Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, la sua consacrazione è arrivata alle 8.30 ora italiana. Toni forti, razzismo, volgarità hanno caratterizzato la sua campagna elettorale verso la Casa Bianca, rendendolo spesso in sintonia con quell’America profonda e depressa dimenticata dai giornali. Ecco chi è ‘The Donald’, il miliardario che ha spiazzato tutti.
Su Twitter @realDonaldTrump
IL PERSONAGGIO
Ricco, ricchissimo, un magnate cresciuto nel lusso più sfrenato e che si è dedicato, tra le altre cose, alla costruzione di luccicanti grattacieli color dell’oro che portano il suo nome. Donald Trump, newyorchese, è nato nel 1946. Figlio del miliardario Fred, ha sempre frequentato scuole private e dal 1974 gestisce le società di famiglia: ha edificato palazzi, hotel, casinò, strutture di ogni tipo e grandezza. Attualmente il suo patrimonio personale è stimato in 2,7 miliardi di dollari, con uno stipendio mensile di 60 milioni. Ha cinque figli da tre mogli diverse.
LA STORIA FINANZIARIA
Nel 1980 Donald creò la Trump organization per gestire al meglio gli immobili, “ma già nel 1990- raccontano i giornalisti di Lookout news nel libro ‘Trump vs Usa’– la nuova società si ritrovò con un debito tra i 5 e gli 8 miliardi di dollari. Il salvataggio della società fu possibile solo grazie a un accordo raggiunto ad agosto di quell’anno con ben 70 banche che gli permisero di stipulare una seconda e una terza ipoteca su quasi tutte le proprietà, fidando solo sul miliardo personale di Donald Trump. Il grande rischio assunto dalle banche gli garantì di evitare la bancarotta e di rimettersi in pista”.
Nel 1995, infatti, Trump “quotò la Trump hotels & Casino Resorts Inc. in borsa e ricevette così una notevole spinta finanziaria, grazie anche al placet della Security and Exchange Commission (SEC), l’ente federale statunitense preposto alla vigilanza sugli scambi finanziari. Trump vendette inizialmente 10 milioni di azioni a 14 dollari per azio-ne e poi nel 1996 vendette 13,25 milioni di titoli a 32,5 dollari cia-scuno. Questo garantì alle società di Trump una stabilità e una legittimazione nel mondo, attraverso investimenti altrimenti impossibili data la situazione finanziaria di partenza”.
Nel suo libro “The America we deserve” (L’America che meritiamo) pubblicato nel 2000, Donald scrive che “la più grande minaccia al sogno americano è l’idea che i sognatori abbiano bisogno di uno sguardo indagatore e un controllo stretto. La prima cosa per noi è assicurarci che il settore pubblico si limiti”, di fatto disconoscendo i vantaggi ricevuti dal sistema pubblico americano.
LA CANDIDATURA
“Rendiamo l’America di nuovo grande” (“Make America great again”) è il grido di battaglia che ha sostenuto tutta la sua campagna elettorale, dominata da aggressività e modi politicamente scorretti.
“It’s gonna be Donald” titolava il 4 maggio scorso la CNN. Quel giorno Donald John Trump Senior, dopo la vittoria nello Stato dell’Indiana e il contestuale ritiro del rivale Ted Cruz, è stato investito della candidatura: sarà lui a correre per la Casa Bianca sotto le insegne dei Repubblicani. “Cosa che per un “non politico” non accadeva dai tempi di Eisenhower (che però era già stato generale), negli anni Cinquanta- spiegano i giornalisti di Lookout news nel libro ‘Trump vs Usa’-. Chi non credeva possibile che un imprenditore newyorchese prestato alla politica, un battitore libero senza peli sulla lingua, nonché un festaiolo con tre mogli all’attivo e il portafoglio gonfio di dollari potesse sbancare e raccogliere così tanti consensi nel paese, si è sbagliato di grosso”.
Secondo molti osservatori, il grande successo di Trump è dovuto alla capacità di intercettare gli Stati Uniti delusi, amareggiati, poveri, che, senza di lui in gara, non sarebbero andati a votare. Il linguaggio di Trump è esplicito, infarcito di bassezze e volgarità, e proprio per questo comprensibile da tutti. I suoi toni sempre alti, spesso aggressivi, hanno risvegliato molti dal torpore. Per portarli dove, è delineato nel suo programma elettorale.
IL PROGRAMMA
Trump ha iniziato la sua campagna, e la sua scalata nei consensi, definendo l’immigrazione illegale un’emergenza nazionale e i messicani che attraversano di notte la frontiera con gli Stati uniti “criminali e stupratori” e promettendo, in caso di vittoria, di “lanciare un programma di deportazione su larga scala” di tutti gli immigrati clandestini (di qui anche l’idea di edificare un muro tra Usa e Messico). Anche sulla possibile accoglienza di profughi dalla Siria, Trump è stato netto: “Questi profughi potrebbero essere un Cavallo di Troia. Il nostro paese ha problemi enormi da risolvere. Non possiamo accollarci un altro problema”.
Sulla pena di morte, gli slogan e le parole di Trump sembrano essere stati scelti per andare incontro con brutale schiettezza ai desideri della fascia più tradizionalista, e maggioritaria, dell’elettorato. “La pena di morte – ha affermato – andrebbe ripristinata e applicata con durezza. C’è chi dice che non è un deterrente. Magari sarà anche così, ma resta il fatto che i due criminali recentemente giustiziati per aver ucciso dei poliziotti non ammazzeranno più nessuno. Questo è certo”.
Con un occhio molto attento alle esigenze del ceto medio, deluso dalle mancate riforme del welfare e della sanità pubblica promesse e non attuate negli otto anni della presidenza Obama, Trump si è discostato dalle posizioni storiche del partito repubblicano, da sempre contrario alla creazione di un servizio sanitario in grado di fornire ai tutti i cittadini assistenza pubblica sul modello europeo.
“Se noi renderemo il nostro paese di nuovo ricco – ha dichiarato in proposito – ci potremo permettere un sistema di sicurezza sociale pubblico. Io sono probabilmente l’unico repubblicano che non vuole tagli allo stato sociale, voglio solo rendere l’America più ricca così da poterci permettere una sicurezza sociale e un’assistenza sanitaria pubblica pagate dallo stato».
Sul diritto degli americani di possedere liberamente un’arma Trump, conquistandosi immediatamente l’appoggio politico e finanziario della National Rifle Association, la potente lobby dei produttori di armi, sostiene che se tutti avessero un’arma l’America sarebbe più sicura, motivo per cui ha promesso che abolirà tutte le restrizioni all’acquisto e alla detenzione: “Guardate quello che è successo a Parigi e Orlando, se la gente attaccata dai terroristi fosse stata armata le pallottole sarebbero andate in un’altra direzione e non sarebbero morte tante persone. Quindi alla domanda sulla possibile limitazione della libera vendita delle armi rispondo con un semplice no”.
In politica estera, Trump promette di correggere tutti gli errori fatti dalle amministrazioni precedenti, comprese quelle di George W. Bush: “Per anni ho detto ‘non andate in Iraq’. Loro sono andati in Iraq e hanno destabilizzato tutto il Medio Oriente. ora c’è l’ISIS che si è appropriato del petrolio. Io dico mandiamo le truppe adesso e togliamogli il petrolio. Togliamo loro la ricchezza. Ora lo dobbiamo fare”.
A cura di Antonella Salini
In collaborazione con Lookout News