scolasticaSu 265 campioni di acqua analizzati, il 52% è risultato con cariche batteriche elevate. Circa 25% della popolazione italiana ancora non coperta da depurazione. Scarichi non depurati peggiori nemici del turismo. Scarsa l’informazione ai cittadini: pochi i cartelli di divieto di balneazione e quelli informativi sulla qualità delle acque. Ma un modello positivo esiste: le aree marine protette che favoriscono la ricerca, promuovono il turismo sostenibile, creano occasioni di buona economia.

 

Un punto inquinato ogni 54 km di costa, ancora una volta sotto accusa la mancata depurazione. Dei 265 punti monitorati, uno ogni 28 km di costa, dal laboratorio mobile di Goletta Verde di Legambiente, il 52% è risultato inquinato o fortemente inquinato. L’88% di queste criticità è in corrispondenza di foci di fiumi, fossi, canali o scarichi presenti lungo la costa. Più della metà di questi sono in prossimità di spiagge e stabilimenti e quindi frequentati da bagnanti.

 

I risultati conclusivi di Goletta Verde 2016, la storica campagna estiva di Legambiente, realizzata grazie al sostegno del Consorzio obbligatorio degli oli usati (COOU) e dei partner tecnici NAU e Novamont, sono stati presentati oggi a Roma da Serena Carpentieri e Giorgio Zampetti, rispettivamente responsabile Campagne e responsabile Scientifico di Legambiente e da Andrea Di Stefano di Novamont, che hanno illustrato il quadro emerso dalla campagna di monitoraggio scientifico, durante i due mesi di viaggio di Goletta Verde partita dalla Liguria e conclusasi in Friuli Venezia Giulia.

 

I punti di prelievo sono stati selezionati grazie al lavoro dei circoli di Legambiente e alle segnalazioni dei cittadini giunte attraverso il servizio SOS Goletta. Il monitoraggio di Goletta Verde ha l’obiettivo di rilevare e denunciare la presenza di scarichi non depurati che continuano a riversarsi in mare e non vuole sostituirsi a quello delle autorità preposte ai controlli sulla balneazione. Proprio per questo, i prelievi sono concentrati nei punti critici: foci di piccoli e grandi corsi d’acqua, di fossi, canali e scarichi, che costituiscono i principali veicoli dell’inquinamento da batteri fecali in mare, dove sussiste il “maggior rischio” di contaminazione.

 

I parametri indagati sono microbiologici (enterococchi intestinali, escherichia coli) e vengono considerati come “inquinati” i risultati che superano i valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (Dlgs 116/2008 e decreto del ministero della Salute del 30 marzo 2010) e “fortemente inquinati” quelli che superano di più del doppio tali valori.

 

“Purtroppo i risultati deludenti in prossimità di foci, fossi e canali non ci sorprendono – commenta Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente – dal momento che il problema riguarda non solo le aree costiere ma interessa gran parte del territorio nazionale. Nonostante siano passati 11 anni dalle scadenze previste dalla direttiva europea sulla depurazione, l’Italia, infatti, è ancora in fortissimo ritardo. Circa il 25% della popolazione non è coperta da un adeguato servizio di depurazione e un terzo degli agglomerati urbani a livello nazionale è coinvolto da provvedimenti della Commissione europea. Sul nostro Paese pesano già due condanne e una terza procedura d’infrazione. Oltre i costi ambientali, ci sono inoltre quelli economici a carico della collettività: a partire dal 2016, il nostro Paese dovrà pagare 480 milioni di euro all’anno, fino al completamento degli interventi di adeguamento”.

 

Nel fare un bilancio del monitoraggio di Goletta Verde, è importante specificare che le differenti condizioni meteorologiche riscontrate al momento dei prelievi, la variabilità del numero di presenze nelle località costiere e le caratteristiche morfologiche che variano da regione a regione, non consentono di stilare una classifica nazionale. Si distingue positivamente la Sardegna, con poche criticità riscontrate solo in corrispondenza di foci di corsi d’acqua o canali. Buona anche la performance della Puglia, in cui si è registrato un miglioramento rispetto allo scorso anno. Mentre in alto Adriatico la situazione migliore si registra in Veneto. Le situazioni più critiche si trovano, invece, in Calabria, interessata nelle ultime settimane anche da diverse proteste da parte delle comunità locali per “mare sporco”, da divieti di balneazione e da interventi delle forze dell’ordine per irregolarità nel servizio di depurazione, nelle Marche e in Abruzzo, regioni penalizzate anche dall’elevato numero di corsi d’acqua, canali e fossi che sfociano in mare.

