Il fenomeno economico e giuridico della cooperazione/collaborazione tra imprese riveste un ruolo centrale nell’ambito dell’economia moderna, caratterizzata dalla globalizzazione dei mercati e, quindi, degli scambi commerciali. Esso presuppone la presenza di più soggetti operanti nel libero mercato. Tale condizione è garantita, nell’ordinamento interno, dall’articolo 41 della Costituzione, a mente del quale, “l’iniziativa economica privata è libera”, con ciò rendendo possibile e fisiologica la presenza sul mercato di una pluralità di imprese tra loro concorrenti. Peraltro, l’elevato livello di integrazione degli operatori economici, da un lato, e lo sviluppo degli interessi e degli affari, dall’altro, rende spesso opportuno, quando non addirittura necessario, realizzare forme di collaborazione e di collegamento sempre più ampie: in questi casi le imprese, anziché competere tra loro, ritengono più conveniente stipulare accordi, unendo occasionalmente o stabilmente, in tutto in parte, le loro forze.
Tale cooperazione tra operatori economici può essere realizzata per effetto del coordinamento o dell’integrazione, più o meno estesa, tra le strutture organizzative dei singoli soggetti e/o tra le rispettive attività, fino a sfociare nella costituzione di organizzazioni comuni, anche dotate di una propria soggettività o personalità giuridica. Nel quadro appena delineato si collocano i consorzi tra imprese, di cui il presente contributo vuole fornire una sintesi della disciplina fiscale con riferimento alle imposte dirette e indirette, non prima, però, di avere opportunamente inquadrato la figura dal punto di vista civilistico.
Inquadramento civilistico: definizione, caratteri generali e distinzioni tipologiche
La disciplina civilistica dei consorzi è contenuta negli articoli da 2602 a 2615-bis del codice civile. Secondo l’articolo 2602, come modificato dalla legge 377/1976, “con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”. Dalla lettura della citata disposizione si evince che gli elementi tipici e caratteristici di un consorzio sono i seguenti:
- natura contrattuale dell’accordo
- partecipazione all’accordo di più imprenditori (individuali o societari)
- creazione di un’organizzazione comune
- finalità anticoncorrenziale o di cooperazione interaziendale.
Il contratto di consorzio, quindi, rientra nella categoria generale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo, vale a dire di quei “contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuno sono dirette al conseguimento di uno scopo comune”. Quanto ai soggetti contraenti, parte della dottrina ritiene che l’esplicito riferimento agli “imprenditori” contenuto nell’articolo 2602 cc non valga di per sé a limitare ai soli imprenditori (individuali o societari) la possibilità di partecipare al consorzio. Si ritiene, infatti, che, fatta salva in ogni caso la necessaria presenza di più imprenditori (almeno due), anche soggetti non imprenditori possano aderirvi, “purché tale partecipazione risulti funzionale al raggiungimento dello scopo consortile”.
La dottrina prevalente, però, ritiene che “presupposto indefettibile per la partecipazione ad un consorzio sia la qualità di imprenditore, e tale requisito debba permanere durante lo svolgimento del contratto, in quanto un’eventuale cessazione determinerebbe il venir meno della ragione della stessa partecipazione al contratto associativo”. La dottrina è, invece, concorde nel ritenere non necessario che gli imprenditori consorziati siano imprenditori commerciali. Pertanto, possono aderire a un consorzio imprenditori commerciali e agricoli, imprenditori grandi, medio-grandi e piccoli, nonché imprenditori individuali.
Carattere essenziale del consorzio è la creazione di un’organizzazione comune, strumentale al perseguimento dello scopo consortile: organizzazione di uomini e mezzi, “cui è demandato il compito di dare esecuzione al contratto, assumendo ed attuando le decisioni a tal fine occorrenti”. In concreto, tale organizzazione può assumere “forme e dimensioni diverse, a seconda della specifica finalità perseguita dai consorziati”. L’organizzazione comune, quindi, “può essere sia di tipo materiale e quindi avere ad oggetto la gestione e l’utilizzo dei diversi fattori produttivi necessari per l’esecuzione dell’opera comune, sia di tipo meramente organizzativo e pertanto, limitata alla creazione di organi deputati ad assumere le decisioni consortili al fine di conseguire la comune finalità dei consorziati”.
Dal tenore letterale del medesimo articolo 2602 cc, inoltre, si evince la duplice finalità per cui il consorzio può essere costituito. A seconda dello scopo perseguito, infatti, è possibile distinguere tra:
– consorzi anticoncorrenziali
– consorzi di coordinamento o di cooperazione interaziendale.
