L’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, riferendo al Parlamento sull’attività dell’Autorità condotta nel 2016, ha sollevato alcune critiche alla nuova riforma del Codice dei Contratti pubblici.
Il Codice introduce, si, diverse novità in linea con quanto auspicato negli ultimi anni dall’Autorità. Fra i cambiamenti introdotti, si segnala, tra l’altro, quello che richiede alle stazioni appaltanti di suddividere le gare in lotti funzionali o prestazionali tali da permettere una effettiva partecipazione alla gara al maggior numero di imprese, comprese quelle di dimensioni inferiori.
Non mancano d’altronde alcuni profili di criticità, alcuni dei quali messi già in evidenza dall’Autorità nell’ambito della sua attività di segnalazione.
È il caso, ad esempio, della possibilità di inserire la clausola di protezione sociale negli appalti ad alta intensità di manodopera, prevista all’art. 50 del Codice, senza richiedere alcuna compatibilità o armonizzazione con le esigenze dell’impresa subentrante. Sul tema l’Autorità è ripetutamente intervenuta, da ultimo con un parere espresso proprio con riferimento allo schema di Codice degli appalti, nel quale aveva sottolineato le criticità concorrenziali sottese alla previsione di una clausola di protezione sociale nei bandi di gara che non fosse rispettosa dell’autonomia dell’impresa vincitrice della gara.
Anche la modalità con cui è stata introdotta, nell’art. 22 del nuovo Codice, la consultazione con i portatori di interesse nella forma del “dibattito pubblico” per le grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, presenta elementi di debolezza. L’Autorità aveva auspicato l’introduzione di procedure sul modello del débat public francese, caratterizzate da trasparenza e contraddittorio, al fine di superare l’impasse che spesso caratterizza la realizzazione delle grandi opere di infrastrutture pubbliche a causa dell’opposizione delle comunità locali e dell’insorgere di contestazioni dopo la conclusione della fase decisionale.
La procedura prevista dal nuovo Codice degli appalti risulta essere scarsamente operativa ed efficace a causa del rinvio dei contenuti essenziali ad un futuro D.P.C.M. da emanarsi entro un anno dall’entrata in vigore del Codice; inoltre, la decisione di attribuire la gestione della procedura al soggetto che propone l’opera (e che quindi è, per definizione, non terzo), rischia di farle perdere il necessario carattere di imparzialità e, conseguentemente, di dare adito a nuovi pretesti di ricorso da parte degli oppositori.
Più in generale, poi, come sottolineato dallo stesso Consiglio di Stato, il rinvio ad un provvedimento attuativo contenuto in numerosi articoli del Codice, rischia di minare uno degli obiettivi che lo stesso Codice mirava a perseguire, vale a dire l’introduzione di una cornice regolatoria chiara, sistematica ed unitaria. Il rinvio nel tempo dell’operatività delle norme, infatti, indebolisce l’efficacia dell’intero Codice e genera, inoltre, incertezze interpretative sulla sua applicazione.
In allegato la relazione completa dell’AGCM.