 

Se nell’edizione 2016 oltre la metà dei punti sono risultati inquinati, 1 su 5, soffre di ‘inquinamento cronico’, in quanto dal 2010 ad oggi è risultato fuori i limiti di legge per almeno 5 volte. Di questi il 94% corrisponde a foci di fiumi, torrenti, scarichi e canali. Tutte le regioni costiere hanno almeno un punto “malato cronico”, ma in alcune la situazione è particolarmente rilevante, con almeno 5 punti campionati che risultano inquinati ormai da anni (Marche, Liguria, Lazio, Campania e Calabria).

 

“Gli scarichi non depurati sono i peggiori nemici del turismo – continua Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente -. Il nostro monitoraggio ha l’obiettivo di non fermarsi alla sola denuncia, ma soprattutto di avviare un approfondimento e confronto per fermare l’inquinamento da mancata depurazione che si riversa in mare. Per alcune situazioni critiche da diversi anni, grazie alla stretta collaborazione con le forze dell’ordine e le amministrazioni locali, si è arrivati a individuare le cause e risolvere il problema. Ora c’è la legge sugli ecoreati, che prevede anche il reato di inquinamento ambientale, valido strumento contro chi continua a scaricare illegalmente nei fiumi e nel mare”.

 

Tra le foci di fiumi, i fossi e i canali monitorati da Legambiente quest’estate, 1 su 3 non viene campionato dalle autorità competenti perché si tratta di luoghi non adibiti alla balneazione stando ai profili di costa redatti a inizio stagione da Regioni e Comuni. Spesso, però, sono frequentati dai bagnanti perché mancano i cartelli di divieto di balneazione, a cui dovrebbero provvedere i Comuni: assenti nell’74% dei punti visitati dai tecnici di Goletta Verde.

 

Ancora peggiore il dato sulla presenza dei cartelli informativi in spiaggia, che hanno la funzione di divulgare al pubblico la classe di qualità del mare (in base alla media dei prelievi degli ultimi quattro anni), i dati delle ultime analisi e le eventuali criticità della spiaggia stessa. Secondo la normativa, i Comuni costieri sono obbligati ad apporli ormai da due anni ma i tecnici di Goletta Verde li hanno avvistati solo nel 5% dei casi.

 

“Durante l’estate abbiamo ricevuto centinaia di segnalazioni di mare sporco da parte dei bagnanti grazie al servizio Sos Goletta – racconta Serena Carpentieri, responsabile Campagne di Legambiente -. Le persone sono spesso disorientate, non sanno a chi rivolgersi per denunciare casi di inquinamento, dove consultare i dati ufficiali, come capire se stanno facendo il bagno in acque sicure e controllate. È indispensabile che il Ministero della Salute istituisca un numero verde per raccogliere le segnalazioni di cittadini e turisti e avvii, in collaborazione con le Regioni e gli enti locali, una chiara campagna informativa. Infine, non è più tollerabile l’assenza di cartelli di divieto di balneazione nelle aree dove non si può fare il bagno e i cartelli informativi sulla qualità delle acque. L’accesso all’informazione è un diritto di cittadini e turisti e un dovere per le autorità competenti e per tutti i comuni costieri, cosi come previsto dalla normativa sulla balneazione”.

 

Va evidenziato, inoltre, l’inquinamento da rifiuti, che arrivano dai fiumi, dal mare e da terra e che accomunano tutti i 265 luoghi esaminati da Goletta Verde. Solo nel 14% di questi non è stata rinvenuta spazzatura, che molto spesso, invece, si accumula in vere e proprie discariche in mezzo alla sabbia. A farla da padrona è la plastica ma non mancano i rifiuti che derivano dall’inefficiente depurazione; le foci dei corsi d’acqua e i canali portano con sé non solo batteri ma anche rifiuti solidi buttati nel wc e che per mancata depurazione o scarichi illegali arrivano sulle spiagge. Cotton fioc, assorbenti, blister, addirittura deodoranti da wc che sono stati ritrovati nei pressi dei punti di campionamento nel 18% dei casi. E non è un caso che nell’83% di questi luoghi siano state riscontrate cariche batteriche oltre la norma, derivanti dalla stessa cattiva depurazione. Questi i primi elementi che emergono dai nuovi dati raccolti da Goletta Verde sulla presenza e la tipologia dei rifiuti in ambiente marino, nell’ambito di un’indagine, condotta con il contributo di Novamont e la collaborazione di Enea, che avrà come risultato non solo la quantificazione ma anche la caratterizzazione dei rifiuti presenti sulle spiagge e in mare.