I consorzi anticoncorrenziali sono costituiti allo scopo di disciplinare, limitandola, la concorrenza tra imprenditori, che svolgono la medesima attività o attività similari. Essi, pertanto, rappresentano un’ipotesi di patto limitativo della concorrenza ex articolo 2596 cc (è tale, ad esempio, il consorzio per il contingentamento della produzione o degli scambi). Tali consorzi, peraltro, al pari di qualsiasi altro accordo limitativo della concorrenza, sono in ogni caso assoggettati alla disciplina comunitaria e nazionale antitrust (in particolare, l’articolo 101 Tfue e l’articolo 2 della legge 287/1990).
I consorzi di coordinamento (o di cooperazione interaziendale), invece, sono costituiti allo scopo di consentire lo svolgimento in comune di specifiche fasi delle attività d’impresa dei consorziati. Tale tipo di consorzio, quindi, mira a realizzare un’esigenza di tipo mutualistico, ponendosi alla stregua di uno strumento di cooperazione interaziendale, in vista del contenimento dei costi di gestione delle imprese consorziate (si pensi, ad esempio, al consorzio che abbia per oggetto l’acquisto in comune di determinate materie prime o la gestione in comune dell’attività pubblicitaria).
Altra fondamentale distinzione tipologica nell’ambito dei consorzi è quella tra:
– consorzi con (sola) attività interna
– consorzi con attività (anche) esterna.
I consorzi del primo tipo limitano la propria attività alla disciplina dei rapporti interni tra i consorziati, “in esecuzione degli obblighi da essi reciprocamente assunti”; i consorzi del secondo tipo, invece, svolgono attività anche con soggetti terzi (estranei al consorzio), a ciò deputando un apposito ufficio. Il codice civile prevede, da un lato, una disciplina generale e comune a tutti i tipi di consorzi (articoli da 2603 a 2611) e, dall’altro, detta specifiche disposizioni in ordine ai consorzi con attività esterna (articoli da 2612 a 2615-bis), con ciò confermando la rilevanza della distinzione da ultimo ricordata.
La disciplina generale (articoli 2603 – 2611 cc)
Ai sensi dell’articolo 2603, il contratto di consorzio “deve essere fatto per iscritto sotto pena di nullità” e deve indicare:
- l’oggetto e la durata del consorzio
- la sede dell’ufficio eventualmente costituito
- gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati
- le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in ordine alla rappresentanza in giudizio
- le condizioni di ammissione di nuovi consorziati
- i casi di recesso e di esclusione
- le sanzioni per l’inadempimento degli obblighi dei consorziati.
La durata del consorzio non rientra tra gli elementi essenziali del contenuto del relativo contratto. Tuttavia, a norma dell’articolo 2604 cc, “in mancanza di determinazione (delle parti, ndr) della durata del contratto, questo è valido per dieci anni”. Quello di consorzio, quindi, è un contratto di durata: lo scopo consortile, infatti, non si esaurisce in un solo atto, ma il suo perseguimento necessita di un certo lasso di tempo. Il contratto di consorzio, se non è diversamente stabilito, “non può essere modificato senza il consenso di tutti i consorziati” (articolo 2607). La medesima disposizione prevede, inoltre, che “le modificazioni devono essere fatte per iscritto sotto pena di nullità”. L’articolo 2608 prevede che “la responsabilità verso i consorziati di coloro che sono preposti al consorzio è regolata dalle norme sul mandato” (sul rapporto di mandato all’interno del consorzio si tornerà più avanti, ndr).
Le cause di recesso o di esclusione dal consorzio devono essere espressamente indicate nel contratto e, al verificarsi di una di esse, “la quota di partecipazione del consorziato receduto o escluso si accresce proporzionalmente a quelle degli altri” (articolo 2609). Nell’ipotesi di trasferimento dell’azienda da parte di uno dei consorziati, l’articolo 2610 prevede che “salvo patto contrario, (…) l’acquirente subentra nel contratto di consorzio”.
Infine, l’articolo 2611 individua le seguenti cause di scioglimento del consorzio:
– decorso del tempo stabilito per la sua durata
– conseguimento dell’oggetto o impossibilità di conseguirlo
– volontà unanime dei consorziati
– deliberazione dei consorziati, presa a norma dell’articolo 2606, se sussiste una giusta causa
– provvedimento dell’autorità governativa, nei casi ammessi dalla legge
– altre cause previste nel contratto.
