La controversia esaminata dalla Corte di giustizia dell’Ue verte sull’applicazione dell’imposta applicata ai redditi da interessi percepiti da un istituto di credito non residente. La domanda di pronuncia pregiudiziale ha ad oggetto l’interpretazione dell’articolo 56 TFUE (49 paragrafo 1 CE), relativa alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione. La controversia principale, che ha portato alla decisione della Corte di Giustizia europea, vede opposti una società portoghese e una banca irlandese e verte sull’applicazione dell’imposta portoghese sulle società ai redditi da interessi percepiti in Portogallo da parte di un istituto di credito non residente. Nel caso di specie l’imposta viene percepita a carico dei creditori di interessi non residenti come ritenuta alla fonte applicata al debitore degli interessi e inoltre è calcolata in modo diverso rispetto ai creditori di interessi residenti.
I protagonisti della controversia
Il procedimento principale si svolge tra una società portoghese e una banca irlandese che sono parti di un contratto di finanziamento in virtù del quale, in determinati mesi degli anni dal 2005 al 2007, la società portoghese era tenuta a pagare gli interessi alla banca irlandese per un valore di € 350.806,00. La società tratteneva da tali pagamenti la somma di € 59.386,00 a titolo di ritenuta alla fonte e li versava all’amministrazione tributaria portoghese per conto della banca. Le parti sostengono che tale obbligo di trattenere una parte degli interessi al fine di pagare l’imposta portoghese sulle società violerebbe il diritto dell’Unione in quanto discriminerebbe gli istituti di credito non residenti rispetto a quelli residenti. Secondo il diritto portoghese l’imposta sulle società viene applicata sui redditi delle società e qualora si tratti di società non residenti l’imposta si applicherebbe solo ai redditi percepiti in Portogallo compresi gli interessi corrisposti dai debitori residenti in tale Stato.
La normativa portoghese
L’articolo 80, paragrafo 2, lettera c), del codice portoghese sull’imposta delle società (CIRC) prevede che tali redditi siano assoggettati all’aliquota del 20% o a quella risultante da un accordo sulla doppia imposizione stipulato con lo Stato di residenza della società parzialmente soggetta ad imposta. Nel caso di specie l’aliquota ammonta al 15%, non è ammessa una deduzione delle spese professionali e l’imposta viene percepita mediante ritenuta alla fonte. Al contrario tutti i redditi dichiarati da società residenti nel territorio nazionale, dedotte le spese professionali, sono soggetti ad un’imposta sulle società con aliquota del 25% e quindi assoggettati integralmente all’imposta (articolo 80, paragrafo 1, del CIRC). Nel presente caso potrebbe verificarsi un aggravio delle prestazioni dei servizi transfrontalieri poiché la società oggetto del procedimento principale, avente sede in Irlanda, è soggetta in Portogallo ad un’imposizione dei suoi redditi da interessi meno favorevole rispetto ad operatori nazionali, in quanto a tali redditi viene applicata un’imposta calcolata attraverso la ritenuta alla fonte.
Il rinvio alla Corte Ue e le questioni pregiudiziali
La Corte suprema amministrativa investita della controversia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguenti questioni pregiudiziali. Se l’articolo 56 TFUE (articolo 49, paragrafo 1, CE) osti ad una normativa tributaria interna secondo la quale gli istituti di credito non residenti nel territorio portoghese sono soggetti a imposta sul reddito da interesse percepiti in detto territorio mediante ritenuta alla fonte definitiva del 20% (o con aliquota minore ove esista un accordo volto ad evitare la doppia tassazione), imposta applicata al reddito lordo, senza possibilità di deduzione delle spese professionali direttamente connesse all’attività finanziaria svolta, mentre gli interessi percepiti dagli istituti di credito sono incorporati nel reddito imponibile globale, con una deduzione delle spese connesse all’attività svolta quando si calcola il profitto ai fini della tassazione tramite imposta sul reddito delle persone giuridiche, applicandosi in tal modo l’aliquota del 25% sul reddito da interessi netto. Se tale disposizione sia contraria alla suddetta normativa nazionale anche quando alla base imponibile degli istituti di credito residenti venga applicata o possa venire applicata un’imposta più elevata rispetto a quella ritenuta alla fonte per gli istituti non residenti e applicata al loro reddito lordo, dedotti i costi di finanziamento connessi ai redditi da interessi o le spese direttamente sostenute in funzione di tali redditi. Se, a tal fine, possa essere data prova dei costi di finanziamento connessi ai prestiti concessi o delle spese direttamente sostenute in funzione dei redditi da interessi maturati mediante dati forniti dall’Euribor e dal Libor che rappresentano i tassi di interesse medi praticati nei finanziamenti interbancari cui le banche ricorrono per svolgere la loro attività.