 

“L’acquisizione di importanti dati, sempre più approfonditi grazie allo sforzo di Goletta Verde, è uno degli obiettivi che spinge Novamont a sostenere le attività condotte dalla campagna – sottolinea Andrea Di Stefano, Responsabile Progetti Speciali – una fotografia puntuale dei problemi rappresenta un’opportunità per la ricerca di soluzioni che possano da una parte ridurre il rischio di inquinamento e dall’altra favorire l’adozione di stili di vita più sostenibili e all’insegna della minimizzazione dei rifiuti non riciclabili alla fonte”.

 

Anche quest’anno il Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati è stato il main partner della campagna estiva di Legambiente. Attivo da 32 anni, il COOU garantisce la raccolta degli oli lubrificanti usati su tutto il territorio nazionale. L’olio usato – che si recupera alla fine del ciclo di vita dei lubrificanti nei macchinari industriali, ma anche nelle automobili, nelle barche e nei mezzi agricoli – è un rifiuto pericoloso per la salute e per l’ambiente che deve essere smaltito correttamente: 4 chili di olio usato, il cambio di un’auto, se versati in acqua inquinano una superficie grande come sei piscine olimpiche. Ma l’olio usato è anche un’importante risorsa perché può essere rigenerato tornando a nuova vita in un’ottica di economia circolare: il 90% dell’olio raccolto viene classificato come idoneo alla rigenerazione per la produzione di nuove basi lubrificanti, un dato che fa dell’Italia il Paese leader in Europa. “La difesa dell’ambiente, in particolare del mare e dei laghi – spiega il presidente del COOU, Paolo Tomasi – rappresenta uno dei capisaldi della nostra azione. L’operato del Consorzio con la sua filiera non evita solo una potenziale dispersione nell’ambiente di un rifiuto pericoloso, ma lo trasforma in una preziosa risorsa per l’economia del Paese”.

 

Il viaggio di Goletta Verde è stato accompagnato dalla mostra itinerante “30 anni dalla parte del mare” realizzata con il patrocinio del ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del mare e la collaborazione del parco nazionale dell’Arcipelago Toscano e delle aree marine protette di Cinque Terre, Secche di Tor Paterno, Regno di Nettuno, Costa degli Infreschi e della Masseta, Capo Carbonara, Isole Egadi e Isola di Ustica e di Federparchi. Per illustrare come negli ultimi trent’anni sia cresciuta l’attenzione e la sensibilità del Paese verso le azioni di tutela e valorizzazione della risorsa mare. Dalle battaglie degli anni ‘80 contro gli scarichi selvaggi in mare, alla legge sulle aree protette e sulla conservazione degli ecosistemi e della biodiversità, passando per la prima commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, le battaglie contro i condoni edilizi e gli abbattimenti degli ecomostri, termine coniato da Legambiente nell’avviare la grande battaglia contro gli abusi, molti dei quali realizzati a picco sul mare e in aree di pregio. Infine la legge tanto attesa sugli ecoreati, il collegato ambientale e l’approvazione il 15 giugno scorso della norma sulle agenzie ambientali, che rappresenta il terzo anello di una serie di riforme ambientali indispensabili per avviare una riconversione ecologica dell’Italia. Importanti traguardi che consentono di misurare quanta strada sia stata fatta e indicare il modello di sviluppo da mettere in campo. Il modello concreto è quello delle Aree marine protette che favoriscono la ricerca, promuovono il turismo sostenibile, creano occasioni di buona economia e pratiche virtuose che sono diventate modello ed esempio per i territori circostanti rappresentando un vero e proprio volano economico e da questa consapevolezza occorre ripartire.