avances sessuali lavoroAvances Sessuali. Un pizzicotto o una manata sulle natiche, una mano morta nella scollatura della camicetta o un tentativo di bacio sul collo sul posto di lavoro quando possono essere considerate un reato penale?

 


 

Avances sessuali non gradite possono costare caro al datore di lavoro: provarci con una dipendente può, infatti, integrare il reato di violenza sessuale, reato per il quale non è necessaria la consumazione del rapporto. Basta anche un semplice toccamento di zone erogene, come le cosce, il seno, le labbra, l’orecchio, i glutei per far scattare gli estremi della querela.

 

Resta fermo che l’eventuale licenziamento dettato dalla mancata accondiscendenza agli approcci del datore è discriminatorio e, pertanto, nullo.

 

Nella fattispecie, però, occorrono determinate situazioni affinché si presenti il mobbing, ricordate dalla Cassazione civile, sez. lav., con la Sentenza del 27/01/2017, n. 2142.

 

Perché ricorra l’ipotesi di mobbing occorre che vi siano una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; vi sia un evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; sussista il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità.

 

In tema di tutela contro le molestie sessuali nel rapporto di lavoro, l’equiparazione alle discriminazioni di genere enunciata nell’art. 26, comma 2, del d.lgs. n. 198 del 2006, secondo l’interpretazione più conforme alle finalità proprie del diritto comunitario, si estende al regime probatorio presuntivo ex art. 40 del medesimo decreto, sia per l’assenza di deroghe al principio generale, sia per la configurabilità del “tertium comparationis” nel trattamento differenziale negativo rispetto ai lavoratori del diverso genere che non patiscono le medesime condotte.

 

Purtroppo restano numerosi sono i casi di donne molestate al lavoro costrette a dimettersi, incentivate a lasciare il lavoro, obbligate al trasferimento in altre unità produttive. Al contrario il molestatore, spesso un superiore gerarchico, rimane saldamente al proprio posto.

 

Secondo l’Istat sono un milione e 308.000 le lavoratrici che hanno subito questo genere di abusi, nell’arco della vita. Non solo in fase di assunzione, ma anche per mantenere il posto o per una promozione. Ma sono frequenti anche le molestie tra colleghi.

 

A Torino un recente caso molto grave: per mesi un dipendente della Croce Rossa avrebbe molestato e aggredito sessualmente una collega a cui stava per scadere il contratto di lavoro all’interno dell’ospedale Gradenigo, del San Giovanni Bosco e del Mauriziano.