Ecco quanto emerge dal Rapporto annuale 2017 dell’Istat che, in questa edizione, ha realizzato un focus con la classificazione delle famiglie per gruppo sociale.
L’Italia è un paese di famiglie di operai in pensione e di impiegati. È quanto emerge dal Rapporto annuale 2017 dell’Istat che in questa edizione ha realizzato un focus con la classificazione delle famiglie per gruppo sociale, da cui emerge che del totale di 25.775.000 famiglie italiane il gruppo sociale più numeroso è composto dalle famiglie di operai in pensione pari a 5.852.000 che corrispondono a 10.5 milioni di persone, in quanto si tratta di nuclei con in media due persone a famiglia. Seguono le famiglie di impiegati che sono 4.582.000 pari però ha un numero di persone più numeroso, 12.2 milioni di persone. Mentre il primo gruppo ha un reddito medio, il secondo è considerato benestante.
Seguendo sempre la suddivisione per reddito stanno meglio le famiglie che hanno una pensione d’argento con un reddito alto e sono 2.399.000. In cima alla classifica il gruppo classe dirigente pari a 1.856.000 persone che ha il reddito superiore del 70% rispetto alla media e ha un titolo universitario o post laurea.
Passando alle fasce meno abbienti hanno un reddito basso le famiglie con stranieri che sono le più colpite dalla crisi e hanno un reddito inferiore del 40% alla media: si tratta di 1.839.000 famiglie pari a 4.730.000 persone. Nella piramide sociale seguono, secondo lo schema dell’Istat, le le famiglie a basso reddito di soli italiani caratterizzate dall’essere famiglie numerose: si tratta di quasi 2 milioni di famiglie corrispondendo a 8.280.000 persone.
Stanno meglio con un reddito medio i giovani blue-collar (famiglie che hanno come persone di riferimento un operaio a tempo indeterminato) pari a 2.923.000 famiglie. Infine l’Istat segnala 846.000 famiglie tradizionali della provincia che hanno un reddito basso e sono numerose.
Del totale di oltre 25.775.000 famiglie italiane, 15.534.000 sono quelle con un reddito più alto: sono pensionati, impiegati, quadri, dirigenti, imprenditori. Il restante 10.240.000 con un reddito inferiore è operaio, lavoratore atipico, inattivo o disoccupato.
SCOMPAIONO CLASSE OPERAIA E PICCOLA BORGHESIA
La perdita del senso di appartenenza a una certa classe sociale è più forte per la piccola borghesia e la classe operaia.
La classe operaia ha perso il suo connotato univoco e si ritrova per quasi la metà dei casi nel gruppo dei giovani blue-collar e per la restante quota nei due gruppi di famiglie a basso reddito, di soli italiani o con stranieri. La piccola borghesia si distribuisce su più gruppi sociali, in particolare tra le famiglie di impiegati, di operai in pensione e le famiglie tradizionali della provincia.
La crescente complessità del mondo del lavoro attuale, spiega l’Istat, ha fatto aumentare le diversità non solo tra le professioni ma anche all’interno degli stessi ruoli professionali, acuendo le diseguaglianze tra classi sociali e all’interno di esse.
La classe operaia e la classe media sono sempre state le più radicate nella struttura produttiva del nostro Paese. Oggi la prima ha abbandonato il ruolo di spinta all’equità sociale mentre la seconda non è più alla guida del cambiamento e dell’evoluzione sociale (in termini sia produttivi sia di costumi). Una delle ragioni per le quali ciò è avvenuto è la perdita dell’identità di classe, legata alla precarizzazione e alla frammentazione dei percorsi lavorativi, ma anche al cambiamento di attribuzioni e significati dei diversi ruoli professionali.
Interi segmenti di popolazione non rientrano più nelle classiche partizioni: giovani con alto titolo di studio sono occupati in modo precario, stranieri di seconda generazione che non hanno il background culturale dei genitori, stranieri di prima generazione cui non viene riconosciuto il titolo di studio conseguito, una fetta sempre più grande di esclusi dal mondo del lavoro dovuta anche al progressivo invecchiamento della popolazione.
QUOTA ANZIANI PIÙ ALTA IN EUROPA, IN ITALIA 22% HA ALMENO 65 ANNI
L’invecchiamento della popolazione è uno degli aspetti demografici che contraddistinguono il nostro Paese nel contesto internazionale. In Italia gli individui con almeno 65 anni sono i più numerosi in Europa. È quanto segnala l’Istat nel rapporto annuale.
All’1 gennaio 2017 le persone con almeno 65 anni raggiungono il 22% del totale. La speranza di vita ha raggiunto gli 80,6 anni per gli uomini e gli 85,1anni per le donne e nel 2016 si è registrato un record nella bassa natalità.
TITOLO STUDIO EREDITARIO, CON BASSO REDDITO NIENTE LAUREA
Il titolo di studio è ereditario e legato al reddito della famiglia di origine. Lo segnala l’Istat nel Rapporto annuale dove si legge ad esempio che il 40% dei figli di famiglie con un livello di istruzione basso non va oltre la licenza media e poco più di 1 su 10 riesce a ottenere un titolo universitario.
L’incidenza dei giovani laureati tra 25-34 anni con almeno un genitore con titolo universitario è pari al 27% e raggiunge livelli assai più elevati tra chi consegue una laurea scientifica giuridica o in architettura dove le percentuali sono attorno al 40%.
Si legge ancora che il rapporto tra diplomati dei licei e degli istituti professionali è pari a oltre 8 volte la media nelle famiglie della classe dirigente, oltre tre volte nel gruppo delle pensioni d’argento e quasi due nelle famiglie di impiegati.
RIDOTTE LE VISITE SANITARIE MA CLASSE DIRIGENTE IN SALUTE
Per l’accesso ai servizi sanitari influisce il non aver recuperato i livelli di reddito conseguiti prima della recessione. E’ quanto emerge dal Rapporto Istat 2017, dove si legge che la quota di persone che ha rinunciato a una visita specialistica negli ultimi 12 mesi, perché troppo costosa, è cresciuta tra il 2008 e il 2015 da 4 a 6,5% della popolazione; il fenomeno è più accentuato nel Mezzogiorno, sia come livello di partenza sia come incremento (da 6,6 a 10,1%).
Tra i gruppi sociali le diseguaglianze nelle condizioni di salute sono notevoli. Nel gruppo della classe dirigente tre quarti delle persone si dichiarano in buone condizioni di salute, mentre in quello più svantaggiato di anziane sole e giovani disoccupati la quota scende al 60,5%.