La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sui casi in cui si verifica un termine di prescrizione più lungo per le imposte: i principi ribaditi.
Il termine triennale di decadenza previsto dall’articolo 76, comma 2, lettera b) del Testo unico dell’imposta di registro – decorrente dalla data di notificazione o di definitività della sentenza che abbia deciso sul ricorso del contribuente avverso l’avviso di rettifica e liquidazione – si applica solo nei casi in cui, a seguito della pronuncia, l’amministrazione sia tenuta a procedere a un ulteriore accertamento d’imposta. Diversamente, il credito erariale può essere riscosso nel termine decennale di prescrizione di cui all’articolo 78 del Dpr 131/1986, decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza.
Sono i principi ribaditi dalla suprema Corte nell’ordinanza n. 14738 del 13 giugno 2017.
La questione che ha originato il contenzioso
La vicenda giunta all’esame dei giudici di legittimità si è così svolta:
- l’ufficio fiscale ha notificato ai contribuenti un avviso di liquidazione in relazione all’imposta di registro non versata ancorché dovuta in ragione della stipula di un atto notarile
- avverso detto avviso, i contribuenti hanno presentato ricorso presso la Ctp di Roma. Il relativo contenzioso si è concluso con una sentenza favorevole all’amministrazione finanziaria, depositata il 13 giugno 2003 e divenuta definitiva per mancata impugnazione
- la cartella di pagamento relativa a tale pretesa è stata notificata il 15 giugno 2009.
In sede di ricorso avverso la cartella, i contribuenti hanno eccepito l’intervenuta decadenza dell’amministrazione finanziaria, in applicazione dell’articolo 76, comma 2, lettera b), del Dpr 131/1986; tale disposizione prevede che l’imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni decorrenti, per gli atti presentati per la registrazione o registrati per via telematica “… dalla data della notificazione della decisione delle commissioni tributarie ovvero dalla data in cui la stessa è divenuta definitiva nel caso in cui sia stato proposto ricorso avverso l’avviso di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta…”.
La Ctp di Roma ha accolto il ricorso di parte, respingendo l’eccezione sollevata dall’ufficio volta ad affermare l’applicazione, nel caso concreto, dell’articolo 78 del Dpr 131/1986, che dispone, invece, che “il credito dell’amministrazione finanziaria per l’imposta definitivamente accertata si prescrive in dieci anni”.
Analogo esito ha avuto l’impugnazione dell’ufficio, il cui appello è stato respinto dalla Ctr, con l’affermazione secondo cui “intervenuta la decisione della Commissione tributaria, ovvero divenuta la stessa definitiva (art. 76 cit.), opera il termine decadenziale di tre anni per esigere il pagamento dell’imposta (id est, notificazione della cartella di pagamento). La disposizione sul termine decadenziale (e non prescrizionale) risponde, sul piano della ratio normativa ad evidenti e ragionevoli esigenze di certezza dei rapporti giuridici”.
In particolare, secondo il giudice di merito, l’applicazione dell’articolo 78, anche nei casi di impugnazione dell’avviso di liquidazione, lascerebbe il debitore “esposto per un lasso di tempo eccessivo ed incerto all’azione esecutiva dell’amministrazione”.
I principi affermati dalla Corte di cassazione
In seguito all’impugnazione dell’amministrazione finanziaria per violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 76 e 78 del Dpr 131/1986, nonché dell’articolo 2953 del codice civile, con l’ordinanza 14738/2017, la Corte di cassazione ha censurato la sentenza della Ctr Lazio, evidenziando la tempestività della notifica della cartella alla luce del quadro normativo applicabile.
In particolare, i giudici di legittimità hanno chiarito che il termine triennale di decadenza previsto dall’articolo 76 del Dpr 131/1986 – decorrente dalla data di notificazione o di definitività della sentenza che abbia deciso sul ricorso del contribuente avverso l’avviso di rettifica e liquidazione – si applica solo nei casi in cui, a seguito della sentenza, l’amministrazione sia tenuta a procedere a un ulteriore accertamento d’imposta, “per avere il giudice accolto solo parzialmente il ricorso avverso l’atto impositivo senza, tuttavia, provvedere esso stesso a determinare l’imposta dovuta e limitandosi a definire i criteri della corretta liquidazione, demandando quest’ultima all’Ufficio”.
Quindi, laddove non sia necessaria alcuna ulteriore attività di determinazione dell’imposta, come nel caso sottoposto all’esame della suprema Corte, il credito erariale può essere riscosso nel termine decennale di prescrizione di cui all’articolo 78 dello stesso Dpr, decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza.
In realtà, secondo giurisprudenza ormai consolidata, l’articolo 76 del citato decreto, nel prevedere il termine triennale di decadenza dal passaggio in giudicato della sentenza, “tende ad accelerare non l’attività di riscossione, ma quella ulteriore di determinazione dell’imposta ed ha, perciò, carattere residuale, concernendo la sola ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria debba procedere ad un ulteriore accertamento” (cfr Cassazione sentenze nn. 744/2017, 1528/2017, 27485/2016, 20153/2017 e 842/2014).
Solo in tal caso, infatti, vi è esercizio del potere di imposizione, che va esercitato entro termini stabiliti a garanzia della esigenza di certezza dei rapporti giuridici e dell’interesse del contribuente alla predeterminazione del termine di soggezione all’iniziativa dell’ufficio (Cassazione, 8380/2013).
Di converso, nei casi quale quello esaminato nell’ordinanza 14738/2017, dove la cartella riguarda un credito tributario già definitivamente accertato con sentenza, che non necessita di ulteriore determinazione, il limite temporale da osservare – non concernendo l’accertamento, ma la riscossione – è quello decennale di prescrizione stabilito dall’articolo 78.