Il vincolo cautelare è posto a garanzia delle somme residue di un piano di rateizzazione del debito erariale contratto, qualora il versamento “promesso” non abbia luogo. In tema di reati tributari, l’articolo 12-bis del Dlgs 74/2000, nel disporre che la confisca diretta o per equivalente dei beni costituenti profitto o prodotto del reato “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’Erario anche in presenza di sequestro” e che “nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”, non preclude l’adozione del sequestro preventivo ad essa finalizzato, relativamente agli importi non ancora corrisposti.
Invero, la funzione del vincolo cautelare è quella di garantire che la disposta misura ablatoria, inefficace con riguardo alla parte coperta dall’impegno, esplichi i propri effetti qualora il versamento “promesso” non si verifichi. Questo, in sintesi, il principio di diritto ribadito dalla Corte di cassazione, III sezione penale, nella sentenza n. 35246 del 22 agosto 2016.
La vicenda processuale
A seguito della contestazione del reato di infedele dichiarazione, di cui all’articolo 4 del Dlgs 74/2000, nei confronti del legale rappresentante di una società veniva emesso un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Avverso detto provvedimento la parte ricorreva al Tribunale del riesame il quale, in parziale accoglimento dell’istanza, revocava la misura cautelare con esclusivo riferimento all’importo già versato dal contribuente in esecuzione di un piano di rateizzazione del debito erariale.
L’ordinanza del Tribunale del riesame veniva, quindi, impugnata in Cassazione dalla parte, che deduceva il vizio di violazione di legge e, in particolare, degli articoli 321 del codice di procedura penale e 12-bis del Dlgs 74/2000: ad avviso del ricorrente, invero, la misura cautelare avrebbe dovuto essere revocata tout court e non solo parzialmente, in virtù della formalizzazione dell’accordo tra contribuente e Amministrazione, essendosi in tal modo verificato il presupposto normativo ostativo alla confisca, ossia l’impegno a restituire all’Erario l’imposta evasa. La Suprema corte, ritenendo di dover dare continuità all’orientamento interpretativo espresso nelle precedenti pronunce 5681/2013 e 5728/2016, ha rigettato il ricorso, giudicando corretta la decisione del Tribune del riesame di ridurre l’importo sequestrato in misura pari alle due rate già versate dal contribuente, mantenendo in piedi il vincolo cautelare per la parte non ancora corrisposta.
Osservazioni
Per comprendere il ragionamento svolto dai giudici di legittimità nella pronuncia in commento, occorre premettere che l’articolo 10 del Dlgs 158/2015, recante la revisione del sistema sanzionatorio tributario, ha inserito nel Dlgs 74/2000 l’articolo 12-bis, a norma del quale, in caso di condanna o patteggiamento per uno dei reati tributari ivi previsti, è sempre ordinata la confisca, diretta o per equivalente, dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo. Il secondo comma dell’articolo 12-bis precisa, poi, che la confisca “non opera” per la parte che il contribuente si impegna a versare all’Erario anche in presenza di sequestro, mentre “nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”.
In merito all’interpretazione di quest’ultima previsione normativa, la Suprema corte ha puntualizzato che “solo l’integrale pagamento del debito tributario (…) può condurre alla non operatività della confisca e, correlativamente, alla obliterazione del sequestro imposto a tal fine, essendo invece insufficiente la mera ammissione ad un piano rateale di pagamento”, così come il parziale versamento effettuato a tale ultimo titolo (si vedano la richiamata Cassazione 5681/2013 e la più recente 5728/2016).
Poiché infatti il profitto suscettibile di confisca corrisponde all’ammontare dell’imposta evasa, con il relativo pagamento viene evidentemente meno qualsiasi indebito vantaggio da aggredire col provvedimento ablatorio e, con esso, la stessa ragione giustificatrice della confisca, che si rinviene nella necessità di evitare che il conseguimento dell’indebito profitto del reato si consolidi in capo al reo. Ne consegue che il mantenimento del sequestro preventivo finalizzato alla confisca nonostante l’intervenuta estinzione del debito erariale darebbe luogo a una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in palese violazione del principio per cui l’espropriazione definitiva di un bene non può essere superiore al profitto derivato. Ma proprio la necessaria corrispondenza tra estinzione del debito ed elisione del profitto fa sì che solo l’integrale pagamento possa condurre all’inoperatività in toto della confisca e, correlativamente, del sequestro a essa finalizzato.
Invero, ad avviso dei giudici di legittimità, la locuzione “non opera” contenuta nel secondo comma dell’articolo 12-bis del Dlgs 74/2000 non va interpretata nel senso che la confisca, a fronte dell’intervenuto accordo rateale, non possa essere adottata, bensì, più semplicemente, nel senso che la stessa non divenga efficace con riguardo alla parte “coperta” da tale impegno, potendo invece essere ordinata, come previsto dalla stessa disposizione normativa, allorquando l’impegno non venga onorato e il versamento promesso non si verifichi. In tale contesto, il mantenimento del sequestro preventivo, pur a fronte dell’impegno formale a versare l’intera somma dovuta, sarebbe preordinato a garantire l’efficacia della misura ablatoria che dovesse essere disposta una volta constatato l’eventuale inadempimento di quanto in precedenza promesso.
In conclusione, da quanto esposto discende che, anche in presenza di un piano rateale di versamento, “la confisca continua ad essere consentita per gli importi che non siano stati ancora corrisposti, così continuando ad essere consentito anche il sequestro” preventivo, a detta confisca finalizzato.