Tardive alcune delle istanze di rimborso, per decorso del termine decadenziale; altre, invece, infondate nel merito, stante la sussistenza del presupposto dell’autonoma organizzazione. Il titolare di un’impresa familiare (non anche i familiari collaboratori) deve ritenersi soggetto al tributo regionale perché “la presenza di un familiare è da ritenere dato sintomatico in sé di quell’attività autonomamente organizzata necessaria ai fini dell’avveramento del presupposto dell’Irap”. Ad affermarlo, la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 12616 del 17 giugno 2016.
Evoluzione processuale della vicenda
Il fatto trae origine dalle impugnazioni del diniego (quanto agli anni dal 2005 al 2007) e del silenzio rifiuto (quanto agli anni dal 1998 al 2007) opposto dall’Amministrazione finanziaria alle istanze di rimborso presentate dal contribuente che svolgeva l’attività di agente di commercio.
La commissione tributaria provinciale aveva ritenuto tardive alcune delle istanze di rimborso, per decorso del termine di cui al Dpr 602/1973, articolo 38, e altre infondate nel merito, stante la sussistenza del presupposto dell’autonoma organizzazione (per rilevanti quote di ammortamento di beni strumentali, elevati valori di immobilizzazioni e anche a prescindere dalla presenza di un collaboratore di impresa familiare).
Il ricorrente impugnava la sentenza di primo grado dinanzi alla commissione tributaria regionale, contestando la sussistenza dell’autonoma organizzazione alla luce:
- dell’esiguo valore dei beni strumentali e delle quote di ammortamento
- dell’assenza di lavoratori dipendenti e collaboratori
- dell’insufficienza della presenza di un collaboratore familiare.
I giudici di secondo grado riformavano l’impugnata sentenza, accogliendo le motivazioni del contribuente, sostenendo, da un lato, che “il complesso della strumentazione a disposizione del contribuente per lo svolgimento della sua attività non configuri l’ipotesi dell’esistenza dell’autonoma organizzazione” e, dall’altro lato, che “il tributo acquisisce la sua identità e completezza solo al momento del versamento del saldo“.
L’Agenzia delle Entrate proponeva, quindi, ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contestando:
- la posizione della Commissione tributaria regionale che aveva ritenuto irrilevante, ai fini dell’assoggettabilità a Irap, la presenza, non contestata, di un collaboratore familiare, al quale veniva corrisposto il 47% del reddito d’impresa, in definitiva, l’esistenza di un’impresa familiare, di per sé sufficiente per configurare un’attività imprenditoriale assoggettabile a Irap
- l’intempestività delle istanze di rimborso.
Pronuncia della Cassazione: presenza del collaboratore familiare
La Corte suprema, nell’accogliere il ricorso, osserva che, secondo l’orientamento della giurisprudenza (cfr Cassazione, 10777/2013, 1537/2014 e 22628/2014), deve ritenersi soggetto all’Irap l’imprenditore commerciale, titolare di un’impresa familiare, e non i suoi familiari collaboratori, “afferendo l’Irap non al reddito o al patrimonio in sé, ma allo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi ed integrando la collaborazione dei partecipanti quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore, o valore aggiunto, rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare“. A giudizio della Cassazione, la presenza di un familiare è da ritenere dato sintomatico in sé di quell’attività autonomamente organizzata necessaria ai fini dell’avveramento del presupposto dell’Irap.
Tempestività delle istanze di rimborso
La Corte suprema affronta la questione della tempestività delle istanze asserendo che, in caso di versamenti diretti, il termine previsto dal Dpr 602/1973, articolo 38, decorre, nella ipotesi di effettuazione di versamenti in acconto:
- dal versamento del saldo solo nel caso in cui il relativo diritto al rimborso derivi da un’eccedenza degli importi, anticipatamente corrisposti, rispetto all’ammontare del tributo che risulti al momento del saldo complessivamente dovuto
- dal giorno dei singoli versamenti in acconto nel caso in cui questi, già all’atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti, o comunque nel caso in cui si contesti in radice l’obbligo di pagamento del tributo, poiché in questi casi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sorge sin dal momento in cui avviene il versamento (cfrCassazione, 5653/2014, 23562/2012, 13478/2008 e 5978/2006).
La Corte di cassazione aveva già sostenuto tale principio, rendendolo immune dalla contestazione della sussistenza di un obbligo incondizionato di versamento degli acconti (legge 97/1977, articolo 1) e dalla possibilità di verificare unicamente all’atto della presentazione della dichiarazione annuale l’effettiva esistenza dell’obbligazione tributaria. Il tutto atteso che “l’art. 2, comma 4, legge 97/1977, nell’escludere la sanzionabilità dell’omissione del versamento, nel caso in cui l’imposta non sia dovuta, esplicitamente consente al contribuente di apprezzare anche prima del pagamento del saldo la necessità e la legittimità della loro corresponsione” (cfr Cassazione, 9883/2003).
Ulteriore chiarimento è intervenuto con la recente pronuncia delle sezioni unite 13676/2014, nella quale è stato ribadito che “il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso, con riferimento ai versamenti in acconto, decorre dal versamento del saldo, nel caso in cui il diritto al rimborso derivi da un’eccedenza dei versamenti in acconto, rispetto a quanto risulti poi dovuto a saldo, oppure qualora derivi da pagamenti cui inerisca un qualche carattere di provvisorietà, poiché subordinati alla successiva determinazione in via definitiva dell’obbligazione o della sua misura, mentre decorre dal giorno del versamento dell’acconto stesso, nel caso in cui quest’ultimo, già al momento in cui venne eseguito, non fosse dovuto o non lo fosse nella misura in cui fu versato, ovvero qualora fosse inapplicabile la disposizione di legge in base alla quale venne effettuato, poiché in questi casi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sorge sin dal momento in cui avviene il versamento” (cfr Cassazione, nn. 56, 4282 e 7926 del 2000, 14145/2001, 21557/2005, 13478/2008 e 416/2014).
Detto termine di decadenza “non può farsi decorrere dalla data della emanazione di circolari o risoluzioni ministeriali interpretative delle norme tributarie in senso favorevole al contribuente, non avendo detti atti natura normativa ed essendo, quindi, inidonei ad incidere sul rapporto tributario” (cfr Cassazione, 11020/1997, 813/2005, 23042/2012 e 1577/2014)”.
In conclusione, a giudizio della Corte suprema, “avendo il termine di decadenza di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 portata generale, riferendosi a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all’adempimento dell’obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento è in tutto o in parte non dovuto, e quindi ad errori tanto connessi ai versamenti, quanto riferibili all'”an” o al “quantum” del tributo” e, nascendo, nel caso di specie, il diritto al rimborso dall’assoggettabilità a Irap dell’attività professionale, l’istanza era tardiva, in quanto proposta oltre il termine di legge.