fisco 2È la conclusione a cui sono pervenuti i giudici comunitari nell’ambito di una controversia che vede protagonisti contrapposti due società danesi e il ministero delle Finanze nazionale.


 

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 49 e 54 TFUE ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone società danesi all’Amministrazione fiscale danese, in ordine alla decisione di quest’ultima di includere nell’utile imponibile di una società controllante mutuante con sede in Danimarca gli interessi corrisposti da una controllata mutuataria con sede in Germania, i quali non sono deducibili, in base alla normativa tedesca in materia di sottocapitalizzazione, dall’utile imponibile di tale controllata.

 

Le società protagoniste della controversia

 

Una delle società è una società danese specializzata nella produzione e nella vendita di rubinetti che opera sul mercato tedesco tramite una controllata tedesca detenuta al 100%. La società controllata tedesca non ha portato in deduzione tali oneri finanziari dal proprio reddito imponibile in Germania, poiché essi costituivano distribuzioni di utili non deducibili secondo la normativa tedesca relativa alle restrizioni alla deducibilità in caso di sottocapitalizzazione. Nella  dichiarazione dei redditi, la società non ha dichiarato tali utili, ossia gli interessi attivi percepiti, come reddito imponibile, poiché riteneva che la normativa danese sulla tassazione degli interessi percepiti fosse in contrasto con il diritto comunitario.

 

L’esenzione fiscale per gli interessi attivi corrisposti da una controllata residente

 

La controversia è approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue la seguente questione, con cui chiede, in sostanza, se l’articolo 49 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, debba essere interpretato nel senso che osti alla normativa di uno Stato membro, che conceda ad una società residente un’esenzione fiscale per gli interessi attivi corrisposti da una controllata residente, laddove per quest’ultima sia esclusa la deducibilità dei corrispondenti oneri finanziari per effetto di una normativa restrittiva della deducibilità degli oneri finanziari in caso di sottocapitalizzazione, ma escluda tale esenzione allorché la controllata abbia sede in un altro Stato membro.

 

Le valutazioni della Corte Ue

 

Le disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà di stabilimento mirano ad assicurare il beneficio del trattamento nazionale nello Stato membro ospitante e sono ostative parimenti a che lo Stato membro d’origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di una società costituita in ossequio alla propria legislazione, in particolare tramite una controllata. La libertà di stabilimento viene ostacolata qualora, sulla base di una normativa tributaria di uno Stato membro, una società residente che detiene una controllata in un altro Stato membro subisca una disparità di trattamento fiscale svantaggiosa rispetto a una società residente che possiede una controllata nel primo Stato membro. Nella fattispecie all’esame della Corte Ue, va considerato che un’esenzione fiscale riconosciuta dalla normativa nazionale ad una società residente per gli interessi corrisposti da una controllata residente, laddove quest’ultima non abbia potuto portare in deduzione i corrispondenti oneri finanziari in virtù di una normativa nazionale limitativa, in caso di sottocapitalizzazione, della deducibilità degli oneri finanziari sostenuti, costituisce un vantaggio fiscale.

 

La libertà di stabilimento e l’effetto dissuasivo

 

L’esclusione di tale vantaggio per una società controllante residente per gli interessi corrisposti da una controllata residente in un altro Stato membro, laddove tali interessi non possano essere dedotti dal reddito imponibile della controllata stessa sulla base della normativa di tale Stato membro sulla sottocapitalizzazione, rende meno attraente l’esercizio da parte della società controllante della propria libertà di stabilimento, dissuadendola dal creare controllate in altri Stati membri. Tale differenza di trattamento che discende dalla normativa danese, può essere ammessa solo se riguarda fattispecie che non sono oggettivamente comparabili o se è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.

 

I motivi dell’esenzione fiscale

 

L’esenzione fiscale all’esame della Corte Ue è stata introdotta per evitare che società controllanti residenti in Danimarca siano tassate sugli interessi loro corrisposti dalle proprie controllate per finanziamenti concessi alle medesime, qualora le proprie controllate non possano portare in deduzione, in tutto o in parte, gli oneri finanziari corrispondenti a tali interessi per effetto di una normativa restrittiva, in caso di sottocapitalizzazione, della deducibilità degli oneri finanziari corrisposti. Di conseguenza, la fattispecie, da un lato, di una società controllante residente che abbia concesso un finanziamento a una controllata residente soggetta a norme sulla sottocapitalizzazione e, dall’altro, di una società controllante residente che abbia concesso un finanziamento a una controllata non residente soggetta alle norme nello Stato membro in cui sia fiscalmente residente, sono oggettivamente comparabili con riferimento al predetto obiettivo. Infatti, in entrambe le fattispecie, i redditi da interessi percepiti dalla società controllante possono essere oggetto di doppia imposizione economica o di imposizioni fiscali a catena, ciò che la normativa in discussione mira ad evitare.

