Va affrontata, subito e senza indugi, la questione salariale che riguarda i lavoratori e le lavoratrici del Pubblico Impiego. Salari fermi ormai da più di 8 anni necessitano di risposte adeguate.
Tutti i settori della “Conoscenza”, la Scuola, l’Università, gli Enti di Ricerca e l’Alta Formazione Artistica e Musicale, sono stati in questi anni definanziati e il personale che vi lavora trattato non come una “risorsa”, ma solo come un “costo” o peggio uno “spreco”.
L’aumento di 85 euro medi previsto nell’Intesa Governo-Sindacati del novembre scorso, che deve peraltro trovare ancora copertura, non è sufficiente né a recuperare il potere d’acquisto perduto né a ridare dignità al lavoro che quotidianamente viene svolto nelle Scuole, negli Atenei, negli Enti di Ricerca e nell’AFAM.
Se guardiamo la situazione in cui versa il personale universitario, sia esso docente, tecnico-amministrativo o precario, siamo al paradosso. Mentre si moltiplicano gli appelli perché il nostro Paese investa finalmente in istruzione e ricerca e colmi l’enorme distanza che ci separa dagli altri Paesi Europei e non solo, le risorse stanziate per il personale che vi opera sono assolutamente inadeguate.
Riconoscere il ruolo sociale e la funzione che il sistema universitario svolge per il Paese deve significare una netta inversione di tendenza rispetto agli ultimi 10 anni in cui il finanziamento pubblico, gli investimenti in ricerca e in personale sono stati tagliati drasticamente.
Oggi partirà la protesta di una parte dei docenti universitari per vedere riconosciuta una dinamica salariale che le varie leggi di bilancio hanno spezzato.
Abbiamo da subito detto che occorre costruire un movimento che tenga dentro tutte le componenti dell’Università, a cominciare dagli studenti, dai precari e dal personale tecnico-amministrativo che soffrono per lo stesso blocco degli stipendi.
Dal 2010, anno di approvazione della cosiddetta riforma Gelmini (la Legge 240/2010), l’Università ha subito una drammatica involuzione.
Lo avevamo detto allora, lo ribadiamo oggi: che quella legge era non solo sbagliata, ma dannosa. Ha impoverito il sistema universitario, ha ridotto l’offerta formativa, ha reso meno democratica la gestione degli Atenei, ha aumentato a dismisura l’individualismo e l’autoreferenzialità.
In questo quadro è maturo il momento per affrontare la questione della contrattualizzazione del personale docente delle Università, considerando anche che nel mondo accademico è avvenuta una trasformazione radicale del proprio contesto istituzionale senza che si sia avviata un’adeguata riflessione sulle nuove professionalità e sulle relative logiche.
La mancanza di una interlocuzione contrattuale per i docenti universitari con lo Stato, come avviene per tutti gli altri lavoratori pubblici, rischia di far pagare a questa categoria un prezzo altissimo.
Non c’è più nessun motivo per non pensare ad una riforma che consideri la contrattualizzazione dei docenti universitari.
Chiediamo al Governo, alla ministra Fedeli, ai parlamentari di affrontare da subito questo tema e di dare segnali concreti che si vuole avviare una diversa stagione nel rapporto con i settori dell’Istruzione e della Ricerca e con chi in essa e a vario titolo vi lavora, a partire dallo stanziamento di risorse adeguate.