Sulle questioni pregiudiziali
Il giudice del rinvio, in merito alle questioni pregiudiziali, intende sapere se un regime di ritenuta fiscale relativa agli interessi corrisposti a creditori stranieri, come quello oggetto della controversia principale, sia compatibile con la libera prestazione dei servizi ai sensi dell’articolo 56 TFUE. In merito bisogna precisare che alla controversia principale va applicata la normativa vigente negli anni dal 2005 al 2007 e di conseguenza la disposizione che deve essere interpretata è l’articolo 49 CE e non l’articolo 56 TFUE. Ai sensi dell’articolo 49, paragrafo 1, CE sono vietate, a favore dei residenti degli Stati membri, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi, qualora il prestatore e il destinatario del servizio siano residenti in diversi Stati membri. Una restrizione alla libera prestazione dei servizi del fornitore sussiste quando una normativa nazionale ostacoli la prestazione dei servizi tra Stati membri rispetto alla prestazione dei servizi interna ad uno Stato membro. In merito al caso di specie, il meccanismo di percezione dell’imposta con ritenuta alla fonte può integrare una violazione alla libera prestazione dei servizi in quanto al destinatario del servizio è addossato un onere amministrativo aggiuntivo rispetto all’assunzione di un prestito presso creditori nazionali di interessi, i quali, versano essi stessi l’imposta sui redditi da interessi.
I precedenti di giurisprudenza della Corte Ue
Sul punto è intervenuta la Corte che ha più volte affermato che il meccanismo di percezione della ritenuta alla fonte applicabile ai prestatori di servizi non residenti non viola la libera prestazione dei servizi, in quanto la restrizione di detta libertà, causata da tale meccanismo di imposizione, è giustificata dalla necessità di garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta. Pertanto, avuto riguardo al meccanismo di percezione applicabile ai creditori di interessi non residenti, la normativa portoghese non violerebbe la libera prestazione dei servizi. Una violazione di tale libertà potrebbe derivare anche dal fatto che la normativa nazionale nega ai creditori di interessi non residenti ogni tipo di deduzione delle spese professionali nel calcolo dell’imposta. Di conseguenza, per la normativa portoghese, la banca irlandese non può far valere i costi di finanziamento sostenuti per concedere il prestito alla società portoghese. Sul punto una costante giurisprudenza (sentenza Gerritse) ha affermato che il diniego a persone non residenti parzialmente soggette ad imposta di dedurre le spese direttamente connesse con l’attività gravata da imposta è in contrasto con la libera prestazione di servizi. La suddetta connessione si verificherebbe quando le spese sono originate dall’attività stessa e siano, dunque, necessarie per lo svolgimento della medesima. Nel caso di specie la banca non ha finanziato il suo prestito alla società accettando a sua volta un prestito di uguale importo per tale fine (costi diretti), ma i costi di finanziamento per la banca derivano dal fatto che tutta la sua attività è gravata da siffatti oneri. La banca intende far valere una parte dei costi di finanziamento come spese professionali derivanti a suo carico dall’esercizio globale della sua attività (cosiddette spese generali). Al riguardo, nel procedimento dinanzi alla Corte, la Repubblica Portoghese ha sostenuto che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza in materia, nel settore bancario i costi di finanziamento non potrebbero essere imputati direttamente ad un prestito e dunque non dovrebbero essere prese in considerazione come spese. La tesi sostenuta dalla banca, e cioè quella per cui le spese generali possano presentare un nesso diretto con un’attività gravata da imposta, è suffragata dalla costante giurisprudenza in materia di legislazione sull’imposta sul valore aggiunto. Quest’ultima normativa prevede che le spese sostenute da un soggetto passivo ai sensi dell’articolo 168 della direttiva 2006/112/CE devono essere imputate ad un’attività gravata da imposta al fine di consentire l’esercizio di un diritto alla deduzione. La Corte, in tali casi, riconosce non solo l’esistenza di un nesso diretto e immediato tra costi diretti e operazioni soggette ad imposta, ma anche tra spese generali del complesso dell’attività economica di un soggetto passivo.