 

La differenza di trattamento e i motivi di interesse generale

 

Va esaminato altresì se tale differenza di trattamento sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale. Per essere giustificata, una tale differenza dev’essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non deve eccedere quanto necessario per raggiungerlo. In particolare, la necessità di assicurare un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri, può essere idonea a giustificare una differenza di trattamento, qualora il regime sia inteso a prevenire comportamenti tali da violare il diritto di uno Stato membro di esercitare la propria giurisdizione tributaria in relazione alle attività svolte sul proprio territorio.

 

La ripartizione del potere impositivo

 

Una normativa di uno Stato membro che limita l’esenzione ai soli interessi corrisposti da una controllata residente è idonea a preservare un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri interessati. Infatti, riconoscendo a una società residente, che abbia concesso un finanziamento ad una controllata residente in un altro Stato membro, un’esenzione fiscale per la totalità degli interessi versati dalla controllata medesima, i quali non hanno potuto essere portati in deduzione da quest’ultima per effetto della normativa in materia di sottocapitalizzazione di tale altro Stato membro, lo Stato membro in cui ha sede la società controllante rinuncerebbe, sulla base delle scelte operate dalle società legate da vincoli d’interdipendenza, al proprio diritto di tassare gli interessi percepiti dalla società controllante in funzione della normativa sulla sottocapitalizzazione adottata dallo Stato membro in cui hanno sede le sue controllate, situazione che la normativa nazionale mira ad evitare.

 

La libertà di stabilimento non può essere intesa nel senso che uno Stato membro sia obbligato a determinare le proprie norme tributarie in funzione di quelle di un altro Stato membro al fine di garantire, in ciascuna ipotesi, una tassazione che elimini qualsiasi differenza derivante dalle normative tributarie nazionali, considerato che le decisioni adottate da una società riguardo allo stabilimento di strutture commerciali all’estero possono essere, a seconda dei casi, più o meno sfavorevoli per tale società.

 

Gli articoli 49 e 54 del TFUE e le motivazioni sottostanti

 

In tal senso, l’articolo 49 TFUE, in combinato disposto con l’articolo, non può aver l’effetto di obbligare lo Stato membro in cui ha sede una società controllante, che abbia concesso un finanziamento ad una controllata residente in un altro Stato membro, ad andare al di là dell’esenzione, a favore della società controllante medesima, dell’importo degli oneri finanziari che non potrebbe essere portato in deduzione dalla controllata qualora fosse applicata la normativa del primo Stato membro sulla sottocapitalizzazione. Tali disposizioni non possono, quindi, avere l’effetto di imporre allo Stato membro in cui ha sede detta società controllante, di concedere a quest’ultima un’esenzione di importo superiore che trovi origine nel sistema tributario di un altro Stato membro, senza che il primo Stato membro subisca una compressione della propria autonomia tributaria a causa dell’esercizio del potere impositivo da parte dell’altro Stato membro.

 

Tuttavia, va sottolineato che uno Stato membro, qualora adotti un sistema per prevenire o attenuare l’imposizione a catena o la doppia imposizione economica nel caso di dividendi versati a residenti da società residenti, deve concedere un trattamento equivalente ai dividendi versati a residenti da società non residenti. Infatti, nell’ipotesi che riguarda una società controllante, con sede in uno Stato membro, la cui controllata ha sede in un altro Stato membro che applica una normativa più rigorosa sulla sottocapitalizzazione, la concessione, da parte dello Stato membro in cui ha sede la società controllante, alla predetta società di un’esenzione fiscale per gli interessi corrisposti dalla controllata medesima, nei limiti dell’importo che tale controllata non avrebbe potuto portare in deduzione per effetto dell’applicazione della normativa sulla sottocapitalizzazione di tale Stato membro, non comprometterebbe l’equilibrata ripartizione del potere impositivo e costituirebbe una misura meno restrittiva della libertà di stabilimento.

 

Le conclusioni degli eurogiudici

 

Tutto ciò premesso, la Corte Ue perviene alla conclusione che gli articoli 49 e 54 TFUE, devono essere interpretati nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro, che conceda a una società residente un’esenzione fiscale per gli interessi attivi corrisposti da una controllata residente, laddove quest’ultima non abbia potuto portare in deduzione i corrispondenti oneri finanziari per effetto di una normativa restrittiva, in caso di sottocapitalizzazione, della deducibilità degli interessi corrisposti, ma escluda l’esenzione che conseguirebbe dall’applicazione della propria normativa in materia di sottocapitalizzazione allorché la controllata abbia sede in un altro Stato membro.