sequestro preventivo fisco fattureAnche in assenza di procedure di riscossione in corso, sono configurabili come condotte criminose le operazione fittizie, che occultano il patrimonio mettendo a rischio il recupero del debito.


 

In relazione al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca in presenza di una situazione di pericolo in ordine alla possibilità per l’amministrazione finanziaria di giungere all’effettiva riscossione dei propri crediti.

 

È quanto affermato dai giudici della Corte di cassazione con la sentenza 44451 del 27 settembre 2017, con la quale hanno respinto i ricorsi presentati da alcuni contribuenti indagati per sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in quanto avevano costituito una nuova Srl, al fine di aggirare il pagamento dei debiti con il Fisco.

 

Vicenda processuale e decisione della Corte di cassazione

 

Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Lucca aveva applicato il sequestro preventivo delle quote sociali di una Srl in relazione al reato contestato ai componenti di una società a responsabilità limitata ai sensi dell’articolo 11 del Dlgs 74/2000, per avere commesso atti simulati e/o fraudolenti al fine di sottrarre la garanzia patrimoniale del pagamento di un debito tributario contratto nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

 

Il tribunale del riesame, ritenendo sussistente il fumus del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, ha confermato il sequestro preventivo disposto dal Gip sulle quote societarie degli indagati. Avverso la suddetta pronuncia hanno presentato ricorso per Cassazione gli indagati lamentando che la ristrutturazione societaria e il conferimento contestati, asseritamente riconducibili a operazioni simulate, non sarebbero stati idonei a impedire le azioni di recupero da parte dell’amministrazione finanziaria. Secondo i ricorrenti, le predette operazioni concretizzavano trasferimenti effettivi di beni e non la creazione di uno schermo volto a occultare il patrimonio e la sua riconducibilità, pur dopo l’operazione simulata, all’originario debitore.

 

La Cassazione ha respinto il ricorso e confermato la legittimità del sequestro. Nello specifico, i giudici non hanno condiviso le deduzioni dei ricorrenti in ordine all’effetto depauperatorio degli atti simulati o fraudolenti che, nella specie, sarebbe mancato e non sarebbe nemmeno configurabile.

 

La Corte suprema afferma, in particolare, che trattandosi di un reato di “pericolo”, non è necessario che dall’atto dispositivo consegua un’effettiva erosione nell’area di garanzia dei crediti erariali costituita dal patrimonio del debitore, essendo sufficiente che si determini la semplice probabilità, da valutare al momento del compimento dell’atto stesso, che l’attività recuperatoria dell’Erario possa essere impedita. Pertanto, i giudici di legittimità affermano che l’ordinanza impugnata ha indicato il complesso degli elementi fattuali che secondo il tribunale del riesame dovevano ritenersi indicativi della realizzazione di un’operazione con scopi fraudolenti, finalizzati a rendere meno agevole la possibilità di una effettiva riscossione del credito tributario da parte del Fisco.

 

Nel merito, l’ordinanza ha ricordato come dal 2005 al 2012 la Srl, di cui erano soci gli indagati, avesse accumulato consistenti debiti tributari e come, successivamente, alla verifica fiscale effettuata dall’Agenzia delle entrate, detta società avesse costituito un’altra società a responsabilità limitata, il cui unico socio era la stessa Srl costituente cui aveva conferito la sua azienda.

 

Inoltre, contestualmente, la Srl era stata posta in liquidazione, rappresentando falsamente nel bilancio di liquidazione che la stessa non aveva debiti; essa era stata, quindi, sciolta con ripartizione del suo capitale sociale tra gli stessi soggetti.

 

Sempre nella stessa data erano state, poi, costituite altre due società, entrambe controllate dagli indagati alle quali erano stati ceduti, ancora in pari data, due dei tre rami di azienda acquistati lo stesso giorno, mentre il terzo era stato ceduto ad altra impresa sempre gestita dagli stessi indagati.

 

Tale ricostruzione effettuata dai giudici del riesame integra la finalità fraudolenta e a nulla rileva la prospettazione difensiva secondo cui l’area di garanzia non sarebbe stata in alcun modo incisa in quanto la nuova società avrebbe, comunque, assunto gli obblighi incombenti sulla cedente.

 

Invero, su tale profilo, i ricorrenti avevano richiamato l’articolo 2560 del codice civile, secondo cui il cessionario è in ogni caso obbligato in relazione ai debiti che, pur non risultando dal bilancio, siano comunque da lui conosciuti o conoscibili con l’ordinaria diligenza. La Corte osserva che le disposizioni normative richiamate dagli indagati non consentono di escludere una situazione di pericolo circa la effettiva riscossione da parte dell’amministrazione tributaria laddove l’azienda abbia ceduto i propri beni e sia stata posta successivamente in liquidazione, come avvenuto nell’ipotesi in esame, in questo caso, infatti, tale garanzia rischia di diventare soltanto formale.