La deduzione dei costi di finanziamento imputabili direttamente all’attività
Alla luce di quanto esposto, si può dedurre che, una normativa che, nell’ambito dell’assoggettamento a imposta di un’attività, non consente alle persone parzialmente soggette ad imposta la deduzione dei costi di finanziamento imputabili direttamente all’attività soggetta ad imposta come quota delle spese generali del soggetto passivo, viola la libera prestazione dei servizi. La violazione di tale libertà non potrebbe essere neppure compensata applicando ai non residenti un’aliquota fiscale minore rispetto a quella applicata ai residenti. E anche vero, che, come risulta da una giurisprudenza costante della Corte, una restrizione alla libera prestazione dei servizi può essere ammessa solo se è giustificata da motivi imperativi di interesse generale. L’amministrazione portoghese ha sostenuto che la normativa controversa nella causa principale è giustificata dalla necessità di tutelare la ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri, dalla volontà di prevenire la doppia deduzione delle spese professionali e dalla necessità di garantire l’efficacia della riscossione delle imposte. In merito alla determinazione delle spese professionali direttamente connesse ai redditi da interessi attinenti ad un contratto di prestito finanziario come quello oggetto della causa principale, la Corte ha stabilito che uno Stato membro che riconosce ai residenti la facoltà di dedurre siffatte spese non può, in linea di principio, escludere la presa in considerazione di tali stesse spese per i non residenti. La concessione di un prestito finanziario come in quello di cui al procedimento principale, dà necessariamente luogo a spese professionali, quali, ad esempio, le spese di viaggio, di alloggio nonché quelle per la consulenza legale o tributaria, per le quali è relativamente facile sia stabilire il nesso diretto con il prestito in questione sia provarne l’importo effettivo. Poiché le persone parzialmente assoggettate ad imposta devono poter beneficiare dello stesso trattamento delle persone integralmente assoggettate, esse devono poter ottenere, per quanto riguarda tali spese, le stesse possibilità di deduzione, pur restando soggetti agli stessi requisiti per quanto riguarda, in particolare, l’onere della prova.
Le spese di finanziamento
Infine, la Corte chiarisce che l’esercizio dell’attività di cui alla causa principale, genera spese di finanziamento che, in linea di principio, devono essere considerate necessarie all’esercizio della citata attività, ma per le quali può risultare più difficile stabilire il nesso diretto con un prestito finanziario determinato o l’importo effettivo. In tale circostanza le autorità fiscali interessate, possono richiedere ai non residenti le prove a loro avviso necessarie per valutare se siano soddisfatte le condizioni di deducibilità delle spese previste dalla normativa in esame e, di conseguenza, se debba concedersi o meno la deduzione richiesta.
La decisione della Corte
Chiamati a pronunciarsi sulla questione, i giudici sovranazionali hanno chiarito che l’articolo 49, paragrafo 1, CE non osta ad una normativa nazionale in materia fiscale, ai sensi della quale solo gli istituti di credito non residenti sono assoggettati ad una ritenuta alla fonte dell’imposta se giustificata da un motivo imperativo di interesse generale. Lo stessa articolo 49 CE, invece, osta ad una normativa nazionale che riconosce solo agli istituti di credito residente la possibilità di deduzione delle spese professionali connesse all’attività. Infine, i giudici sovranazionali demandano ai giudici nazionali sulla base del suo diritto nazionale, quali siano le spese professionali che possono essere considerate direttamente connesse con l’attività in esame.