L’applicazione del regime “punitivo” più vantaggioso per il contribuente, in seguito alle ultime modifiche legislative, non opera sempre in maniera automatica e generalizzata.
Nell’ipotesi di successione nel tempo di norme sanzionatorie in relazione alla medesima fattispecie, il principio del favor rei non è automaticamente applicabile, perché è onere del contribuente precisare in base a quali fatti concreti la sanzione andrebbe rideterminata, con riferimento sia ai margini edittali della sanzione inflitta che alla valutazione della gravità della violazione.
Questo il principio espresso dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 9505 del 12 aprile 2017.
Il fatto
Il contenzioso è sorto a seguito del ricorso proposto da una società di capitali avverso un avviso di irrogazione sanzioni per omessa autofatturazione di operazioni imponibili ai fini Iva per l’anno 2006. Il ricorso è stato rigettato sia dalla Commissione tributaria provinciale che da quella regionale.
Avverso la sentenza d’appello la società ha proposto ricorso per cassazione. La società ha denunciato la nullità della sentenza di secondo grado in relazione alla carenza di una specifica norma sanzionatoria dell’omessa fatturazione per l’anno 2006. Con un ulteriore motivo la contribuente ha lamentato che i giudici di merito non hanno tenuto in considerazione che la violazione contestata dall’Agenzia delle Entrate era una violazione meramente formale e non sostanziale. In ultimo, la società ha chiesto l’applicazione del principio del favor rei e la rideterminazione delle sanzioni irrogate dall’ufficio.
La Corte di cassazione ha ritenuto infondati tutti i motivi di doglianza e ha rigettato il ricorso.
Le ragioni della decisione
Sono molteplici le questioni sottoposte all’esame dei giudici della Cassazione riguardanti le violazioni degli obblighi di reverse charge, ossia del meccanismo di inversione contabile che sposta sul destinatario del bene o del servizio gli obblighi di assolvimento dell’Iva.
Con il primo motivo di ricorso, la società aveva invocato la nullità della sentenza perché nel 2006, anno di commissione della violazione, non era vigente alcuna norma sanzionatoria. Infatti, da un lato, l’articolo 41, comma 4, del Dpr 633/1972, che disciplinava l’originario regime sanzionatorio in materia di autofatturazione, era stato abrogato, a decorrere dal 1998, dall’articolo 16 del Dlgs 471/1997; dall’altro lato, l’articolo 6, comma 9-bis, del Dlgs 471/1997, recante il nuovo regime sanzionatorio, era stato introdotto dal legislatore fiscale soltanto a decorrere dal 2008. La società ha dedotto, pertanto, che l’anno di commissione della violazione non fosse coperto da alcuna norma sanzionatoria specifica.
A parere dei giudici di Cassazione, non vi è alcun vuoto normativo perché la violazione degli obblighi di autofatturazione (previsti dall’articolo 17, comma 3, Dpr 633/1997) è sanzionata dall’articolo 6, comma 1, Dlgs 471/1997. Tale norma, infatti, punisce i contribuenti che violano gli obblighi inerenti la documentazione, registrazione e individuazione delle operazioni imponibili ai fini Iva determinando, ai commi successivi, “i margini del quantum della pena pecuniaria dovuta in ipotesi di omessa autofatturazione da parte del cessionario o del committente” (Cassazione, sentenza 411/2015).
Con successivo motivo di doglianza, la società lamentava l’illegittimità dell’avviso di irrogazione sanzioni perché riferito a violazioni meramente formali e non sostanziali. La società ha dedotto che, nel caso concreto, sarebbe stato legittimo applicare il disposto dell’articolo 6, comma 5-bis, Dlgs 472/1997, che sancisce la non punibilità dei comportamenti che “non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo“.
Anche su questo punto i giudici della Cassazione hanno dato ragione all’Amministrazione finanziaria, affermando la natura sostanziale delle violazioni inerenti l’omessa autofatturazione di operazioni imponibili ai fini Iva e ribadendo degli importanti principi già espressi in precedenti pronunce.