La particolare disciplina dei consorzi con attività esterna (articoli 2612 – 2615-bis cc)
Come ricordato in precedenza, il codice civile dedica alcune disposizioni specifiche ai consorzi con attività esterna, la cui caratteristica essenziale è “l’istituzione di un ufficio destinato a svolgere un’attività con i terzi”. Pertanto, tale disciplina speciale è essenzialmente diretta a regolare le “relazioni esterne” del consorzio, ovverosia i rapporti con i terzi con cui lo stesso opera. In estrema sintesi, i profili oggetto della disciplina speciale di cui agli articoli 2612 – 2615-bis cc sono i seguenti:
- adempimenti pubblicitari
- rappresentanza
- autonomia patrimoniale.
L’articolo 2612 cc, innanzitutto, impone agli amministratori dei consorzi con attività esterna l’obbligo di depositare, entro trenta giorni dalla stipula, un estratto del contratto “per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo dove l’ufficio ha sede”. L’estratto deve indicare:
– la denominazione e l’oggetto del consorzio e la sede dell’ufficio
– il cognome e il nome dei consorziati
– la durata del consorzio
– le persone a cui vengono attribuite la presidenza, la direzione e la rappresentanza del consorzio ed i rispettivi poteri
– il modo di formazione del fondo consortile e le norme relative alla liquidazione.
Devono altresì essere iscritte nel registro delle imprese le modificazioni del contratto concernenti gli elementi sopra richiamati. La sottoposizione a tale regime di pubblicità legale è richiesta proprio alla luce della capacità relazionale del consorzio e, quindi, a garanzia dei terzi. Sempre a tutela dei terzi contraenti, sul piano della rappresentanza, l’articolo 2613 cc stabilisce che “i consorzi possono essere convenuti in giudizio in persona di coloro ai quali il contratto attribuisce la presidenza o la direzione, anche se la rappresentanza è attribuita ad altre persone”.
Infine, il codice civile riconosce ai consorzi con attività esterna autonomia patrimoniale. In particolare, l’articolo 2614 prevede che “i contributi dei consorziati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo consortile”; quest’ultimo è assoggettato a un vincolo di destinazione, in virtù del quale, per tutta la durata del consorzio, esso, da un lato, non può essere restituito o distribuito tra i consorziati e, dall’altro, non può essere aggredito esecutivamente dai creditori particolari dei singoli consorziati. Ne deriva che il fondo consortile è destinato, in via esclusiva, al soddisfacimento delle obbligazioni assunte in nome del consorzio e, pertanto, i creditori del consorzio possono agire in via esecutiva solo sui beni che compongono il fondo, senza poter aggredire il patrimonio dei singoli consorziati.
Un’ipotesi eccezionale di responsabilità solidale è altresì contemplata dal comma 2 dell’articolo 2615 cc, laddove viene stabilito che “per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati rispondono questi ultimi solidalmente col fondo consortile”. Infine, e sempre a tutela dei terzi contraenti interessati a conoscere l’effettiva consistenza del fondo consortile, l’articolo 2615-bis prevede che, entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale, le persone che hanno la direzione del consorzio devono redigere, secondo i criteri dettati per il bilancio di esercizio delle società per azioni, una situazione patrimoniale, da depositare, entro il medesimo termine, presso l’ufficio del registro delle imprese.
A conclusione di questa sintetica analisi della disciplina civilistica del consorzio appare utile concludere con alcune precisazioni:
- il nomen iuris consorzio ricorre in molte altre disposizioni del codice civile: consorzi di ricomposizione fondiaria (articolo 850), consorzi di bonifica (articolo 862), consorzi di miglioramento fondiario (articolo 863), consorzi per regolare il deflusso delle acque (articolo 914), consorzi volontari (articolo 918) e consorzi coattivi (articolo 921). Tali tipologie di consorzio, tuttavia, non ricadono nell’ambito della disciplina di cui agli articoli 2602 e seguenti. Esse, infatti, sono regolate da discipline peculiari e, pertanto, esulano dall’oggetto del presente contributo
- del pari non rientrano nel regime del fenomeno consortile così come delineato dagli articoli 2602 e seguenti i “consorzi” previsti nell’ambito del diritto pubblico (si pensi, ad esempio, a quelli disciplinati dall’articolo 31 del Dlgs 267/2000)
- figura giuridica distinta dai consorzi è quella delle società consortili, di cui all’articolo 2615-tercc, il quale prevede che “le società previste nei capi III e seguenti del titolo V possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’articolo 2602”. Anche la disamina delle società consortili esula dall’economia del presente lavoro; è solo il caso di sottolineare che, alle stesse, si applica la disciplina tributaria tipica delle forme societarie previste dal codice civile.