Con la sentenza n. 7654 del 24 marzo 2017, la Corte di cassazione ha fornito chiarimenti su quale deve essere il metodo da attuare in merito alle detrazioni IVA per le Imprese.
Con la sentenza n. 7654 del 24 marzo 2017, la Corte di cassazione ha chiarito che, in materia di imposta sul valore aggiunto, per valutare l’inclusione o meno di determinate operazioni nel calcolo del pro-rata di indetraibilità, occorre considerare l’attività effettivamente svolta dall’impresa, indipendentemente da quanto indicato nell’oggetto sociale della stessa.
Il fatto
Una società avente come oggetto sociale la prestazione di attività turistico-alberghiere effettuava operazioni di finanziamento senza applicare il criterio del pro-rata utile per stabilire la percentuale di indetraibilità dell’Iva sugli acquisti. In ragione di ciò, l’Amministrazione finanziaria emetteva nei confronti della contribuente un avviso di accertamento in cui veniva contestata per l’appunto l’indebita detrazione ai fini Iva, ritenendo che, in realtà, la società, effettuando operazioni di finanziamento non rientranti tra quelle contemplate dal comma 4, articolo 19, Dpr 633/1972, doveva applicare il pro-rata di indetraibilità, tenendo conto del rapporto tra l’ammontare delle operazioni esenti compiute e il volume di affari.
Avverso tale determinazione, la società proponeva ricorso dinanzi ai competenti magistrati di primo grado che, accogliendo le sue doglianze, annullava l’atto emesso dal Fisco. I giudici di secondo grado confermavano poi la sentenza di primo grado, ritenendo che le operazioni di finanziamento dovessero essere considerate operazioni occasionali e accessorie all’oggetto sociale, circostanza confermata anche dal fatto che le stesse fossero state compiute nei confronti di società facenti parte del gruppo.
Contro tale decisione l’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso in ultima istanza dinanzi alla Corte di cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 19, commi 3 e 4, della normativa Iva, nel testo vigente all’epoca dei fatti, in quanto l’esclusione di tali operazioni era stata ammessa facendo riferimento all’attività propria della società, prevista dall’atto costitutivo e non a quella effettivamente esercitata dalla società stessa.
La decisione
Preliminarmente, i giudici supremi hanno ricordato che l’imposta sul valore aggiunto si fonda sul meccanismo generale di detrazione dell’imposta gravata sugli acquisti o sulla fornitura di servizi, destinati ad essere utilizzati in via esclusiva per la realizzazione di operazioni soggette all’imposta stessa. Qualora poi vengano svolte operazioni che attribuiscono il diritto alla detrazione e operazioni che non attribuiscono tale diritto, occorre individuare una percentuale di detraibilità dell’Iva sugli acquisti.
La normativa italiana in merito si è avvalsa della facoltà, riconosciuta agli Stati membri da parte della disciplina comunitaria, di individuare metodi di determinazione del diritto di detrazione specifici. In particolare, nel testo vigente all’epoca dei fatti oggetto della controversia, viene stabilito che, per il soggetto che effettua operazioni esenti dall’imposta, la detrazione è ridotta in misura percentuale e corrispondente al rapporto tra l’ammontare delle operazioni esenti effettuate nell’anno e il volume di affari dell’anno stesso.
Ai fini del calcolo della percentuale di riduzione, poi, le operazioni esenti sono determinate escludendo dalle stesse determinate fattispecie tassativamente elencate e non tenendo conto, nel volume d’affari, di tutte quelle operazioni non facenti parti dell’attività propria dell’impresa o qualora le stesse siano accessorie ad altre operazioni imponibili. Infine, qualora i soggetti esercitino più attività, l’imposta si applica “unitariamente e cumulativamente” per tutte le attività con riferimento al volume di affari complessivo.
Per quanto attiene alla distinzione tra beni e servizi necessari a effettuare operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione da quelli che non consentono tale diritto, i magistrati della Corte suprema hanno ricordato come la recente giurisprudenza comunitaria ha chiarito che il riferimento alla cifra d’affari indica che la disposizione attiene alla totalità di beni e servizi utilizzati dal soggetto passivo senza che sia necessaria tale distinzione. Di conseguenza, occorre tener conto, più propriamente, del rapporto tra le operazioni accessorie e le attività imponibili e solo eventualmente dell’impiego delle stesse in operazioni per le quali è dovuta l’imposta.
La Corte ha poi proseguito chiarendo decisamente che, ai fini del calcolo del pro-rata di indetraibilità Iva, occorre effettuare un’attenta analisi circa la ricomprensione delle operazioni svolte tra le attività proprie di una determinata società. In merito, l’individuazione dell’attività propria dell’impresa deve essere effettuata con riferimento all’attività effettivamente svolta dalla stessa e non a quella previamente e formalisticamente definita dallo statuto. Ciò in quanto, rilevando il volume d’affari del soggetto passivo, deve essere considerata l’attività in concreto esercitata dall’impresa e non tanto quella indicata nell’oggetto sociale stesso.
Per tali motivi, la Corte ha accolto il ricorso presentato dall’amministrazione finanziaria e, statuendo che per valutare l’inclusione o meno di determinate operazioni nel calcolo del pro-rata di indetraibilità Iva occorre considerare l’attività effettivamente svolta in concreto dall’impresa, ha cassato la sentenza gravata e rinviato ad altro giudice per consentire il riesame della fattispecie attenendosi al criterio enunciato.