In primo luogo, nonostante la natura sostanziale delle violazioni di cui si parla, l’omessa autofatturazione non comporta automaticamente la negazione del diritto alla detrazione dell’Iva relativa agli acquisti, “sempreché le condizioni sostanziali emergano con certezza dalla documentazione in possesso del contribuente, esibita all’Amministrazione finanziaria in sede di verifica” (Cassazione, sentenza 7576/2015).
Ciononostante non è corretto affermare che l’inosservanza degli obblighi di reverse charge siano irrilevanti ai fini del controllo o che non incidano, anche in maniera significativa, sulla determinazione del volume d’affari e dell’Iva relativa “e ciò tanto più, con riguardo al caso di specie, in quanto proprio il meccanismo dell’inversione contabile costituisce modalità idonea ad assolvere gli obblighi impositivi” (Cassazione, sentenza 2605/2016).
L’ultimo importante aspetto esaminato dai giudici di legittimità riguarda i principi per la corretta applicazione del favor rei nel caso di successione di norme sanzionatorie.
Ebbene, il regime sanzionatorio previsto in caso di violazione degli obblighi di autofatturazione ha subito diverse modifiche nel tempo, in ultimo con l’inserimento, nell’articolo 6 del Dlgs 471/1997, del comma 9-bis a opera del Dlgs 158/2015. Il sistema attuale prevede una sanzione fissa da 500 a 20mila euro, a cui si applica una maggiorazione compresa tra il 5 e il 10% dell’imponibile in caso di omesso inserimento dell’operazione nella contabilità Iva, con un minimo di mille euro. Il precedente regime, invece, stabiliva una sanzione dal 100 al 200% dell’imposta, con un minimo di 258 euro.
Sull’argomento, la Corte di cassazione ha sancito che il principio del favor rei non opera in maniera automatica e generalizzata, con la conseguenza che “la mera affermazione di uno ius superveniens più favorevole non consente di operare, sic et sempliciter, la trasformazione della sanzione irrogata in sanzione illegale, specie in assenza di una specifica deduzione dell’applicabilità in concreto di una sanzione tributaria inferiore rispetto a quella applicata“.
In altre parole, la sopravvenuta modifica del regime sanzionatorio, in termini più favorevoli per il contribuente, non comporta l’automatica applicabilità – in sede amministrativa o giudiziale – del favor rei, tale da rendere sempre illegittima una sanzione già irrogata. Ciò in quanto è onere del contribuente precisare in base a quali fatti concreti la sanzione andrebbe rideterminata “con riferimento sia ai margini edittali della sanzione inflitta che alla valutazione della gravità della violazione“.
In merito a tale ultimo punto, si rammenta che l’articolo 16 del Dlgs 158/2015 ha modificato la lettera del quarto comma dell’articolo 7 del Dlgs 472/1997, dimodoché oggi gli uffici possono ridurre la sanzione fino alla metà del minimo in caso “concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione“, senza che debba ricorrere il carattere di eccezionalità, come era previsto in passato.
Il favor rei secondo l’Agenzia delle Entrate
L’Amministrazione finanziaria si è già espressa in merito ai principi generali di applicazione del favor rei, assumendo una posizione che, con la decisione in commento, i giudici di Cassazione sembrano condividere. Difatti, a seguito dell’emanazione del Dlgs 158/2015, contenente rilevanti modifiche al sistema sanzionatorio penale e amministrativo, l’Agenzia ha diramato la circolare 4/E/2016, con cui ha fornito indicazioni sull’applicazione del citato principio di favore.
D’ora in avanti, ai fini dell’applicazione della sanzione più favorevole, gli uffici devono raffrontare “le norme sanzionatorie pre e post modifica, in concreto e non in astratto, tenendo conto anche delle circostanze aggravanti ed attenuanti o esimenti eventualmente previste dalla legge e verificando gli effetti della loro applicazione in rapporto alle caratteristiche della condotta realizzata dal trasgressore, al fine di stabilire il trattamento sanzionatorio più mite“. La posizione è confermata dal fatto che, sugli atti emessi a decorrere dal 1° gennaio 2016, l’ufficio deve esporre “le circostanze di fatto e di diritto che giustificano l’applicazione del principio del favor rei che ha determinato l’irrogazione della sanzione più favorevole“.