“La volontà dei genitori di essere informati non deve e non può trasformarsi in un tribunale di classe o di scuola. Il fatto che i genitori vogliano essere informati e si tengano, quindi, in comunicazione fra loro è sicuramente una cosa utile, ma l’uso scorretto delle chat di classe rende tutto molto complicato”. Commenta così Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva e direttore dell’Istituto di Ortofonologia di Roma (IdO), l’allarme di molti presidi italiani, riportato oggi da Repubblica.it, sul rischio che i gruppi di classe creati su WhatsApp dai genitori possano “diventare armi a doppio taglio”.
I genitori “dovrebbero essere informati attraverso avvisi ufficiali da parte della scuola. Un uso improprio della chat sta causando danni– conclude lo psicologo- occorre assumere dei codici di autoregolamentazione, oppure trovare un altro modo per informare i genitori che non sia quello delle chat”.
Le chat di Whatsapp – inizialmente create per facilitare le comunicazioni tra genitori – stanno diventando sempre più spesso una «cassa di risonanza di un sentimento incontrollato», rabbia o risentimento nei confronti degli insegnanti o verso altri genitori.
Così gli insegnanti vengono pressati, a volte criticati o addirittura contestati. E la piazza della ribellione è WhatsApp. La faccenda sta diventando sempre più seria. A Milano, ad esempio, dopo un’epidemia di pidocchi, una mamma alla ricerca del ‘baby untore’ ha tuonato così in chat: «Ora basta, è la terza volta, qui qualcuno ha gravi problemi di igiene, voglio sapere chi è!».
Non mancano poi insulti agli insegnanti e altre amene liti tra genitori su questioni di ogni genere. A Bologna e a Bari, invece, alcuni genitori si sono lamentati del presunto trattamento di favore riservato dagli insegnanti ad alcuni alunni disabili.