 

Giurisprudenza di legittimità

 

La terza sezione penale, con l’articolata sentenza in commento, ha esaminato la norma di riferimento e la casistica giurisprudenziale. Si premette che l’articolo 11 del Dlgs 74/2000, rubricato “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, punisce “con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad Euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”. Inoltre, qualora l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi sia “superiore ad Euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

 

Quindi, sotto il profilo oggettivo la norma richiede che il soggetto attivo realizzi una o più operazioni attraverso cui “alieni simulatamente” determinati beni o compia, comunque, “altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni; operazioni idonee a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”.

 

La Corte di cassazione nella motivazione della sentenza in commento evidenzia che la norma incriminatrice, se da un lato tipizza, in maniera sufficientemente precisa, attraverso il riferimento agli “atti simulati”, una modalità della condotta, ossia l’alienazione simulata di beni del contribuente, realizzata nelle forme della simulazione assoluta e relativa, dall’altro lato, riferendosi al compimento di “altri atti fraudolenti”, utilizza una formula di chiusura che definisce un ambito assai ampio di condotte rilevanti, comprensivo di tutti i comportamenti attraverso i quali il contribuente intenda far apparire, contrariamente al vero, che i suoi beni non possano soddisfare la pretesa esecutiva erariale.

 

A tal fine richiama la casistica giurisprudenziale che si è espressa riconoscendo la ricorrenza della fattispecie criminosa nel caso di: costituzione di un fondo patrimoniale (Cassazione, terza sezione, 5824/2007); messa in atto, da parte degli amministratori, di più operazioni di cessione di azienda e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili (cfr Cassazione, terza szione,19595/2011); accensione di un’ipoteca su un immobile a garanzia di un credito fittizio ovvero al caso di alienazione simulata dei beni a una società di leasing con l’obbligo di cederli in locazione a una società di persone in cui erano soci i figli del contribuente, secondo lo schema del sale and lease back (cfr Cassazione, terza sezione, 14720/2008); alienazione simulata dell’avviamento commerciale dell’azienda, finalizzata a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva (cfr Cassazione, terza sezione, 37389/2013).

 

Tali atti, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, non presuppongono come necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione coattiva, ma deve ritenersi, invece, sufficiente l’idoneità della condotta, da valutare con giudizio ex ante “a rendere in tutto o in parte inefficace l’attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria” (Cassazione, terza sezione, pronuncia 39079/2013). Tra i mezzi fraudolenti, vi sono tutte le condotte che riguardano specificamente la possibilità di sottoporre a esecuzione forzata i beni della società. Sotto tale aspetto, per esempio, lo spostamento di sede, con tutte le conseguenze che esso determina anche in punto di giurisdizione dell’eventuale giudice procedente, costituisce un ostacolo alla procedura in tutti i casi in cui esso sia giustificato con un trasferimento di proprietà non effettivo. E, infatti, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’articolo 11 del Dlgs 74/2000, rileva qualunque atto idoneo a ostacolare il soddisfacimento di un’obbligazione tributaria (sulla questione, ex multis, Cassazione, pronunce 5824/2007, 40831/2010, 26809/2011, 23986/2011 e 48424/2013).

 

Sotto il profilo soggettivo, la fattispecie in esame si connota per la presenza del dolo specifico, consistente nella finalizzazione dell’alienazione simulata o del compimento di altri atti fraudolenti, idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, alla sottrazione “al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrativi relativi a dette imposte” (Cassazione, terza sezione, 27143/2015 e 14720/2008).

 

Inoltre, con riferimento alle operazioni societarie, di recente, la Corte di cassazione, con la sentenza 29243/2017, ha confermato il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte a carico del rappresentate legale di una società, che, dopo aver ricevuto accertamenti fiscali, aveva realizzato ripetute cessioni di quote societarie. Dunque, ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente la realizzazione di condotte, che la norma individua in alienazioni simulate o in altri atti fraudolenti, semplicemente idonee a pregiudicare l’attività recuperatoria dell’amministrazione finanziaria (cfr, da ultimo, Cassazione, terza sezione, 3011/2017 e 13233/2016) ovvero a mettere a repentaglio la realizzazione della pretesa tributaria, anche solo rendendo più difficile una eventuale procedura esecutiva, senza che, quindi, sia necessario che la stessa venga resa non più possibile.