Da alcuni mesi si sta svolgendo il concorso a cattedre per reclutare i docenti necessari al ricambio dei pensionamenti previsti nel triennio 2016-2018. Il concorso a cattedre è un evento positivo, perché ribadisce il valore di questo criterio nell’assunzione di personale pubblico, contro le logiche della “chiamata diretta”.
Questa affermazione è necessaria per capire lo scenario in cui il concorso si sta svolgendo e per calarci in una realtà lavorativa che parla ancora, nonostante il piano nazionale di assunzioni previsto dalla legge 107/15, di grandi numeri di docenti precari. Una parte di essi, diverse migliaia, è in possesso del titolo abilitante (TFA, PAS) e del requisito dei 36 mesi di supplenza su posto libero e vacante, utili per la stabilizzazione, come stabilisce la sentenza della Corte di Giustizia europea, ripresa recentemente dalla Corte costituzionale italiana. Questi precari, per l’assenza di concorsi da una parte e il lievitare delle supplenze necessarie al funzionamento delle scuole dall’altra, in questi anni hanno lavorato “stabilmente” e sullo stipendio precario hanno costruito percorsi di vita.
Prima del bando del 26 febbraio 2016 le organizzazioni sindacali hanno richiesto all’Amministrazione un incontro per fare chiarezza sulle modalità di svolgimento del concorso, perché la fretta con cui si predisponevano le prove non lasciava presagire niente di buono.
Le richieste di incontro sono state reiterate nel tempo, sia nei confronti del Ministero, che verso la competente commissione alla Camera dei Deputati. Non c’è stata alcuna volontà di ascolto. Il confronto con i sindacati avrebbe contribuito ad affrontare il tema della stabilizzazione nel suo insieme, a considerare le ricadute che il bando avrebbe determinato, in un’ottica di rispetto dei diritti maturati, anche attraverso la sola abilitazione. Soprattutto si sarebbe avviata una riflessione sul reale stato degli organici delle scuole, ancora sottodimensionati, allo scopo di favorire un piano pluriennale di stabilizzazioni, al di là dei posti messi a concorso.
Lo svolgimento del concorso, come era presumibile, sta avvenendo in un clima di approssimazione: commissioni inesistenti o messe in piedi all’ultimo momento, ritardi nella compilazione delle griglie di valutazione degli elaborati, prove non sempre coerenti con i programmi.
Il compenso previsto per le commissioni si è rivelato talmente ridicolo e irrispettoso, 50 centesimi ad elaborato, che lo stesso Governo ha dovuto decretare per un parziale aumento che ad oggi non è ancora esigibile. Da qui le numerose defezioni dal ruolo di commissario con conseguente correzione degli elaborati da parte di commissari diversi, con una diversa impostazione. E tuttavia, ciò non è bastato per avere il numero necessario di commissari. Tutto ciò ha condotto alla farsa dei commissari con almeno 5 anni di servizio, cioè molto meno di quelli che possono vantare un gran numero di aspiranti al ruolo. Ma non è finita perché la ministra Giannini ha annunciato che se proprio non si dovessero trovare tutte le disponibilità, si ricorrerà a persone di comprovata competenza. Cosa vuol dire, che chiunque potrebbe correggere i compiti, chiunque potrebbe interrogare, pur di chiudere le procedure del concorso? È questo il rispetto per la scuola pubblica?
In questo contesto il numero delle bocciature alle prove scritte diventa talmente inquietante da occupare pagine intere di giornali nazionali: è possibile che non superi gli scritti un alto numero di docenti laureati con titoli universitari aggiuntivi, che hanno frequentato le scuole di abilitazione spesso nelle università in cui si sono laureati, che si sono specializzati nel sostegno, con anni di servizio sulle spalle?
È possibile che la fretta di voler licenziare il bando, abbia prodotto una confusione tale da impedire alle commissioni di poter lavorare con la dovuta competenza?
È possibile che le prove non siano state congruenti con i titoli di studio?
È possibile che il piano nazionale delle assunzioni previsto dalla legge 107/15 abbia creato una implosione tale negli organici da bloccare almeno una parte delle circa 63 mila assunzioni previste dal bando?
Vorremmo chiederlo alla Ministra Giannini, non soltanto per un astratto dovere di rappresentanza, ma perché siamo convinti che la vera Buona Scuola abbia bisogno di un reclutamento serio, a partire da regole adeguate ai tempi nel concorso pubblico. Non servono i proclami della Ministra che valutano positivamente il suo operato, parlano i fatti, la condizione del personale di ruolo, le aspettative tradite di chi a questo concorso ha affidato il suo futuro.
Se il Ministero dell’Istruzione sceglie di rimanere sordo di fronte all’ennesimo dramma provocato da scelte insensate, il Parlamento ha il dovere di intervenire per tutelare la dignità della scuola pubblica e il futuro lavorativo di chi ha scelto di abilitarsi per insegnare nella scuola pubblica pensando di essere tutelato da regole rigorose, di chi insegna da anni con i titoli richiesti accompagnati dalla competenza e dal sacrificio.
Il sindacato è già accanto a loro, il Parlamento scelga di farlo se ritiene che l’Istruzione pubblica sia un valore costituzionale ancora da difendere.