vendita della GDO come apporre ad esempio l’etichetta direttamente sul prodotto per alcune tipologie di ortofrutta (melone, banane, melanzana, ecc) oppure mettere un paio di referenze diverse nella stessa busta. La GDO non può più esimersi, come verrà chiarito più avanti, dal trovare delle soluzioni per permettere ai propri clienti di usare meno imballaggio. I clienti dal prossimo gennaio saranno nella condizione “ottimale” per rilevarle e apprezzarle. Queste stesse azioni saranno d’altronde quelle che i consumatori potranno mettere in pratica dal verduriere sotto casa o al banco del mercato, dove le diverse tipologie di ortofrutta possono andare direttamente nella borsa, come facevano i nostri nonni.

 

3) Last but not least : adottare una propria linea di sacchetti ortofrutta riutilizzabili. Questa opzione alternativa “volontaria” metterebbe a tacere tutte le rimostranze e gioverebbe alla causa, anche come comunicazione. Se il motivo di un provvedimento è di ordine ambientale la gerarchia di europea di gestione dei rifiuti ci dice che dopo la prevenzione, l’opzione ambientalmente più efficace è il riuso, ancor prima del riciclo.

 

Nelle Fiandre è la stessa associazione del commercio che ha coordinato un progetto pilota di utilizzo di sacchetti riutilizzabili in alcuni punti vendita delle insegne leader della GDO per raggiungere l’obiettivo di riduzione per le  borse di plastica in materiale leggero (sotto i 50 micron) e ultraleggero (sotto i 15 micron) in recepimento della direttiva UE 2015/720 (che modifica la direttiva imballaggi (94/62/CE).

 

Confidiamo che ci saranno gruppi della GDO che riprenderanno in considerazione una nostra proposta del 2010 come parte della nostra prima campagna nazionale Porta la Sporta  denominata “Mettila in rete”.
Insegne come Simply*, Conad Leclerc , CoopGruppo Gabrielli**, l’avevano valutata, e addirittura effettuato qualche singolo progetto pilota. Evidentemente però i tempi non erano abbastanza maturi per implementare il sistema e in particolare a spingere le insegne a trovare le soluzioni ad alcune piccole criticità come la gestione di due tare e l’approvvigionamento/gestione dei sacchetti riutilizzabili.

 

A distanza di pochi anni lo scenario è cambiato. A livello legislativo  le direttive europee sui rifiuti e del pacchetto sull’economia circolare (in prossima uscita) impongono  ai paesi membri obiettivi più stringenti in termini di prevenzione, riduzione, riciclo dei rifiuti e di efficienza nell’uso delle risorse. Allo stesso tempo sta crescendo nell’opinione pubblica la preoccupazione sull’impatto della plastica nei mari e sulle ripercussioni sulla salute umana visto che la plastica è entrata nella catena alimentare.

 

Per continuare a leggere l’articolo potete consultare il sito dell’Associazione dei Comuni Virtuosi.