In tema di accertamenti da indagini finanziarie, l’articolo 32, comma 1, del Dpr 600/1973 implica un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente il compito di dimostrare chi sia il reale beneficiario dei prelievi bancari, altrimenti considerati come ricavi non contabilizzati; sbaglia quindi il giudice di merito che attribuisce rilevanza probatoria a circostanze solamente asserite (come il far fronte a esigenze di cassa) ponendo, poi, a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di verificarne la veridicità (Cassazione, sentenza n. 11942 del 10 giugno 2016).
Il caso
Una società esercente la vendita all’ingrosso di prodotti per pasticceria e gelateria riceveva un avviso di accertamento, con il quale venivano effettuati diversi rilievi: in particolare, venivano ripresi a tassazione alcuni importi relativi a due prelevamenti bancari, che venivano qualificati come ricavi non contabilizzati, in virtù della presunzione di cui all’articolo 32 del Dpr 600/1973. Infatti, l’ufficio aveva considerato inverosimile, in quanto antieconomica, la condotta della società che aveva effettuato i prelevamenti su un conto con saldo a debito, riversando poi gli importi sul conto cassa che, al contrario, presentava un saldo di gran lunga attivo.
Giunto in contenzioso, l’atto veniva parzialmente annullato dalla Ctp di Caserta. La Commissione tributaria regionale della Campania, poi, rigettava l’appello principale dell’ufficio e accoglieva quello incidentale della società.
Con il successivo ricorso per cassazione, l’Agenzia delle Entrate denunciava, tra l’altro, violazione dell’articolo 32, nonché omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione della pronuncia impugnata, per aver ritenuto giustificati i prelevamenti sulla base di una (solo) asserita urgente necessità di cassa, ribaltando in tal modo sull’ufficio l’onere della prova attraverso il concreto accertamento della consistenza di cassa.
La pronuncia
La Cassazione, con la sentenza in esame, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Dopo aver ricordato che, in tema di indagini finanziarie, spetta al contribuente fornire la prova della destinazione dei prelievi bancari attraverso l’indicazione del beneficiario, i giudici di legittimità hanno censurato il punto della sentenza di merito che ha attribuito all’amministrazione finanziaria l’onere di verificare la generica giustificazione fornita dal contribuente ovvero la composizione qualitativa della cassa per accertare l’esistenza di mezzi di pagamento non immediatamente liquidabili, tale da giustificare l’immissione di disponibilità finanziarie prelevate da un conto con saldo negativo. Censurata anche la motivazione della sentenza impugnata “nella parte in cui non dà risposta alla argomentazione presuntiva dell’Ufficio circa la destinazione dei prelievi bancari a pagamenti di acquisti “in nero”, desunta dalla natura palesemente antieconomica di una operazione di prelevamento di somme di denaro dal conto corrente, avente l’effetto di aggravare l’esposizione bancaria della società, al fine di riversare le medesime somme sul conto cassa avente un saldo attivo già elevato“.
Osservazioni
Il contenzioso in tema di indagini finanziarie si incentra soprattutto sulla ripartizione e sull’assolvimento dell’onere probatorio posto a carico delle parti. I prelevamenti non sufficientemente giustificati e non transitati nelle scritture contabili sono considerati quali componenti positivi di reddito, non dichiarati dal soggetto verificato; la ripresa a tassazione, ai fini Irpef e Iva, si fonda sull’assunto secondo cui un prelevamento privo di dati giustificativi costituisce “un investimento” (ovvero un costo sostenuto in nero) caratterizzante l’attività commerciale, a sua volta produttivo di un ricavo non dichiarato. L’assimilazione con i ricavi avviene qualora il contribuente non ne riesca a dimostrare la destinazione o l’utilizzo; a tal fine, secondo l’orientamento rigoroso della giurisprudenza di legittimità, non è sufficiente indicare il beneficiario, perché, per vincere la presunzione, andrebbe altresì spiegata e provata la causa del rapporto fondamentale sottostante al documento bancario ovvero per quale motivo sia stato versato il denaro (cfr Cassazione, pronuncia 17250/2013).
In via generale, secondo un orientamento ormai consolidato, nel processo tributario, nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è compito del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili a operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti (cfr Cassazione, pronunce nn. 4589/2009 e 4153/2016).
Invero, il Dpr 600/1973, articolo 32, come il Dpr 633/1972, articolo 51, impone di considerare ricavi sia i prelevamenti sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili. Posto che in materia sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale (cfr Cassazione nn. 25365, 20858, 16720, 13819 e 6743, tutte del 2007; 19330 e 14675 del 2006; 18016/2005; 7267/2002 e 9103/2001).
Quindi, è necessario fornire una prova adeguata e rigorosa (cfr Cassazione nn. 25884/2013, 2895/2013 e 16650/2011), non essendo sufficienti mere asserzioni, tanto più se determinano l’effetto di ribaltare l’onere di verifica a carico dell’ufficio: per questo motivo, è stata censurata la sentenza della Ctr sia sotto il profilo della violazione di legge sia per carenza di motivazione.