L’esclusione dall’obbligo del pagamento della tassa per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, relativamente ad un immobile non utilizzabile, si determina solo in caso di presentazione al Comune di tale situazione nella dichiarazione originaria oppure in una denuncia di una variazione subentrata.
Non è, quindi, sufficiente che l’immobile sia inutilizzabile di fatto ma è necessario che il cittadino-contribuente lo abbia rappresentato tempestivamente all’ente impositore.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione (sez. V, ordinanza n. 15044 del 16 giugno 2017) che ha evidenziato come la Tarsu (ma lo stesso discorso può essere esteso a Tares, Tia1 e Tari) sia dovuta per la mera detenzione dell’immobile, sulla base del presupposto che ciascun fabbricato è potenzialmente idoneo a produrre rifiuti.
Il contribuente che ritiene di potere essere escluso dal pagamento del tributo ne deve informare l’ente impositore, che potrebbe provvedere a verificare la veridicità di quanto dichiarato.
La pronuncia della Suprema Corte porta a ritenere che il contribuente non abbia la possibilità di provare, qualora non lo abbia tempestivamente dichiarato e denunciato, successivamente una situazione d’inutilizzabilità del fabbricato.
Gli ermellini, con l’ordinanza in esame, hanno rinviato la causa ad un esame, dopo che la Commissione Tributaria Regionale della Puglia aveva accolto le ragioni del ricorrente, escludendo l’immobile dalla tassazione, anche in assenza di una dichiarazione che ne attestava l’inutilizzabilità.
Sul concetto d’inutilizzabilità, poi, si registra una posizione molto rigida da parte della Corte di Cassazione, recentemente, in parte, smentita dal Ministero dell’Economia e Finanza.
Se la Tarsu era dovuta da chiunque possedesse, occupasse o detenesse a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, oggettivamente utilizzabili, per la Tares e la Tari occorre che gli immobili siano suscettibili di produrre rifiuti urbani.
Due modi differenti per attestare che gli immobili sono sottoposti a tassazione in forza di una mera potenzialità a generare rifiuti e non di una reale loro produzione.
La Cassazione ed i giudici di merito hanno ritenuto illegittima l’esclusione dall’imposizione Tarsu degli immobili privi di arredi oppure senza allacci alla rete elettrica o idrica.
Secondo la Suprema Corte (tra le altre: sentenze n.16785/ 2002, n. 9920 /2003, n.1850/2010), in questi casi, l’immobile non è oggettivamente inutilizzabile, ma solo soggettivamente inutilizzato.
Quello che rileva, infatti, non è la condizione oggettiva dell’immobile ma la scelta soggettiva del proprietario di non arredarlo o di non allacciarlo alla rete elettrica o idrica.
Da tale orientamento si è staccato il prototipo di regolamento messo a punto dal gruppo di lavoro costituito dal Mef nell’ambito del programma operativo “Governance e azioni di sistema”, che ha previsto che non fossero soggetti alla Tari “le unità immobiliari adibite a civile abitazione prive di mobili, suppellettili e sprovviste di contratti attivi di forniture dei servizi pubblici a rete”.
Secondo il Regolamento del Mef, adottato da moltissimi Comuni, occorre la contemporanea assenza di arredi e di allacci per ritenere inutilizzabile un fabbricato.
La prova contraria, atta a dimostrare l’inidoneità del bene a produrre rifiuti, resta ad esclusivo carico del contribuente che deve fornire all’amministrazione, tutti gli elementi all’uopo necessari (Cassazione, sentenza n. 14770 del 15 novembre 2000) ma ciò non può, in ogni caso, sanare con effetto retroattivo la mancata presentazione denuncia dello stato d’inutilizzabilità.