Può venirsi a configurare reato di estorsione, nei casi di affidamento di incarichi di posizione organizzativa a dipendenti part time, quando le strutturali esigenze di funzionamento dell’ente diano luogo a orari di servizio superiori.
L’eventuale consolidazione dell’atto per mancata impugnazione nulla, naturalmente, toglie all’azione ordinaria e ai possibili risvolti della stessa, specie alla luce delle analogie ricavabili dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 18727 del 5/5/2016.
Possibile quindi, riconoscere ed affermare che integra il reato di estorsione anche la condotta del datore di lavoro che, anteriormente alla conclusione del contratto, impone al lavoratore ovvero induce il lavoratore ad accettare condizioni contrarie a legge ponendolo nell’alternativa di accettare quanto richiesto ovvero di subire il male minacciato (cfr., Sez. 2, sent. n. 53649 del 05/12/2014, dep. 23/12/2014, Schittone ed altri, non mass.; v., altresì, Sez. 2, sent. n. 677 del 10/10/2014, dep. 12/01/2015, Di Vincenzo, Rv. 261553).
Anche a volere convenire che l’accettazione, da parte dei lavoratori, di una retribuzione inferiore a quella risultante in busta paga non basti, di per sé sola, a dare prova di una subita coercizione, non è infatti stata la forma della “libera” pattuizione ad avere trasformato, nel caso di specie, un semplice illecito civile nel reato di estorsione, bensì la modalità, resa chiara fin dall’assunzione e ribadita in costanza di rapporto, di concreta attuazione, mese dopo mese, della pretesa “libera” pattuizione.
In conclusione: affidare incarichi di posizione organizzativa con contratti di lavoro part time si traduce in violazione di principi costituzionali, quando le strutturali esigenze dell’ente siano tali da rendere fittizio l’orario di servizio in essi previsto.
L’ente, pertanto, può ovviare ai propri limiti finanziari soltanto attraverso più idonee misure di organizzazione e/o riorganizzazione del personale.
In allegato la Sentenza della Cassazione.